Attualità

Il Cubitus, lettera aperta sull’affaire Patek Philippe

Lo confesso. Anch’io, appena ho visto il nuovo Cubitus, ho pensato: «Toh, Patek ha fatto il Nautilus quadrato». Poi però l’ho guardato meglio e ho notato che la lunetta non era quadrata ma ottagonale – come l’intera cassa, del resto. E man mano che osservavo com’è fatto, ho capito che è uno di quegli orologi che si scoprono a poco a poco, per come è costruito, per quanto è complessa l’architettura, per quanti dettagli nasconda… E ho (affettuosamente) invidiato un ipotetico proprietario, che ha la fortuna di trovarsi fra le mani qualcosa di cui difficilmente potrà stancarsi – tanto è ricco di particolari che si impara a percepire in modo graduale.

Perché il Cubitus, ora?

Ed è un po’ il motivo per cui ne scrivo adesso, settimane dopo il lancio. Per metterne in evidenza le peculiarità, che non si colgono a botta calda. Per parlarne in modo lucido e dopo averci pensato su. E andare oltre il “mi piace/non mi piace”, che ha spaccato il pubblico a metà, e che francamente penso sia una considerazione del tutto inutile. Non perché non sia importante che un orologio piaccia, ma perché i gusti sono soggettivi (l’ho scritto infinite volte). E se a qualcuno una cosa non piace, beh… ci sarà qualcun altro che invece l’adora: chi dei due ha ragione? Oltretutto sono anche mutevoli, i gusti personali: una cosa nuova può non piacere perché la troviamo insolita, strana, non convenzionale. Perché non siamo abituati a vederla – ma, quando ci siamo fatti l’occhio, l’apprezziamo eccome…

E poi tutti sappiamo quanto l’ambiente dell’orologeria sia “conservatore”, soprattutto in senso estetico. Quanto sia restio ad accettare le novità, ad uscire dalla propria comfort zone di forme e di modelli. Ma non mi riferisco tanto alla gente comune, ai leoni da tastiera, agli hater a prescindere – che lasciano il tempo che trovano. Il fatto che i detrattori urlino più forte degli altri non vuol dire nulla. Ce l’ho, piuttosto, con i sedicenti influencer, blogger e youtuber, che si arrogano il diritto di sparare giudizi in nome di chissà quale autorità e senza avere alcuna competenza, forti solo del loro gregge di follower (il che non depone bene per gli appassionati del settore).

Novelli Petronius dell’ultim’ora che si atteggiano ad arbiter elegantiarum, ma che sembrano più il Marchese del Grillo di Lord Brummel. Aveva davvero ragione Umberto Eco quando diceva che internet ha dato parola a legioni di imbecilli? Lasciamo perdere…

Saper aspettare

Cerchiamo piuttosto di fare un minimo di commento critico (nel senso più profondo del termine) che finora in pochi hanno fatto. Certo non chi si è preoccupato di buttar giù in fretta e furia una recensione che scopiazza la cartella stampa, preso dall’ansia di pubblicare in tempo reale, ma senza soffermarsi sulle cose realmente importanti. Credo invece che sia stato utile aspettare, per poter scrivere qualcosa di sensato sulla base di quello che è successo in queste settimane. È uscito solo ieri per esempio il video della campagna del Cubitus Grand Date 5822, in cui il messaggio sotteso alla collezione è espresso chiaramente. Così come il target di riferimento. E nelle scorse settimane tutti abbiamo avuto modo di leggere le interviste rilasciate dal Presidente Thierry Stern, che si è assunto tutte le responsabilità del “fattaccio” e ha spiegato il punto di vista dell’azienda.

Ancora, abbiamo visto come il Cubitus è stato accolto dal mercato. Perché, al di là dei commenti più o meno negativi, contano i numeri. I primi pezzi della collezione sono arrivati nei negozi dei rivenditori e si sono letteralmente volatilizzati – alla faccia di chi lo definiva un flop. A richiederlo (ancora prima che fosse distribuito) chiunque abbia anche solo una piccola collezione di Patek Philippe, così come quelli che riconoscono lo “status” della Manifattura. Uno per tutti, Mark Walhberg: che lo indossava già pochi giorni dopo il lancio (anzi, se lo toglieva per entrare in sauna) e lo sfoggiava su Instagram – agli antipodi dalla politica di riservatezza sempre seguita dall’azienda ginevrina. Intanto però ha mostrato al pubblico “come sta” veramente al polso l’orologio – a dispetto del refrain «ma è trooooppo grande!» proclamato da tanti.

Chiaro, tra quanti sono riusciti ad accaparrarsene uno, ci sono stati anche gli speculatori. Che hanno fatto schizzare in alto, perfino quintuplicare, il prezzo del Cubitus Ref. 5821 (quello in acciaio con quadrante verde). Passato, su un noto sito di secondo polso, dai 41mila e qualcosa euro originari a oltre 200mila. Cosa che personalmente trovo scandalosa, non solo per i filibustieri che lo vendono ma anche per i polli disposti a comprarlo. Eppure – ne prendo atto – è un fenomeno che caratterizza l’orologeria di oggi, e si riscontra puntualmente, quando esce un nuovo esemplare che fa scalpore. Una brutta deriva per chi ama davvero gli orologi, e per chi – naïf e ingenuo come me – pensa ancora che gli orologi andrebbero comprati perché piacciono e non per farci il business. E del tutto fuori controllo dalla volontà di Patek.

A proposito dell’estetica

Detto questo, diamo un’occhiata veloce alle tanto vituperate caratteristiche del Cubitus. Poi, in futuro, faremo un’analisi tecnica più approfondita dei due modelli usciti finora. Qui mi limito ad accennare a certe questioni di rilievo. Come le dimensioni, appunto: quei 45 mm in diagonale visti come un’enormità – manco avessimo tutti dimenticato i tanti 47 mm che andavano per la maggiore anche solo una decina di anni fa. Patek, si sa, è sempre andato in contro-tendenza: all’epoca dei “tegamini” si ostinava a realizzare i suoi classici 37/38 mm. Oggi, da bravo bastian contrario, va avanti per la propria strada e propone un oversize, anche se sono tornati di moda i diametri contenuti. Oddio, che Patek vada oltre le mode? Che non segua pedissequamente il marketing comune? Che rivelazione! E comunque, con buona pace di chi ha il polso piccolo, ha già dichiarato che usciranno altri formati, altre dimensioni.

Parliamo della cassa. Che è grande, appunto, ma è estremamente sottile: 8,3 mm il solo tempo, 9,6 il complicato – a tutto vantaggio della vestibilità. Poi, la costruzione monoblocco: bipartita, con il fondello che è tutt’uno con la carrure e la lunetta separata. L’incassatura del movimento quindi avviene dall’alto, con le “cerniere” laterali serrate da quattro viti. Ogni riferimento al Nautilus è voluto e non è affatto casuale, anche riguardo al quadrante. Diretta ripresa di un successo riconosciuto e riconoscibile, firma distintiva di una collezione celeberrima. Del resto è un design che appartiene alla storia della Casa, e che funziona. Non trovo sia stupido volerlo riproporre in chiave nuova. E poi ci sono quelle finiture pazzesche, tipiche di Patek Philippe, che in questo caso hanno avuto bisogno di qualcosa come 55 operazioni manuali per ogni orologio (bracciale compreso).

Le meccaniche del Cubitus

Un tasto dolente per molti, quello dei movimenti. C’è chi contesta il fatto che il Cubitus complicato monti il ben noto 240 e non un calibro del tutto nuovo. Magari non ha considerato che presenta inedite indicazioni – gran data, giorno della settimana e fasi di luna, tutto istantaneo – per le quali Patek ha depositato sei domande di brevetto (sei, non due, che già sarebbero tante). Basti dire che una riguarda “la gestione dell’energia necessaria alle diverse visualizzazioni e al loro salto simultaneo in 18 millisecondi” (cito letteralmente la cartella stampa). Scusatemi se è poco. E poi qualcuno ha la sfera di cristallo? Qualcuno sa con certezza cosa ci riserverà il futuro, se la collezione è destinata ad avere ulteriori complicazioni o calibri sviluppati ad hoc? Sappiamo solo che altri esemplari sono in cantiere – lo ha detto il Presidente – e la pianificazione dei movimenti Patek è definita fino al 2039.

Il che risponde anche all’altra critica: i solo tempo sono equipaggiati dal calibro 26-330 S C, che deriva dal suo omonimo del 2019. Lanciato quindi l’altro ieri, né obsoleto né superato. Non vedo perché se si ha in casa un movimento funzionale a uno scopo non lo si possa utilizzare. Lo scandalo è che è piccolo e non “di forma”, come la cassa? Ma avete idea di quanto costi – in termini di tempo, risorse, investimenti – progettare e realizzare un nuovo movimento? Quanti anni ed esemplari servano per ammortizzare la spesa? Magari si può ipotizzare che il gioco non valesse la candela, nel senso che il Cubitus non è che una parte della produzione di Patek e i modelli XL una parte ancora più ridotta.

La mia sensazione è che tutti si siano precipitati a esprimere giudizi per lucidarsi il proprio ego. Senza avere alcuna idea dell’intero progetto, senza averci ragionato su granché. Senza neppure aver visto il Cubitus fisicamente…