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Dietro le quinte (3): il mercato parallelo e altri accidenti

Parliamo ancora del mercato degli orologi (svizzeri). Un mercato di nicchia, scombussolato dall’arrivo dei grandi gruppi finanziari, dei loro manager generalisti e delle loro strategie. Con conseguenti ripercussioni sui negozianti, fra “parallelo” e boutique monomarca

cifre immobilizzate dai negozianti (ma non solo). I quali però poi comprano meno orologi nuovi: perché hanno capitali via via ridotti, e per evitare di ritrovarsi le casseforti ancor più piene di orologi invenduti e le tasche vuote di soldi.

Solo quando la situazione si è fatta davvero grave i gruppi finanziari che controllano gran parte dei marchi d’alta orologeria hanno cominciato a cercare soluzioni. Nel frattempo, hanno chiuso un occhio sul mercato parallelo che è una sorta di outlet nascosto ma non troppo, illegale ma non troppo, pericoloso ma non troppo. Ma solo apparentemente, solo in determinate condizioni economiche – espansive.

È chiaro che è interesse di molti alimentare questo mercato che non è solo parallelo, ma anche piuttosto oscuro: ai negozianti consente un po’ di “ossigeno”, ai produttori consente di non doversi prendere carico dell’invenduto. Una valvola di sfogo non certo etica, perché nel mercato parallelo finivano anche orologi usati di dubbia provenienza e persino falsi; ma abbastanza efficiente per compensare almeno in parte l’altalena dei mercati.

Un male, certo, ma un male che in tanti hanno considerato, se non necessario, comunque un male minore. Attenti: la cosa ha senso, in un mercato molto più ampio e con prezzi unitari inferiori come può essere quello dell’abbigliamento. Se preferisci funzionari di vendita generalisti a chi il settore lo conosce bene, non stupirti se detti funzionari non capiscono le peculiarità del mercato orologiero.

Certo, tu, multinazionale finanziaria, puoi provare a piegare il mercato orologiero alle tue esigenze, alla tua personale idea di mercato dell’orologeria. Ma non stupirti, poi, se i tuoi orologi perdono credibilità perché con il mercato parallelo vengono – talvolta – offerti da persone che sembrano aver fatto la gavetta nello spaccio di droghe & affini.

L’altra idea è quella di aumentare gradualmente la produzione, senza però intaccare la qualità. Chi guida i gruppi finanziari sa bene che il valore di ciò che ha acquistato permane solo se permane ciò che ha reso desiderabile il marchio in questione: la buona reputazione. Il problema è che parliamo di un mercato piccolo, nel quale le variazioni percentuali possono avere effetti macroscopici. Non è detto che aumentare la produzione sia la cura. Specialmente in un mercato che già non riesce a smaltire tutto quel che produce.

Pensa che ti ripensa, si cerca di passare ad una fase successiva: la razionalizzazione (vera o presunta) dei punti vendita. Va ricordato che il negoziante compra gli orologi e deve pagarli indipendentemente dall’averli venduti o meno; non ha il diritto di restituirli, per cui cerca comprensibilmente di limitarsi ad acquistare i modelli che considera in qualche modo sicuri.

Visto che i concessionari non erano più in grado di tenere in negozio una concreta rappresentanza di cataloghi sempre più sterminati, le principali Case hanno iniziato ad aprire boutique monomarca; anche per consentire al pubblico di avere riferimenti certi per la conoscenza diretta di orologi che poi, magari, si comprano, dopo averli ordinati, dai negozianti.

Ancora una volta i negozianti concessionari non l’hanno presa tanto bene. Le boutique non sono forse un grande sbocco per i clienti locali, ma portano via non pochi turisti e per giunta creano disagi nei Paesi che, come il nostro, sono ben legati alla tradizione del “negozio di fiducia”.

Dimenticavo: per quanto riguarda i turisti, noi italiani eravamo partiti benissimo, con evidenti vantaggi sulle altre nazioni sia in termini di cortesia e professionalità dei negozianti, sia in termini di effettivi vantaggi economici per i compratori stranieri. Poi le cose sono precipitate: all’estero hanno saputo correre ai ripari, con il concreto aiuto dei governi. In Italia l’idea di aiutare il commercio, specialmente di oggetti “di lusso”, sembra far venire l’orticaria a qualunque governo. Passato, presente o futuro.

Anche in questo caso il discorso sarebbe lungo e complesso. Mi rendo conto di aver già sbomballato abbastanza, ma almeno un accenno alla peculiarità del nostro mercato bisogna pur farla. Prossimamente.