È una delle cose che dico spesso. In realtà nessuno ha più un reale bisogno di orologi. L’ora la dice, e con la massima precisione, anche il mio forno. Del resto nessuno ha un reale bisogno nemmeno di un Van Gogh, ma se ne avessi uno sarei molto più felice. E non lo venderei di certo. Come non venderei mai uno degli orologi che mi emozionano, se potessi permettermi di comprarlo.
Qualcuno mi ha dato dell’esagerato: tra un Van Gogh e un orologio c’è di mezzo la parola Arte. Critica che una volta poteva avere qualche valore. Ora non più, visto che nello scorso dicembre l’Unesco ha inserito le competenze della meccanica orologiera e artistica nel Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Cosa è l’Unesco? Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Direi che basti.
È ovvio che non tutta l’orologeria è arte, come non lo è tutta la pittura, tutta la scultura, tutta la musica e così via. Ma dovrebbe essere evidente che inserire gli orologi, tutti gli orologi, nella sezione “moda” dei giornali è una emerita sciocchezza. Come – per tornare a lui – considerare “arredamento” un Van Gogh solo perché lo appendi alla parete.
Traduco una piccola parte del comunicato stampa dell’Unesco, di cui nessuno ha riportato le motivazioni, cuore della decisione.
“Incrocio fra scienza, arte e tecnologica, le competenze necessarie per realizzare orologi e micromeccanica d’arte vengono impiegate per oggetti il cui fine è misurare il tempo (orologi, appunto, ma anche pendole e altre tipologie), automi d’arte, androidi meccanici, sculture e dipinti animati, carillon e uccelli canterini. Questi oggetti d’arte meccanica hanno come origine meccanismi in grado anche di muoversi o emettere suoni. Sebbene di solito siano nascosti, i complessi meccanismi sono spesso visibili e ciò contribuisce a donare spessore artistico e poetico a questi oggetti.
La zona del Jura, in cui si concentrano queste capacità umane, continua ad avere una dinamica particolarmente vivace grazie alla presenza di artigiani altamente specializzati e aziende che promuovono queste abilità anche con un ampio spettro di sistemi di formazione. Storicamente, nella realizzazione di oggetti ad orologeria erano coinvolte intere famiglie, creando veri e propri nuclei di formazione professionale che spesso sfociavano in alleanze fra famiglie con diverse competenze.
Inizialmente l’orologeria era insegnata in scuole specializzate. Oggi le competenze sono condivise anche tramite blog online, forum, tutorial e altri progetti aperti alla collaborazione. Oltre ad avere un peso economico notevole, queste competenze hanno persino modificato l’architettura dei luoghi, il loro panorama urbano e la quotidiana realtà sociale delle zone interessate. Queste competenze richiedono qualità come buona manualità, precisione, perseveranza, creatività, abilità e pazienza. E l’incessante, impossibile ricerca della precisione e altri aspetti teorici della misura del tempo. Si crea, in questo modo, una forte dimensione filosofica”.
Vorrei solo aggiungere alcune piccole note storiche per comprendere meglio l’orologeria.
Già durante il periodo ellenistico, Archimede da Siracusa (morto nel 212 a.C.) studiava sistemi di scappamento per “motori ad acqua” adatti a macchine per la misurazione del tempo. Macchine (come quella detta “di Anticitera”) dotate di una meccanica sofisticatissima, in grado di fornire una quantità d’informazioni temporali semplicemente straordinaria, ma prive di un “motore” che le rendesse indipendenti. E per questo Archimede ed altri avevano pensato all’acqua che scorre in un fiume.
La “via meccanica” all’orologeria fu quasi dimenticata per lunghi secoli proprio per l’impossibilità di trovare un motore in grado di rendere costante e duratura la misurazione. Anche per questa ragione si preferivano monumentali orologi solari, che portavano prestigio enorme a chi li commissionava. Poi, in qualche momento del Medio Evo, si trova finalmente il “motore” nell’uso di due pesi asimmetrici, che creano una rotazione dell’asse su cui sono avvolte le corde che li collegano. Nascono gli orologi da torre, quelli dei campanili, e i loro “alter ego” miniaturizzati, i cosiddetti “svegliarini monastici” (ma non si è ancora capito quali dei due tipi apparvero per primi). Il compito di questi ultimi era scandire con la massima precisione possibile le ore della preghiera e del lavoro dei monaci.
Il vero passo avanti viene fatto nel Rinascimento, quando la creazione di molle in acciaio temprato consente di trovare una sorgente d’energia ancor più versatile dei pesi. Una pratica utilissima anche per le serrature delle casseforti, oltre che per le armi, produzioni in cui l’Italia era specializzata. Nascono e si sviluppano così orologi trasportabili, talvolta persino di dimensioni tanto minuscole che il movimento poteva essere inserito nel castone di un anello. Erano più che altro “oggetti di vanità”, destinati a trasmettere il senso della ricchezza e del buon gusto di chi li possedeva. L’involucro esterno (la cassa) diventava così parte integrante di orologi che sapevano già allora essere anche arte.
Un altro impulso fondamentale all’evoluzione dell’orologeria proviene dalla comunità scientifica, che aveva bisogno di strumenti per calcolare il valore di un esperimento nell’unità di tempo; e dalla marineria, che solo con i cronometri da marina riesce a misurare con efficacia la longitudine in mare, eliminando o comunque riducendo alcuni rischi della navigazione. E proprio per questa ragione l’orologeria fiorisce in particolar modo fra le grandi potenze marinare come Francia e Inghilterra.
Ma la Francia ingaggia una lunga battaglia contro i protestanti Ugonotti, molti dei quali sono orologiai. Stragi e persecuzioni culminano con la definitiva fuga degli Ugonotti dalla Francia. Molti di loro, sperando di poter un giorno tornare in patria, si sistemano appena oltre il confine con la Svizzera, nella parte elvetica del Jura. Sono ancora lì, a far grande l’orologeria svizzera.
Vogliamo ancora parlare di accessori di moda, di stravaganze per uomini ricchi e capricciosi? Certo, non tutti i Van Gogh finiscono nelle mani giuste. Certo, non sempre l’arte è facile da capire. E non tutti gli orologi sono arte, ma nemmeno tutti i quadri, tutte le sculture, tutte le musiche possibili. Ignorare il significato più forte dell’orologeria è solo – appunto – un problema di ignoranza e non di competenza. Indipendentemente dal fatto che l’orologeria sia o non sia una propria passione.