Attualità

Free Bridge, Girard-Perregaux e il bilanciere sexy

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Meglio dirlo subito. Mi sono innamorato del Girard-Perregaux Free Bridge. Più precisamente, mi sono innamorato del Girard-Perregaux Free Bridge e il suo movimento mi fa sesso – ovviamente nella misura in cui un mucchio di rotelle possono far sesso. Sono mica un pervertito.

La mia storia d’amore con Girard-Perregaux inizia addirittura con i calibri al quarzo. Straordinari (è stata la prima marca ad usare quei 32.768 Hertz che oggi costituiscono lo standard), ma costruiti con tecniche d’alta orologeria insostenibili per il loro costo. Arrivarono i giapponesi con circuiti integrati poco costosi e comunque efficaci: una concorrenza non affrontabile ad armi pari per chi (l’ho visto con i miei occhi) ancora avvolgeva a mano ogni singola bobina, per poi saldare i componenti su una basetta in vetronite (qualcuno la ricorda?). Fu una botta così spaventosa che l’intera orologeria svizzera rischiò di scomparire, annientata da costi elevatissimi. E però erano movimenti bellissimi, che poi Girard-Perregaux riprenderà in una serie speciale “da anniversario”.

In seguito, con il ritorno al meccanico, Girard-Perregaux calò un asso: il Calibro 3300, nel 1994. Uno dei primi movimenti d’alta orologeria. Affidabile e micidialmente preciso (ancora oggi le sue prestazioni sono eccellenti), venne prematuramente considerato obsoleto. Per gli standard odierni mancavano bellurie come il bilanciere ad inerzia variabile, spirali a fantasia, antimagnetismo da paura e altro ancora. E l’autonomia non era certo eccezionale. Ma tutto questo il Calibro 3300 non lo sapeva e continuava quindi a volare alto. Come un calabrone che non sa di non poter volare, ma vola, eccome!

Dategli una bella lubrificata, una seria revisione e non ostante abbia più di trent’anni quel calibro renderà la vita difficile anche ai migliori. Ci vorrà molto tempo, per la stessa Girard-Perregaux, a superarlo. E però a costi notevoli, ai limiti della concorrenzialità, perché Girard-Perregaux non ha mai potuto contar molto su economie di scala.

Ho amato e amo anche il Calibro 1800, del 2017, benché non possa fare a meno di avere qualche perplessità per i suoi costi. Ma più che altro per problemi di identità della marca. Forse si poteva pensare a diminuire i modelli, per migliorare il “tasso iconico” che è stato invece ben curato per tutti quelli su tre ponti. Un brevetto Girard-Perregaux che risale al 1884. Da qualche tempo il classico e riconoscibile ponte a freccia viene riservato al bilanciere in movimenti che pur non costando certo poco, non costringono ad acrobazie economiche da spaccarsi le ossa.

E arriviamo così all’attuale Free Bridge. Che se guardi bene altro non è se non un classico “ore e minuti”, però in una versione finalmente elaborata da un disegnatore che ha saputo ben bilanciare la storia e l’attualità. La tecnica e l’estetica. Senza inutili fuochi artificiali. Bello.

Il classico ponte a freccia, dicevo, rimane lì (lo chiamano Neo Bridge) a ricordare il passato e l’origine del movimento, che poi è appunto il calibro 1800. Sostiene uno splendido bilanciere quasi interamente realizzato in silicio; un bilanciere ad inerzia variabile la cui regolazione è affidata a quattro masse nere che possono scorrere verso l’interno o l’esterno. Fantastico e molto ben curato persino nell’aerodinamica.

La struttura del Calibro 1800 è stata invertita per mostrare sul lato quadrante il treno d’ingranaggi che porta alle lancette di ore e minuti, sostenute da un secondo ponte. Semplice e senza barocchismi inutili, questo ponte è sostenuto da due elementi laterali avvitati sulla platina. Non distrae lo sguardo e rende ben agevole la lettura dell’ora. Da notare che nella versione Free Bridge Infinity (parleremo fra poco delle differenze fra i modelli) le due parti laterali avvitate sono realizzate in onice. Apprezzo molto che il disegnatore abbia ricordato che gli orologi, comunque, servono a leggere l’ora. E a questo proposito apprezzo molto anche la scelta di lancette pure loro ben leggibili anche in condizioni di luce avverse, grazie al materiale luminescente. Equilibrio, come dicevo.

Il terzo ponte, infine, tiene in sede il bariletto, aperto superiormente. L’autonomia complessiva non sarà da record (54 ore), ma batte serenamente parecchi altri movimenti di manifattura. È una bella garanzia di precisione, anche se si è scelto di non ricorrere al Cosc per una certificazione che molti considerano ormai superata. Anche nel caso del ponte del bariletto Girard-Perregaux non ha esagerato in volute, riccioli e falpalà. Che poi erano balze pieghettate aggiunte a gonne e tende; facevano “ricco” perché non servivano a nulla, ma richiedevano grandi quantità di preziosi tessuti. Personalmente preferisco chi toglie elementi decorativi a chi li aggiunge, sempre che non siano necessari alla definizione di uno stile. Eric Clapton toglie note, Jimi Hendrix le aggiungeva e sono entrambi chitarristi di riferimento.

Il Girard-Perregaux Free Bridge è disponibile in una versione di base (si fa per dire), con cassa in acciaio e cinturino in pelle (stampata: forse questo poteva essere evitato, ma è sempre il mio lato zen, che parla) con tripla chiusura pieghevole. In acciaio, ma con trattamento Dlc (Diamond Like Carbon, un costoso processo che ricopre l’acciaio di carbonio, duro appunto come il diamante) è la cassa della versione Free Bridge Infinity. Al quale si aggiungono le due già citate lastre sagomate d’onice; una notevole quantità di dettagli in oro rosa (compreso il ponte del bilanciere: ed è la prima volta che GP usa l’oro rosa per il ponte); e un cinturino in pelle di alligatore, con chiusura pieghevole anch’essa tripla, ma realizzata con elementi in titanio e ceramica.

Sul quadrante di entrambi i modelli, infine, un prezioso vetro zaffiro di tipo “box”, ossia con la parete periferica verticale che va poi a curvarsi un una gentile bombatura. Questa forma, che si ripete all’interno, costringe non solo all’impiego di una quantità circa quattro volte superiore di vetro zaffiro, ma anche ad una doppia lavorazione – interna ed esterna – che allunga considerevolmente i tempi di molatura. Il solo  vetro, insomma, costa quanto un orologio di buona qualità. I prezzi sono ben commisurati al valore degli orologi: 17.900 euro per il Free Bridge e 21.400 per il Free Bridge Infinity Edition, realizzato in 88 esemplari. Aggiungerei, anzi, di apprezzare lo sforzo fatto per limitare i propri ricavi e rendere i prezzi concorrenziali rispetto alla maggior parte di realizzazioni in qualche modo equivalenti.