La spinta al rinnovamento impressa dalla Rivoluzione Francese non ebbe solo conseguenze di carattere politico, sociale ed economico. Tra le meno note, ma non per questo meno interessanti, ci fu una sorta di ossessione, di mania di razionalizzazione, in tutti gli ambiti.
Inoltre, in spregio all’antica usanza di porre in primo piano la figura regale, si volle far assurgere a riferimento tutto ciò che aveva a che fare con la vita rurale. Insomma, si voleva incoronare il popolo.
Napoleone fu sostenitore dell’iniziativa. Se l’adozione del sistema metrico decimale, che fu una delle conseguenze, portò verso una utile unificazione di pesi e misure, non sempre i buoni propositi, come l’introduzione del tempo decimale, si rivelarono un successo.
La Rivoluzione Francese proponeva, a livello politico e filosofico, una rifondazione integrale per spazzare via l’Ancien Régime e introdurre un mondo nuovo.
È di quest’epoca la creazione dell’Ufficio Pesi e Misure di Sèvres, in cui è conservato, ad esempio, il metro campione di platino-iridio. Si desiderava abbandonare l’approccio tradizionale e introdurre una standardizzazione universale, una razionalizzazione dei sistemi mai conosciuta precedentemente.
Quando da volumi, superfici e lunghezze si volle entrare nel dominio del Tempo, con il tempo decimale, iniziarono i guai.
Il calendario repubblicano
Ma andiamo con ordine. Si volle mettere mano al calendario: i nomi dei mesi, che si rifanno al calendario romano, vennero ritenuti inopportuni. Si decise che gli anni non si sarebbero più computati dalla nascita di Cristo ma dal 1792, anno di inizio della Repubblica. L’anno non sarebbe più iniziato con il primo gennaio, ma con l’equinozio di autunno, il 22 settembre. E i dodici mesi sarebbero stati denominati con termini che richiamavano la natura e le attività agricole. Da qui Vendemmiaio, Brumaio, Frimaio, Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germile, Fiorile, Pratile, Messidoro, Termidoro e, per terminare, Fruttidoro.
Ogni mese era di trenta giorni, divisi in tre decadi da dieci giorni che soppiantavano l’antica settimana di sette. Ma dato che 12 x 30 dà 360, nell’anno “bisestile” entravano 5 giorni supplementari per rimettere le cose in pari.
Questo sistema prese il nome di calendario repubblicano e alla sua definizione collaborarono scienziati della statura di Laplace e Lagrange.
Esteso per norma a tutti i Paesi su cui Napoleone andava estendendo la propria influenza, fu meramente ignorato dal punto di vista orologistico, con rarissime eccezioni. Mentre traccia evidente si ritrova, ad esempio, sui documenti e sugli editti, nei quali la data riportata segue quella delle indicazioni del governo francese del tempo.
La settimana, pur nascendo sotto gli sbandierati auspici di un potere degli strati sociali più svantaggiati, introdusse una novità ben poco gradita al popolo: il meritato giorno di riposo non arrivava dopo sei, bensì dopo nove giorni lavorativi! Ben presto montò il malcontento.
Il tempo decimale
Napoleone ritenne sorpassata la divisione del tempo della giornata in 24 ore da 60 minuti. Nello spirito di razionalizzazione dell’Età dei Lumi, introdusse la divisione del giorno in 10 ore, ognuna delle quali di 100 minuti, a loro volta suddivise ognuna in 100 secondi. Un omaggio al sistema decimale, di cui era fortissimo sostenitore.
Nel 1806, nonostante le pressioni politiche, si lasciò da parte il sistema per la sua scomodità, dato che risultava ostico e incomprensibile per la quasi totalità della popolazione. Dopo la sua introduzione nel 1793, per ironia della sorte lo soppresse lo stesso Napoleone, che ripristinò il vecchio sistema temporale e il calendario gregoriano. Curiosamente, essendo entrato in vigore nel 1793, mentre la Repubblica era stata dichiarata nel 1792, non è mai esistito un anno 1 della Repubblica!
Pochi e molto ricercati gli orologi costruiti seguendo il sistema rivoluzionario. Alcuni di essi, per rispettare i dettami del potere e nel contempo mantenere comprensibile la lettura del tempo, riportavano sullo stesso quadrante sia le indicazioni duodecimali che quelle decimali. Solitamente erano su due scale concentriche, una più esterna e l’altra più interna. In particolar modo negli orologi da tasca, i rari “rivoluzionari” spesso riportano, sul quadrante o sulla cassa, simboli della rivoluzione come il tricolore francese o il berretto frigio.
Rarità, oggetti da collezionismo ma soprattutto testimonianze di una storia forse minore, di cui però i nostri orologi ancora una volta ci raccontano lati meno conosciuti ma affascinanti.