«Se non ci fosse stata Alpina, la storia dell’orologeria sarebbe diversa. L’orologeria stessa sarebbe diversa». Con queste parole, il mese scorso, Marcello Borsetti ha esordito alla conferenza stampa di presentazione di Alpina, storica Marca svizzera che sta per sbarcare anche nel nostro Paese. A che titolo il Direttore Commerciale di Citizen Watch Italy parli di questo Brand è presto detto: Alpina è stata acquisita nel 2002 da Frederique Constant, a sua volta acquisito da Citizen Group nel 2016. Quindi Borsetti rappresenta i vertici del Marchio sul territorio italiano.
Ma la cosa più importante è la sua visione. Un punto di vista interessante, che non si limita a raccontare le vicende di Alpina ma le colloca in un più ampio contesto, le analizza in una prospettiva storica. Qui di seguito non troverete quindi la consueta sequenza temporale dei fatti e degli eventi che costituiscono il passato della Marca. Se è questo che volete, potete trovare informazioni su altre fonti: sul sito ufficiale, per esempio, c’è un bel video che lo riassume in sintesi, dalle origini ai nostri giorni. Poi, per aiutarvi a memorizzare le date più importanti, metto la timeline tra le foto qui sopra. Esiste anche un bel volume monografico, pubblicato nel 2023 in occasione del 140° anniversario dalla fondazione. E non dimentichiamo che c’è sempre Wikipedia…
Gli artigiani delle origini
Comunque sia, nella sua analisi Borsetti parte proprio la fondazione: «Alpina nasce nel 1883 dall’idea di Gottlieb Hauser di mettere assieme un gruppo di orologiai… Ma», aggiunge, «per comprendere la portata di questo avvenimento bisogna tornare a vivere quell’epoca». Caliamoci allora nella realtà del tempo, immaginiamoci la situazione così com’era: «Negli anni ‘80 dell’Ottocento l’orologeria svizzera è composta da artigiani, ognuno a casa propria: c’è qualcuno che produce, qualcuno che vende e in mezzo c’è l’orologiaio che assembla. La produzione è molto locale, isolata, disgregata». Anche dal punto di vista dei trasporti, dei collegamenti e degli scambi di merci e persone, la Svizzera è altrettanto frammentata. E certo non aiuta la conformazione geografica: «Erano montagne e valli…».
Ma subito Borsetti allarga l’orizzonte a livello internazionale: ricorda che questa è l’epoca delle società di mutuo soccorso, dei sindacati per la tutela delle persone; dell’affermarsi delle ideologie: il socialismo, il comunismo. «È l’epoca in cui la Rivoluzione industriale è in piena espansione: in Inghilterra, nella vicina Germania. In America hanno già aperto le fabbriche, ma in Svizzera non c’è niente di tutto questo…». In effetti a me viene in mente solo la fabbrica Longines, dove nel 1878 si realizza la prima produzione in serie del calibro da tasca 20H. Ma è solo l’eccezione che conferma la regola.
L’embrione dell’industria
«Hauser mette insieme una congregazione che riunisce un gruppo di orologiai. Quello di cui avevano bisogno era acquistare il prodotto al meglio, rifornirsi di componenti per poi assemblarli e rivenderli, dando stabilità all’organizzazione. C’è un documento che lo testimonia, in cui si impegnavano per fare un ordine a un fabbricante: ogni giorno due cartoni di orologi, 144 pezzi ogni cartone, 288 orologi. Ma in Svizzera non c’era nessuno con una produzione del genere». Non c’era una filiera di fornitura, spiega, c’erano problemi di logistica, non esistevano metodi di pagamento codificati né sistemi di consegna organizzati. «Non c’era niente: c’era solo qualcuno che si impegnava ad acquistare, che stava creando un network per mettere gli orologi sul mercato. Questo ha dato l’input alla nascita dell’industria».
L’Alpina Union Horlogère – ecco il nome dell’associazione – influì in modi diversi sulla formazione dell’industria orologiera svizzera moderna. «È chiaro che quando chiedo di fabbricare qualcosa, chiedo anche di farmelo in un certo modo: nascono così le produzioni con certe specifiche tecniche», spiega ancora Borsetti. «Intendo dire, il gruppo di orologiai aveva anche la sensibilità di ciò che erano le richieste, le esigenze dei consumatori, e le riportavano alla fabbrica. Era una cosa estremamente nuova, perché fino a quel momento tutti gli artigiani avevano fatto solo quello che avevano in mente. Nessuno fino ad allora aveva dato chiare indicazioni alla produzione, nessuno aveva delle precise specifiche di fabbricazione. Nasce così l’industria svizzera, quella che conosciamo noi oggi».
Alpina in Germania
«Dal 1883 alla Seconda Guerra mondiale ci sono una serie di fatti notevoli. Nel 1891, il mercato svizzero ha un crollo, è un momento di grande difficoltà. Se sei un singolo artigiano, la puoi solo subire. Gli orologiai riuniti da Hauser in quanto network hanno invece comunicato a muoversi, a spostarsi su altri mercati: sono andati nella vicina Germania, che era in piena espansione, con l’industria metallurgica tedesca che stava andando a mille… Ecco, è stato il primo esempio di internazionalizzazione, che nasce proprio da questa associazione: gli Alpinisti li chiamavano, perché venivano dalle Alpi».
Ed è proprio in Germania che avviene qualcosa di particolare. «In Svizzera, in particolare a Ginevra, erano molto bravi nelle lavorazioni dei movimenti e delle finiture. A Glashütte, Sassonia, erano invece molto bravi nella lavorazione del metallo, nell’industria siderurgica. Ginevra/Glashütte sono 1000 chilometri: 14 ore di auto, ai giorni nostri, pensate nel 1900… Comunque, gli Alpinisti ci sono andati: e hanno cominciato a produrre lì perché volevano una specifica di prodotto superiore, volevano qualcosa di più lussuoso. Aprono quindi la fabbrica Alpina Glashütte, dove realizzavano calibri che poi portavano a Ginevra, li rifinivano e li incassavano.
«C’è da dire che Glashütte era già un distretto orologiero importante, perché era stato finanziato dal Governo tedesco. Ma i produttori locali erano scocciati dalla presenza degli Alpinisti». Ed è comprensibile: avere la concorrenza in casa non è proprio il massimo. Ma soprattutto, i produttori locali erano seccati dal fatto che gli Alpinisti sfruttassero a proprio favore il buon nome di Glashütte, fregiassero i loro orologi di quello che oggi definiremmo un marchio Doc o Dop. «Dicevano che non avevano alcun diritto di appropriarsi del marchio “made in Glashütte”… Così, nel 1910, parte la prima causa internazionale sul “made in”. Un concetto che non esisteva fino a quel momento: è nato proprio in quell’occasione». A onor di cronaca, comunque, quella causa poi fu vinta dagli Alpinisti.
L’espansione, in Svizzera e all’estero
Come un fiume in piena, Borsetti continua a raccontare episodi sulla storia di Alpina, a ruota libera. «Intanto, nel 1903, Il signor Gottlieb e suo figlio avevano fatto un viaggio, un viaggio commerciale: 50 giorni in Russia. Tornarono con un volume di ordini davvero cospicuo. Si aprì così quella relazione, che oggi è nota a tutti, fra la Svizzera dell’orologeria e la Russia: un legame che caratterizza molte marche, e che nacque proprio da quel viaggio del fondatore di Alpina.
Sempre a proposito dell’espansione di Alpina, devo aggiungere che dopo la Prima Guerra Mondiale gli Alpinisti erano riusciti a costruire un network di 2000 punti vendita in tutta Europa, con delle regole molto chiare. Un punto vendita a località, due al massimo in quelle più grandi, obbligo di tenere un assortimento, obbligo di prezzi controllati, obbligo di pubblicità concordata con la casa madre (e con il suo contributo). A ben vedere è l’embrione del network distributivo di oggi: lo creò Alpina».
E ancora: «Raggiunta la standardizzazione, gli Alpinisti hanno cominciato anche a offrire un servizio al consumatore: la garanzia. Il prodotto era standard, perché dietro c’era una fabbrica che lavorava secondo criteri codificati, che riesce a garantire una certa qualità… Prima no, prima non c’era niente di simile: ogni pezzo era un pezzo unico. Alpina quindi ha cominciato a dare una garanzia locale, poi nel 1926 arriva la prima garanzia internazionale».
Accenna anche a un altro argomento: «Poi, si sa, quando hai una fabbrica devi mantenerla a pieno regime. E se tu con la tua marca non riesci a consumare tutto ciò che produci… beh, ti metti a produrre anche per altri. A un certo punto, quindi, i calibri di Alpina vengono adottati da altre case famose, e sono marchiati con diversi nomi». E l’idea della cooperazione, nata fra i singoli orologiai del gruppo iniziale, arriva poi a coinvolgere altri brand. Del resto, non è certo una novità che le grandi manifatture collaborassero nella fornitura di movimenti con maison rinomate, che non avevano però una produzione propria.
Il modello Alpina fa scuola
Il modello di associazione degli Alpinisti comunque viene esportato e adottato fuori dalla Svizzera. «Tant’è che unioni simili si sono realizzate anche in Germania o nel Nord Europa», conferma Borsetti. «Poi arrivano gli altri: altri che cominciano a guardare a questa realtà. Come Bulova, nel 1919, che apre la prima catena di montaggio in Svizzera». Bulova aveva già proprie fabbriche in America, però realizzava orologi che non avevano né qualità né finiture paragonabili a quelle elvetiche, quindi porta in Svizzera la produzione. «Ma una scelta simile si fa quando si ha la certezza di poter contare su linee di fornitura già esistenti. E queste linee le aveva costruite Alpina».
E non è finita qui. «Nel 1910 c’è stato un tizio, un commerciante che veniva dal Giappone: Kamekichi Yamazaki, un gioielliere di Tokyo… Durante un viaggio in Europa, arrivò in Svizzera: dove vide l’industria, vide il network, vide gli orologi realizzati da Alpina, che aveva creato le sue filiere sia nel senso della produzione sia dei retailer… Bene, quando tornò a Tokyo, fondò la Citizen. Per dire la pregnanza di ciò che ha fatto il signor Gottlin per tutta l’industria orologiera».
Conclusioni
«Ecco perché dico che la storia di Alpina è la storia dell’industria orologiera svizzera», conclude Borsetti. «Alpina sta all’orologeria moderna tanto quanto Ford sta all’industria automobilistica moderna. Quando nel 1913 Ford costruì la prima linea produttiva, trasformò la mobilità. Da una cosa costruita per un’élite, solo per pochi, a qualcosa di quotidiano e di accessibile a tutti, proprio grazie alla scala produttiva: qualità, volumi, costi.
Questo è ciò che è stato anche Alpina. Per cui quando si guarda un orologio Alpina, in realtà – oltre all’orologio in sé, che può piacere o non piacere, non importa – si sta guardando il Big Bang dell’industria orologiera svizzera moderna. Se nella storia dell’orologeria togliete Alpina, tutto sarebbe cambiato, o per lo meno non sarebbe successo così: senza quell’esperienza, sarebbe tutto completamente diverso. Non ci sarebbe l’industria orologiera svizzera, perlomeno non così come noi la conosciamo oggi».