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Dietro le quinte: LVMH vuole far saltare il banco

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Chi va per mare lo sa bene: fra le onde servono timonieri esperti, in grado di capire quando ci vuole coraggio e quando è meglio la prudenza. LVMH, ad esempio…

Il colosso LVMH

LVMH è l’acronimo (le iniziali, per intenderci) di Louis Vuitton Moët Hennessy. Il gruppo francese fondato da Bernard Arnault nel 1987 e proprietario di una impressionante quantità di marchi d’alto e altissimo livello. Non uso la parola lusso perché non mi piace: la trovo fuorviante. Nell’immaginario collettivo è sinonimo di opulenza, ma quella con il lusso non c’entra niente.

Per quanto riguarda l’orologeria LVMH è proprietaria del transatlantico Bulgari (che nasce come argentiere, poi diviene gioielliere, ma ormai da parecchi anni produce orologi apprezzati anche dagli appassionati più intransigenti); della corazzata TAG Heuer, dell’incrociatore Hublot e della corvetta Zenith. Cui aggiungerei anche la stessa Louis Vuitton (che fa orologi – venduti però solo nelle boutique – tutt’altro che disprezzabili); e vi metterei su anche Christian Dior, che zitta zitta sta conquistando un mercato sempre più qualificato. Per non parlare della questione Tiffany & Co.

Quasi 48 miliardi di fatturato in euro, il gruppo parigino ha stupito tutti all’inizio del 2020, aprendo le danze dell’anno orologiero. Un timoniere coraggioso ha preso la decisione con una manifestazione a Dubai per presentare le novità. Prima delle fiere. Che però sono saltate tutte per aria, una dopo l’altra come palloncini, a causa del Covid. Di fatto, la presentazione di Dubai è stata l’unica vera fiera internazionale fisica del 2020. Ma non basta. Il timoniere di LVMH ha fatto anche una virata calibratissima pure sulle consegne. Mi spiego meglio.

Il ruolo delle fiere

Di solito le novità presentate durante le manifestazioni fieristiche (fino a qualche anno fa a Ginevra e Basilea, essenzialmente) arrivavano sul mercato dopo qualche mese. Perché – sempre di solito – le marche aspettano di vedere cosa accade in fiera per iniziare la produzione e stabilire i prezzi veri. Ad esempio, se un modello ha successo si può incrementare la produzione e limare i prezzi, tenendo anche conto di quel che fa la concorrenza. O si può decidere di non andare oltre e in questo caso qualcuno annuncia che un determinato modello “non è per il nostro mercato”, eufemismo con il quale si ammette il passo falso.

Il problema è, ad esempio, che se presenti un subacqueo a marzo, diciamo, difficilmente arriverà sui mercati prima di ottobre o novembre. Non sempre il momento migliore per gli orologi subacquei.
Bene. Già lo scorso anno le marche LVMH avevano iniziato a produrre prima della manifestazione di Dubai, riuscendo quindi a consegnare subito o comunque in tempi brevi la maggior parte delle novità. E bruciando sul tempo i concorrenti, conseguentemente. Bel colpo. E quest’anno?

LVMH e le fiere phygital

Il 2021 si è aperto, come tutti si aspettavano, con una versione telematica della LVMH Watch Week. Telematica per ovvie ragioni e apertura perché col cavolo che LVMH molla la propria posizione di “le danze le apro io”. Dopodiché avremo dal 7 al 13 aprile Watches and Wonders, in cui saranno presenti Bulgari (Bulgari e Cartier sotto uno stesso tetto! Nessuno ci avrebbe mai creduto, fino allo scorso anno) e tutte la altre marche principali di LVMH.

Apro una parentesi graffa. A tutt’oggi le marche aderenti a Watches and Wonders sono trentotto: A. Lange & Söhne, Arnold & Son, Baume & Mercier, Bulgari, Carl F. Bucherer, Cartier, Chanel, Chopard, Chronoswiss, Corum, Ferdinand Berthoud, Greubel Forsey, H. Moser & Cie, Hermès, Hublot, IWC, Jaeger-LeCoultre, Louis Moinet, Louis Vuitton, Maurice Lacroix, Montblanc, Nomos Glashütte, Oris, Panerai, Patek Philippe, Piaget, Purnell, Rebellion Timepieces, Ressence, Roger Dubuis, Rolex, Speake-Marin, TAG Heuer, Trilobe, Tudor, Ulysse Nardin, Vacheron Constantin e Zenith.

Tante. Con qualche assenza di rilievo (Breitling, per esempio), ma comunque si sta creando l’ossatura per una manifestazione fieristica davvero rappresentativa.
Alcune di queste marche (A. Lange & Söhne, Baume & Mercier, Cartier, Chopard, IWC, Jaeger-LeCoultre, Montblanc, Panerai, Piaget, Roger Dubuis, Rolex, Tudor, Ulysse Nardin e Vacheron Constantin) saranno poi presenti fisicamente a Shanghai, sempre in aprile. Fisicamente – e in tutta sicurezza.
Parentesi tonda. Spicca, stando alla situazione attuale, l’assenza di Girard-Perregaux, che pure appartiene al gruppo Kering come del resto Ulysse Nardin, presente invece all’appello. Vorrà dire qualcosa? Chiusa parentesi tonda e torniamo a LVMH.

Cosa cambia?

Mi dirai: ma a me cosa ne viene? Cosa m’interessa se LVMH anticipa i tempi? Beh te ne viene, ad esempio, che LVMH “fa” i prezzi, presentando per prima le novità e rendendole subito disponibili. E fa le tendenze. Orienta gli stessi negozianti. E riesce anche a fornire una impressione visione generale ad ampio spettro.

Quest’anno c’è stata l’esplosione di creatività di Bulgari, ad esempio. Ma c’è stato anche il consolidamento della strategia di Hublot, che vede prevalere modelli in serie limitata (numerata o meno) da distribuire essenzialmente nelle proprie boutique. E c’è stata la conferma di Zenith, che sembra aver raggiunto la maturità estetica, dopo quella tecnica e dopo aver seguito un lungo percorso che sta infine rivelandosi vincente. E c’è stata, qualche giorno dopo, la fiammata TAG Heuer, che si è presa tutta la scena con un accordo a largo spettro (e di lunga, lunghissima durata) con Porsche: TAG Heuer Carrera e Porsche Carrera sommano mito al mito. Roba potente.

La svolta dell’orologeria

E te ne viene – me ne viene, ce ne viene – che LVMH sembra aver pienamente recepito la dichiarazione dell’Unesco secondo la quale l’orologeria svizzera viene dichiarata bene artistico universale. È la conferma che l’orologeria non è più solo ideazione e realizzazione di strumenti utili all’uomo. Ma si è trasformata anche in una vera e propria forma d’arte. E come tale dovremo sempre più considerarla nel futuro.
Mi dirai: ma chi te lo dice, tutto questo? Occhei, l’Unesco ha detto blablabla, ma chi ti dice che LVMH si sia trasformata nel profeta dell’orologeria artistica?

Beh, in effetti “profeta dell’orologeria artistica” è una esagerazione (del resto metti l’arte sull’orologio è quel che fa Swatch da decenni), ma il senso della svolta lo fornisce una donna, una grande donna: Carole Forestier. Tecnico progettista di straordinaria qualità ed esperienza, è stata la prima ad avere una concezione artistica dei movimenti meccanici, creando capolavori assoluti per Cartier, in oltre vent’anni di lavoro alla testa del reparto tecnico. In un silenzio assordante (causato anche dal Covid e dalle periodiche chiusure delle fabbriche d’orologi), nel 2020 Carole Forestier è passata al gruppo LVMH, destinazione (ufficiale) TAG Heuer. Un colpo da maestri compiuto da Frédéric Arnault, Ceo di TAG Heuer, e da Stéphane Bianchi, Ceo della divisione Watch and Jewelry del gruppo LVMH.

Credetemi: l’orologeria sta per cambiare molto, molto profondamente. Niente sarà più come prima. E LVMH vuole essere fra i protagonisti di questa svolta. È chiaro.