Protagonisti

Laura Gervasoni, una manager dal successo emotivo

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Continuano le interviste “personali” di Caterina Ruggi d’Aragona. A colloquio, stavolta, con Laura Gervasoni, Direttore generale di Patek Philippe Italia. Che parla degli anni trascorsi in azienda, delle capacità organizzative delle donne. Delle soddisfazioni personali e della figlia undicenne…

Vent’anni di servizio, con lo spirito e l’entusiasmo di una ragazzina. Laura Gervasoni, Direttore generale della filiale italiana di Patek Philippe, si racconta aprendo idealmente le porte del suo ufficio e quelle di casa sua. Ci ritroviamo davanti una donna, manager e madre, italiana, che non separa mai una dimensione dall’altra. “Considero un privilegio e un record essere arrivata al 21° anno di esperienza in una maison storica e prestigiosa come Patek Philippe”, racconta. La proposta di entrare in azienda, come Responsabile delle relazioni esterne, fu il suo “treno Freccia Rossa che passa una sola volta nella vita”. Patek Philippe già all’epoca era una casa blasonata, con un sistema articolato e una manifattura piena di storia ma, al tempo stesso, innovativa. “E in questi 20 anni c’è poi stata un’importante evoluzione positiva”, commenta.

Laura Gervasoni, nata a Milano, sognava di diventare guida turistica. «Mi ha sempre interessato viaggiare e comunicare con la gente. Ho studiato lingue. Parlare bene inglese e francese e discretamente il tedesco, quando le lingue erano considerate un plus, mi ha aperto diverse opportunità lavorative“, spiega. “Dopo due o tre società, sono approdata in una concessionaria pubblicitaria, poi in un’altra e in un’altra ancora. In quel girovagare ho avuto un ruolo preciso: seguivo i clienti esteri nelle case madri, tra cui Patek Philippe. Che, quando ha deciso di aprire la filiale italiana, mi ha affidato le relazioni esterne».

Nel 2006 è arrivata la direzione della filiale, dove non ha mai smesso di coltivare le persone come membri di una famiglia. “Siamo in pochi, non abbiamo una scala gerarchica esagerata, i rapporti sono molto distesi; e questo ha creato un ambiente armonioso, dove si lavora meglio”. Empatia femminile? “Non tutte le donne sono empatiche, io mi considero un’estroversa. E poi siamo italiani…”.

Il successo per lei più soddisfacente non è legato al fatturato né alla riuscita di un evento. Lo definisce successo “emotivo”: Philippe Stern, Presidente onorario della casa orologiera svizzera, sua moglie, e il figlio Thierry, attuale Presidente di Patek Philippe, quando l’incontrano, la baciano. “È per me una prova di affetto legato a stima. Ci conosciamo da vent’anni”, sottolinea. “Essere donna sicuramente mi aiuta. Ricordo sempre che fin dagli inizi il signor Stern diceva: ‘Laura non sta mai ferma con le mani, quando fa una presentazione si accompagna con tutto il corpo’. Siamo italiani”, ribadisce il Direttore di Patek Philippe Italia, “faccio fatica a immaginare un collega giapponese così espansivo”.

Per lei ci sono comunque anche successi oggettivi. Per esempio l’inaugurazione della prima boutique capitolina di Patek Philippe in collaborazione con Hausmann & Co., a metà settembre. Applausi a scena aperta, per la gestione dell’evento, sono arrivati da tutto l’headquarter ginevrino, confluito a Roma per l’occasione. Il momento clou è stato la sera a Villa Giulia – complice anche il fascino della Città Eterna, naturalmente ricca di suggestioni.

Pensare che quando Laura Gervasoni, una donna, ebbe la nomina in Patek Philippe, alcuni concessionari si erano detti: “Vedrai che resiste qualche mese”. “Non potrei diventare un chirurgo, ma sono certa che chiunque abbia buona volontà riesca a crearsi un proprio bagaglio”, commenta. “Noi donne siamo più dirette degli uomini. Un sì è un sì, un no è no: io non offro mai false speranze. E poi, non per vantare il genere, è vero che noi donne siamo un passo avanti sull’aspetto organizzativo: siamo più strutturate nella gestione di impegni e timing. Un po’ per natura e un po’ perché, con mille cose a cui pensare, se non abbiamo un’agenda perfetta finiamo per buttare tutto all’aria”.

Donna, manager, mamma. Convinta che la maternità l’abbia migliorata, nella vita (certamente) e anche sul lavoro. “Un dono, arrivato all’età di 44 anni”. Commenta così la nascita di sua figlia Rachele, che oggi di anni ne ha 11. “Con la maternità il mio lavoro è migliorato: prima vivevo a livello personale qualsiasi problema, ci pensavo tutta la notte”, confessa. “Avevo magari reazioni impulsive e prendevo decisioni immediate che non sempre erano quelle giuste. Dopo la nascita di Rachele ho imparato a lasciare i problemi in stand-by 1 o 2 giorni e a rifletterci senza farli diventare un’ossessione. Questo non significa trascurarli, ma avere un approccio più disteso, riflessivo”.

“Respirare lentamente”: è questa la sua ricetta per tenere in equilibrio lavoro e famiglia, tanto più ora che inizia ad affrontare la pre-adolescenza della figlia. “Adesso siamo nella fase ‘non ho niente da mettermi, i miei capelli sono orribili…’. Tutto questo al mattino, mentre dobbiamo uscire”. Sveglia alle 6,30, alle 7,35 si esce per portare Rachele a scuola: la campanella suona alle 7.50. “Per ora ho smesso di giocare a golf e viaggio poco. Vita sociale meno di zero, solo occasioni aziendali. Piuttosto invito gli amici a casa. Non mi mancano i contatti con le persone, il lavoro mi porta a incontrare tanta gente e frequentare bei posti. Quello che mi manca”, confessa, “è un po’ di tempo per me, da dedicare alla mia persona. Si fa sempre fatica ad andare dal parrucchiere o a fare la manicure”.

Ora che Rachele cresce, aumentano però le esperienze di condivisione mamma-figlia. Come un bel film da vedere assieme sul divano. “L’ultimo è stato ‘Bohemian Rhapsody’, che mi ero persa (al cinema, ndr): l’abbiamo guardato assieme, e commentato a lungo”, racconta. Il momento più bello arriva la sera. “Rachele dorme nel suo letto, ma si addormenta con me. Quello è un momento che mi piace molto: lei è calma, ricettiva. Se devo farle notare un atteggiamento che non va è quello il momento giusto; sgridarla durante una lite non servirebbe a niente. Poi c’è il piacere di una mamma che addormenta sua figlia. Noi non siamo come gli anglosassoni che mettono i figli a letto alle 8, spengono la luce e vanno in un’altra stanza”.

Saremo pure mammone, noi italiane, ma nella condivisione dei momenti dolci con i nostri figli non ci facciamo mancare proprio niente. “Rachele adesso”, aggiunge Laura Gervasoni divertita “mi dà anche consigli sul lavoro. Sta ancora elaborando l’esperienza vissuta a Singapore, dove mi ha accompagnata per l’inaugurazione della Watch Art Grand Exhibition (la mostra aperta dalla maison ginevrina nell’anno del bicentenario di Singapore, per sottolineare l’importanza del mercato asiatico, ndr). Il suo primo volo intercontinentale, la visita ai giardini botanici, all’acquario e allo zoo. L’esposizione dell’orologio in edizione speciale per quel mercato, con una tigre in smalto bianco. L’ha osservato a lungo, poi ha detto: “Saprei farlo anche io”. Modesta! Però è vero che è una brava disegnatrice: l’anno scorso ha fatto un disegno strepitoso di una tigre con serpente e dragone”.

Un serpente certamente no, un dragone neppure. Forse, con tanta grazia, Laura Gervasoni saprà essere anche tigre, per affrontare le sfide del futuro. “Sul lavoro, la sfida principale è ora concentrarsi sempre di più sulla clientela locale, invitando anche i concessionari a coltivare i clienti italiani, servendoli al meglio a 360°”. E conclude: “La nostra produzione è sempre molto contingentata a favore di rarità ed esclusività. Piuttosto che il turista di passaggio, è sempre meglio favorire il vicino di casa interessato e appassionato”.