Storia e storie

Bifora, la grande fabbrica tedesca finita nel nulla

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Dopo il nostro viaggio verso l’Unione Sovietica torniamo in Germania, Paese che definirei una fucina di soluzioni a volte inutilmente complesse per quel che riguarda l’orologeria elettrica. Stavolta ci occupiamo di una famiglia di movimenti molto originali nella costruzione e dalla miniaturizzazione anche eccessiva, prodotti da una piccola casa ora scomparsa: Bifora. La storia ha origine nel 1900 a Schwäbisch Gmünd, non lontano da Stoccarda, dove Josef Bidlingmaier avvia un’attività orafa.

Un marchio importante eppure poco noto

Al termine della Prima guerra mondiale, per sopperire al calo degli affari, Bidlingmaier inizia a produrre anche casse e bracciali per orologi, in cui colloca movimenti svizzeri. L’operazione funziona: la vendita frutta bene, tanto che Bidlingmaier quadruplica gli operai – arriva ad averne 230 – e apre una nuova fabbrica. Dopodiché decide di produrre anche i movimenti e si attrezza di conseguenza. Nel 1928 presenta il calibro 2025 da polso. Sul ponte appare il nome Bifora, tutto in maiuscolo. Un acronimo in cui Bi sta per Bidlingmaier; For per Formwerk, costruzione; A per Ankerhemmung, scappamento ad àncora. Il marchio è registrato nel 1934 e diventa il nome alla società.

Nel 1939 Bidlingmaier raddoppia ancora i dipendenti e continua la produzione di orologi anche durante la guerra, affiancandoli ai detonatori per bombe. Per sua fortuna la fabbrica è risparmiata dalle distruzioni belliche e nel 1951 Bifora presenta il primo orologio automatico tedesco, il calibro 103. A metà anni ‘60 la forza lavoro è ulteriormente raddoppiata e la produzione raggiunge i 4.000 pezzi al giorno, esportati anche in Oriente. All’epoca Bifora è di fatto la più grande fabbrica di orologi in Germania.

I calibri elettrici di Bifora

Arriviamo adesso alla parte della storia che ci interessa. I tecnici di Bifora studiano i calibri elettrici a partire dalla metà degli anni ‘60: un po’ in ritardo rispetto agli altri, ma ancora con qualche margine di manovra. Nel 1967 sono pronti i prototipi B8 e B9, che hanno un bilanciere con bobina a bordo e magneti permanenti fissi su un ponte rimovibile; l’alimentazione è regolata da transistor e la schedina elettronica è minuscola. La soluzione è quindi molto simile, per esempio, al Porta PUW 2500, ma il movimento Bifora è più piccolo. Così piccolo che per realizzare la versione da donna è sufficiente prevedere una pila di dimensioni inferiori e ridurre il diametro dei due dischi della data.

Il movimento raggiungerà però il mercato solo nel 1971. A quel punto i calibri presentati saranno il B10 da donna (18,6 mm di diametro) e il B11 da uomo (29,35 mm di diametro), entrambi con funzione day-date. Lo spessore è di 5,6 mm. Il bilanciere oscilla a 5 Hz, causando un moto quasi continuo della sfera dei secondi centrali. Il positivo è a massa, mentre il negativo raggiunge la bobina sul bilanciere tramite un tortuoso giro che passa attraverso la molletta del negativo della pila; la schedina elettronica ha dimensioni che non raggiungono il mezzo centimetro quadrato, il ponte superiore è isolato dal resto con un foglio di PVC. Tirando la corona si sposta un contatto che toglie alimentazione alla schedina.

Questi due modelli non si riveleranno il massimo dell’affidabilità, tanto che oggi è pressoché impossibile trovare esemplari funzionanti. Le misure minuscole del calibro e dei componenti erano causa di tolleranze davvero minime: per esempio, era molto facile che la spirale andasse a toccare il ponte dei magneti permanenti, mettendo tutto in cortocircuito. Per farla breve, oggi molti orologi all’apparenza in ottimo stato non ne vogliono sapere di oscillare, senza alcun apparente motivo.

Il primo quarzo

Quando Bifora arriva sul mercato con i suoi elettromeccanici, la rivoluzione del quarzo è già iniziata. Alla fine del 1970 Junghans aveva già esposto al pubblico una versione di preserie del primo movimento al quarzo di produzione tedesca: il W666 “Astro-quartz”. Seguendo la stessa strada di molti altri produttori, Bifora utilizza una base già nota su cui applica il quarzo: così, partendo dal calibro B11, ricava il calibro B12, in cui il bilanciere è sostituito da un’àncora con a bordo la bobina, che oscilla una volta al secondo.

La soluzione è analoga al Roamer MST 900 e al Rolex 5050. Apro una parentesi. Altri quarzi con àncora, come lo Junghans succitato o l’Omega 1510, hanno utilizzato una soluzione leggermente diversa in cui l’àncora compie due oscillazioni al secondo: una volta scattata, una molla la riporta immediatamente al suo posto. Chiusa la parentesi.

La composizione realizzata da Bifora risulta relativamente originale: il modulo elettronico, a forma di mezzaluna, è molto più grande di quello del B11 e trova posto nello spazio lasciato libero dal movimento. La dimensione è condizionata dal grosso quarzo a barra da 32.768 Hz, oltre che dal chip e dal trimmer di prima generazione. Nelle versioni successive i componenti elettronici diventano via via più piccoli.

L’architettura del calibro B12

La costruzione, se possibile, è ancora più complessa e di difficile messa a punto rispetto all’elettronico a bilanciere. L’àncora è raggiunta da due mollette a spirale che portano i due poli della corrente: una è connessa alla massa e l’altra al chip. Sollevare la corona provoca il distacco del contatto del positivo dalla batteria. Per far avanzare il datario, si deve ruotare avanti e indietro di mezzo giro la corona nella posizione di riposo: girando in avanti una levetta aggancia un dente del datario e tornando indietro la trascina. L’indicazione dei giorni della settimana si regola solo avanzando l’ora.

L’uscita sul mercato avviene in tempi relativamente rapidi: il calibro B12 è presentato nel 1973. Osservandolo, si nota un aspetto abbastanza diverso dalla produzione coeva, elegantemente miniaturizzato. Al contrario degli elettronici B10 e B11, gli esemplari che montano il quarzo B12 sono molto più facili da reperire sul mercato. Quel movimento infatti è stato incassato da molte marche: la più famosa è forse la francese Yema – che negli ultimi anni è tornata prepotentemente sul mercato. Il B12 inoltre si è rivelato molto affidabile, e trovarlo funzionante non è affatto un problema.

I successivi calibri al quarzo

La versione da donna esce nel 1975 e prende il nome di B20. La parte meccanica non cambia, mentre quella elettronica beneficia della miniaturizzazione, intervenuta nel frattempo nell’elettronica, e dell’assemblaggio più compatto: il chip è montato in verticale, pressoché attaccato al ponte che porta i magneti permanenti. La rimozione del trimmer e del datario fanno il resto.

Nel 1977 si lavora su due prototipi di calibro ultrapiatto: il B17 e B18, con i quali realizzare orologi di soli 2,6 mm di spessore. Se lo sviluppo fosse andato in porto, il calibro sarebbe stato il più sottile del periodo. Al risultato contribuiva la realizzazione di cassa e movimento in un corpo unico, in questo anticipando la Eta e il suo Delirium, e il ben più famoso discendente Swatch. Un concetto costruttivo che si riscontra ancora ai nostri giorni in certi meccanici ultrapiatti, come il Finissimo di Bulgari o l’Altiplano di Piaget.

La fine di Bifora e la rinascita

Bifora subisce la sorte di molti altri produttori nel periodo del quarzo: la rincorsa tecnologica aveva dissanguato le casse della società, il personale viene licenziato e nel 1977 arriva la bancarotta. L’anno successivo la Casa tedesca è rilevata da quello che era il suo rappresentante in Asia, l’azienda indiana Hiranand Gajria. La produzione degli orologi al quarzo resta inizialmente in Germania, mentre quella dei meccanici si sposta a Bangalore. L’impianto tedesco però chiude definitivamente nel 1983 e lo stabilimento indiano si riconverte alla produzione di componenti automobilistici.

Nel 2011 però il Marchio rinasce come Bifora Uhren-Manufaktur GmbH e mette sul mercato 60 orologi con avanzi di magazzino del vecchio calibro 130, un carica manuale del 1965. La nuova Bifora resta in attività fino al 2017. Poi, più nulla. Il ricordo della più grande fabbrica di orologi tedesca rimane comunque nell’impegno del Bifora Freundeskreis e.V.: il Circolo degli amici di Bifora che ha allestito un museo a Schwäbisch Gmünd, nel quale organizza periodicamente mostre a tema.