Approfondimenti

La spirale Nivachron debutta nel Sistem51, il primo Swatch antimagnetico

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Si può già indossare lo Swatch Sistem51 con l’innovativa spirale antimagnetica. Montata per ora su due modelli, sta entrando nella produzione di serie. In attesa di vedere sviluppi futuri, facciamo il punto sul passato…

L’avevano promesso e quelli di Swatch non raccontano favole. La rivoluzionaria spirale Nivachron viene finalmente montata su tutta (o quasi) la collezione Sistem51.

Perché parlo di rivoluzione, quando di solito cerco di tenermi stretto con gli entusiasmi? Beh, perché la spirale Nivachron, antimagnetica, farà sentire in seguito – man mano che la produzione entra a regime – la propria presenza su tutti o quasi i movimenti che derivano dalle ricerche effettuate per realizzare il Sistem51. Come il Powermatic 80 di Tissot, l’H-30 di Hamilton o il Calibro 80 di Mido.

Il background

Ok, mi spiego meglio. Qualche anno fa Nick Hayek, che guida Swatch Group, investe la bellezza di 90 milioni di franchi svizzeri per realizzare un orologio di alta qualità e basso prezzo: lo Swatch Sistem51, appunto. Il lavoro del reparto Ricerca e Sviluppo di Swatch raggiunge l’obiettivo dopo aver esplorato strade interessanti, ma non adatte al marchio Swatch. Il risultato di queste ricerche si rivela però utile per altre marche: il tutto viene implementato dai tecnici Eta e nasce una intera famiglia di movimenti meccanici, i Powermatic 80. Che passeranno poi ad altre marche del gruppo in versioni più o meno personalizzate, più o meno elaborate secondo le esigenze di ciascun marchio.

State molto attenti: questo modo di ragionare, questo coordinamento fra i marchi che non parte dal marchio stesso, ma dai reparti tecnici, è la strada più intelligente e quindi redditizia per arrivare all’innovazione. Oggettivamente, negli ultimi anni nessuno ha saputo innovare quanto Swatch Group. A tutti i livelli, con tutti i marchi. Magari non sono stati bravissimi nel restituire la percezione di questo buon lavoro, magari non sono stati fulmini nel coordinare anche la comunicazione, ma non si può avere tutto. “Nessuno è perfetto”, come recitava la battuta conclusiva del film “A qualcuno piace caldo”.

La tecnica

Facciamo un po’ di storia. L’organo regolatore degli orologi meccanici è composto sostanzialmente dal bilanciere che al proprio interno ha una molla a spirale. Il bilanciere è mosso dall’energia prima immagazzinata e poi ceduta dalla molla del bariletto, serbatoio energetico dell’orologio. Una spinta e (tic) il bilanciere ruota in un senso; arrivato a fine corsa il bilanciere viene spinto a ruotare in senso contrario (tac) dalla spirale, appunto, che si carica d’energia nella fase tic e la restituisce nella fase tac.

Il bilanciere (tramite un nottolino) fa muovere l’àncora nelle due direzioni tic e tac, ma questo porterebbe ad avere un orologio con le lancette che fanno avanti e indietro. Non serve a nulla, un orologio così. E quindi l’àncora, ingegnosamente dimensionata, agisce sulla ruota di scappamento che trasforma l’avanti/indietro in una rotazione avanti/avanti. E il gioco è fatto. Tutti questi componenti devono essere dimensionati in maniera precisissima, per rendere l’orologio moderatamente preciso, ossia per ottenere che si muova costantemente nel tempo.

Ma anche dimensionati come meglio non si può, gli elementi che compongono l’organo regolatore soffrono di alcuni problemi che ne limitano l’efficacia. Il primo consiste nell’effetto delle variazioni di temperatura, che modificano le dimensioni delle componenti di quel tanto (pochissimo) che basta per imprecare contro l’imprecisione del proprio orologio.

La storia

Fin dal Settecento si sono usati più o meno fantasiosi bilancieri il cui anello era composto da lamine sovrapposte di metalli con un diverso coefficiente di dilatazione, cercando di ottenere una media pari a zero. I bilancieri termocompensati. Figo, per i tempi, ma con molti altri problemi fra cui un bilanciere pesante e quindi avido d’energia.

Poi arriva Charles Édouard Guillaume, un fisico svizzero figlio di orologiai. Nato a Fleurier (dove oggi risiedono Bovet, Chopard e Parmigiani), Guillaume si fissa sulla ricerca di un nuovo materiale, una nuova lega pressoché insensibile alle variazioni di temperatura, e la trova. La chiama Invar, è per più della metà composta da ferro, è pressoché insensibile a quasi tutte le forme di corrosione ed ha un coefficiente di dilatazione termica molto contenuto: ≃ 0,5∙10−6 °C−1 fra 20 e 50 °C.

Ma Guillaume non è contento e perfeziona l’Invar in Elinvar, ossia una lega contenente meno ferro, la stessa quantità di nichel e un bel 12% circa di cromo. In questo modo conserva un bassissimo coefficiente di dilatazione, ma aumenta la resistenza meccanica e agli agenti corrosivi. La qualità delle nuove leghe (dal quale non trarrà vantaggio solo l’orologeria, ma la micromeccanica in generale) consentirà a Charles Édouard Guillaume di vedersi assegnare, nel 1920, il Premio Nobel per la fisica. E non venitemi a dire che l’orologeria è una nicchia di tecnici fuori di cotenna.

Arriveranno in seguito variazioni sul tema dell’Elinvar, molte, fra le quali spiccano quelle con manganese e/o palladio. E perché dico spiccano? Perché nel frattempo le perturbazioni introdotte dai campi magnetici (implacabili sulla parte ferrosa dell’Invar e dell’Elinvar) si manifestano in tutta la loro capacità di rompere le scatole, una volta eliminata la coperta della termocompensazione.

Il silicio

Risolvi un problema, ma ne arriva un altro in primo piano. Le nuove leghe danno buoni risultati: nascono così gli orologi genericamente definiti “antimagnetici”, che però poi tanto antimagnetici non sono. È per questo, fra l’altro, che in tanti sono saltati a cavallo del silicio, appena si è riusciti a produrre spirali in silicio, appunto: è totalmente trasparente ai campi magnetici, non ne soffre le conseguenze. Ok, mi dirai tu, ma se il silicio è quel portento che dici, perché i tecnici di Swatch si intestardiscono a trovare qualcos’altro?

Bella domanda. Perché l’orologeria meccanica di qualità sogna di durare in eterno e il silicio innanzitutto non è un metallo; secondariamente non è prodotto con metodi classici, che si usavano ieri, si usano oggi e si useranno domani; e in terzo luogo perché qualche minimo dubbio sul silicio sta nascendo, al punto che al Politecnico di Milano stanno cercando la strada per cercare il silicio 2.0. (Tranquilli, comunque, i molti che hanno un orologio con spirale in silicio: per ragioni di forza maggiore ne sono state realizzate quantità enormi, da usare come pezzi di ricambio nei prossimi tre o quattro secoli).

La lega e la spirale Nivachron

Sta di fatto che l’orologeria di qualità preferisce le “normali” leghe metalliche e i tecnici di Swatch ne hanno elaborata una a base di titanio; nella quale il ferro, l’acciaio serve soltanto per conferire elasticità al titanio e ridurre quindi le richieste energetiche della spirale. Per non sbagliare, comunque, la molla nel bariletto è stata maggiorata e fornisce un’autonomia energetica di circa 90 ore. Mica male. E chissà che la stessa lega Nivachron (o una sua variazione sul tema) non venga un giorno utilizzata per la molla nel bariletto, visto che anche lei, come la spirale, può rivelarsi problematica sotto il lento, subdolo aumento della magnetizzazione.

Infine: attenzione che questa lega non è la soluzione di tutti i problemi. Il silicio sì che è totalmente antimagnetico, ma con le considerazioni appena fatte. La spirale Nivachron contiene del ferro: quindi si magnetizza, un poco, comunque. E quanto si magnetizza? Circa un decimo di quanto non si magnetizzi una moderna spirale antimagnetica. Ma costa poco, tanto poco da poterla montare di serie sugli Swatch Sistem51. E poi, probabilmente, sugli orologi di molte marche appartenenti a Swatch Group. È questa la vera rivoluzione della spirale Nivachron: prestazioni eccellenti a prezzo contenuto…