Storia e storie

Timex Electric, l’avventura degli americani in Germania

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Nata come Waterbury Clock Company nel 1854 nella città omonima del Connecticut, Timex era da sempre specializzata in orologi economici ma affidabili. Esordisce nell’orologeria elettrica con l’acquisizione nel 1959 di Laco-Durowe, una casa tedesca fondata negli anni ’20 a Pforzheim dalla famiglia Lacher. Il che segna l’inizio della storia della Timex Electric.

Il Laco Electromat

Laco è nota per essere la prima casa ad avere un calibro da polso elettronico funzionante. I prototipi risalgono al 1956, lo stesso anno in cui Shockley, Bardeen e Brattain vincono il Nobel per la fisica grazie all’invenzione del transistor (1947). Il calibro Laco Electromat era pronto nel 1958, ma il lancio fu posticipato perché i transistor non erano ancora sufficientemente affidabili. Solo un anno dopo apparve l’Accutron, che ottenne uno straordinario successo (5,5 milioni di pezzi venduti dal 1960 al 1977) e divenne perciò l’apparecchio elettronico più diffuso negli anni ’60. All’epoca dell’uscita dell’Electromat sul mercato, quindi, gli unici concorrenti erano i calibri elettrici di Hamilton (500-505) e Lip (R27).

Quando la US Time Corporation (così si chiamava Timex a quell’epoca) acquisì Laco, entrò in possesso anche dei progetti e dei prototipi dell’Electromat. Ma il calibro, così com’era, risultava eccessivamente costoso: un solo transistor al silicio costava 32 marchi tedeschi. Di conseguenza parve più conveniente tornare a un movimento completamente elettrico, adottando un bilanciere con bobina mobile che oscillava a 21600 alternanze/ora (3 Hz) e un filo di contatto in lega di oro-argento-palladio. Il filo era progettato per una durata di 5 anni, ma molti esemplari si trovano ancora in perfetto stato dopo oltre mezzo secolo.

Nel 1965, Timex rivendette la Durowe ad Ebauches SA, ma mantenne il marchio Laco, che fu riacquistato dalla famiglia Lacher nel 1985. Ed esiste tuttora.

Il solito problema della pila

Quanto all’alimentazione, il primo prototipo, denominato Laco 860, era dotato di una particolare pila a forma di mezzaluna sviluppata appositamente da Varta. Il design insolito era concepito per sfruttare lo spazio precedentemente occupato dal modulo elettronico. Tuttavia, Timex Electric si imbatté in una problematica già riscontrata da Lip ed Hamilton: ogni pila non cilindrica causava perdite di acido.

Nel calibro definitivo, si optò quindi per una normale pila cilindrica, la LR44, senza tuttavia preoccuparsi di adattare la forma del movimento. Il risultato fu la presenza di un ampio spazio vuoto sul bordo esterno, ad eccezione del punto in cui la pila si trovava, con una protrusione che si estendeva per quasi metà al di fuori della base.

Laco 861 ovvero Timex M67

Il calibro definitivo prese il nome sia di Laco 861 che di Timex M67, come rivelano gli esemplari tuttora disponibili. A creare ulteriore confusione, molti dei successivi calibri Timex Electric, indicati tutti con la lettera M che sta per Model e prodotti in Germania Ovest, assumono nomi con numeri più bassi. Ad ogni modo, quel movimento si è dimostrato estremamente affidabile. Come in altri orologi dell’epoca – l’Accutron 214, il successivo Longines Ultra Quartz o il curioso Golay FB7723 – la corona posta sul fondello conferiva all’orologio una linea elegante e sottolineava che non c’era bisogno di caricarlo o regolarlo di frequente.

Nonostante le 3 oscillazioni al secondo, la lancetta dei secondi si muoveva una sola volta al secondo grazie al meccanismo dei secondi morti. All’epoca, questa scelta tecnica e commerciale era volta a sottolineare la differenza tra gli orologi meccanici e gli orologi elettrici o al quarzo. Ciò naturalmente contribuiva ad aumentare il costo, già relativamente elevato rispetto agli standard Timex. Il raffinato calibro 861 si distingue per la buona qualità costruttiva, con 11 rubini e l’Incabloc sul bilanciere. Si presentava però senza la funzione del datario.

Gli sviluppi al risparmio

Le versioni successive comprendevano i calibri 870/871/Timex M84, sempre senza datario, e l’880/881/Timex M85, dotati di datario a 12 ore. In questi ultimi, ai 31 numeri, erano alternati dei puntini. A mezzogiorno, la ruota compiva un mezzo scatto che faceva scomparire dalla finestra il punto da sopra il numero del mese e faceva comparire quello sotto, indicando così le ore a.m/p.m.

La diversa configurazione mirava non solo all’aggiunta del datario ma anche a una collocazione più stabile della pila, soprattutto per ridurre i costi di produzione. Di conseguenza, il numero dei rubini scese a 6. La corona rimaneva posizionata sul fondello: sollevandola si bloccava il bilanciere, interrompendo l’alimentazione alla bobina.

La Timex Electric progettò i calibri successivi in modo da ottenere la massima economia costruttiva. Nell’ottica di avere prezzi di mercato sempre più contenuti, negli anni si raggiunsero i 25 dollari a pezzo. E la produzione poté proseguire fino al 1975, con gli ultimi esemplari assemblati a Taiwan.

Dall’M40 al Dynabeat

Nel 1970 fu poi la volta dei calibri M40, M41 e M42, rispettivamente solo tempo, data e day-date. Anche questi movimenti furono completamente progettati con l’unico criterio dell’economicità. Così, le platine di ottone furino sostituite con spessi ponti di acciaio piegato, i “rubini” (in realtà 2) erano di plastica, il quadrante era tenuto in posizione da 4 linguette pieghevoli, e senza quest’ultimo le ruote del datario non stavano al loro posto.

Una caratteristica particolare era il ponte del bilanciere piegato in modo da essere regolato elasticamente: avvitando più o meno una delle due viti, si regolava l’altezza e si poteva ovviare all’usura dell’albero del bilanciere, che era conico. Il filo conduttore era un semplice filo, come nei Lip R148/184, mentre nei Laco era una struttura più complessa ed affidabile, piegata a “U” e completa di gabbietta protettiva.

In questi calibri, il guasto più frequente era l’usura del contatto sul bilanciere, seguito dalla rottura del filo o dalla sua spiegazzatura a seguito di qualche operazione di cambio pila non adeguata, oppure dalla piegatura delle caviglie dell’ancora. Altra rottura frequente era la molla di ritenzione del disco data: il risultato era che nell’arco della giornata la data tornava lentamente al giorno precedente. Più difficile invece la rottura della bobina.

A questa serie fecero seguito i calibri M253, 254 e 255 (normale, datario e day-date) “Dynabeat“, simili all’M40 ma con oscillazioni aumentate a 4 Hz, pari a 28.800 alternanze orarie. Il calibro M265 introdusse una seconda lancetta delle ore per un altro fuso orario. La produzione di questi movimenti continuò fino al 1982.

Timex Electric al femminile

Anche se la Timex Electric non ottenne il record di primo orologio elettrico, ce la fece su quello del primo calibro elettrico da donna. Il Laco 900/Timex M82 è stato lanciato nel 1965 e prodotto fino al 1971. Era un’elegante miniaturizzazione dell’861, con la corona spostata nella posizione tradizionale. Lo slogan della pubblicità era appunto: “Electrify your wife. $50.”, che invita a pensare che l’orologio per le signore fosse un’ esigenza… maschile.

A questo fanno seguito i calibri M69 e M71 del 1972 (privo e con datario), che sono invece realizzati sulla base degli M40, con lamiera di acciaio piegata. È esistito anche un prototipo del calibro M57, un M69 con sveglia elettrica alimentata da una seconda pila.

La “vera” elettronica

Così come il Lip R148 del 1962 si autodefiniva con una certa prosopopea “elettronico” a causa del diodo montato in parallelo alla bobina, svolgendo la funzione di spengiscintilla, la serie M50, M51, M52 di Timex Electronic adottava una soluzione simile, posizionando il diodo insieme alla bobina sul bilanciere. Il modello M65, inoltre, introduceva il secondo fuso orario, simile all’M265.

Per trovare qualcosa di genuinamente elettronico, è necessario esaminare il calibro M87, datato 1969: una variante dell’M84 in cui il filo di contatto era sostituito da una scheda con due transistor che regolavano il movimento del bilanciere. Con questo movimento, effettivamente, si ritorna al progetto originale del Laco Electromat, dopo 13 anni: il tempo trascorso ha contribuito a rendere i transistor affidabili ed economici.

Finalmente, l’avvento del quarzo

Nel 1972, Timex Electronic abbraccia l’era del quarzo. Come altri produttori – ad esempio Bulova con i primi Accuquartz –, per non perdere il treno dell’ innovazione e poter scrivere “Quartz” sul quadrante, in un primo momento si limita ad aggiungere una schedina elettronica a un movimento esistente. Ecco quindi il calibro M62, prodotto inizialmente solo per pochi mesi, seguito poi dal calibro M63.

La differenza principale tra i due risiede nel chip SMD e nel posizionamento del quarzo sulla faccia inferiore della scheda, anziché isolato dall’altra parte del movimento. La schedina di supporto assume una forma più compatta, a mezzaluna, rispetto alla struttura a “U” che abbracciava l’intera parte meccanica. Entrambi i calibri sono rimasti in produzione fino al 1980.

Proprio per massimizzare l’efficienza degli impianti produttivi, contenere i costi e uscire velocemente sul mercato, questi calibri sono essenzialmente identici agli M40. Tra il polo negativo della pila e il filo di contatto è inserita una schedina al quarzo con trimmer di regolazione, un elemento che ha rappresentato una sfida significativa per i produttori. La modifica è talmente semplice che è possibile rimuovere la schedina e chiudere il contatto per ottenere un movimento M40 funzionante. La stessa logica che ha utilizzato Porta con i movimenti 5000.

È importante sottolineare che la regolarità del movimento dell’orologio dipende sia dalla corretta regolazione del quarzo che dalla buona condizione della racchetta del bilanciere: se non sono sincronizzati alla perfezione, si ha un’irregolarità di funzionamento e un più elevato consumo di corrente.

L’evoluzione successiva, M66 e M73 (con funzione datario e regolazione rapida), introduce solamente una schedina migliorata con un diverso trimmer.

Timex Electric nelle evoluzioni successive

Negli anni ’80, Timex Electronic abbandona l’uso del bilanciere tradizionale per abbracciare i motori passo-passo, che già da anni erano arrivati a consumi abbastanza bassi da garantire una buona durata della pila. Tra le varie realizzazioni, spiccano i calibri M43 e M272.

Il calibro M43 segue il concetto dell’Omega Megaquartz 1500, anche se quest’ultimo, pur condividendo il medesimo principio, aveva un prezzo paragonabile a quello di un’automobile. Qui un impulso elettrico inviato a una bobina incollata su un’ancora induce la rotazione di quest’ultima, spingendo un indice solidale alla bobina e muovendo la ruota dei minuti. Si noti che questo avanzamento avviene solamente una volta al minuto per minimizzare il consumo energetico. La costruzione economica e delicata rende praticamente impossibile smontare il movimento.

Il calibro M272, invece, è progettato per orologi ultrapiatti e adotta un motore passo-passo tipo Portescap a 6 poli. La ruota dei minuti si muove ogni 20 secondi o, durante la regolazione, ogni secondo. Per ridurre il numero di componenti, la ruota calettata sul motore ingranava direttamente con la ruota dei minuti, la quale era abbastanza grande da coprire l’intero movimento, inclusa la ruota delle ore. Di conseguenza, la lancetta delle ore si trovava sopra a quella dei minuti. Il movimento era incollato direttamente al fondello, e di fatto era pressoché irreparabile.