Vetrine

Open heart: la meccanica mostrata con orgoglio

{"autoplay":"false","autoplay_speed":"3000","speed":"300","arrows":"true","dots":"true","loop":"true","nav_slide_column":5}
Slider Nav Image
Slider Nav Image

Si distinguono per il quadrante aperto sul movimento (di solito sul bilanciere, ma non solo). Focus su un “classico” dell’orologeria. Con un passato relativamente recente e un destino segnato. Rivolto agli appassionati

Il primo è stato il Chronomaster Open di Zenith, uscito all’inizio degli anni Duemila. Creato dall’istrionico Thierry Nataf, all’epoca Ceo della casa della stella, attraverso una strategica apertura sul quadrante mostrava il cuore del movimento in funzione. Il meccanico pulsare di bilanciere, ancora, ruota di scappamento e ruota dei secondi: un moto continuo, infaticabile, scandito con precisione. Una visione affascinante già di per sé – e non solo per gli amanti dell’orologeria -, qui addirittura resa ipnotica dal ritmo frenetico delle oscillazioni. Perché il Chronomaster Open non racchiudeva un movimento qualsiasi, ma il famoso (già allora) calibro El Primero 4021, ad alta frequenza. Che con le sue 36.000 alternanze all’ora offriva lo spettacolo della velocità imbrigliata, dell’energia palpitante e ininterrotta. “La macchina pulsante sembrava fosse cosa viva”, come cantava Francesco Guccini… Nascevano così gli orologi “open heart”.

Che poi non si trattava di un semplice artificio estetico. A quanto raccontava Nataf, era stata una vera e propria sfida tecnologica, per niente facile da realizzare. C’erano voluti due anni di ricerche per mettere a punto l’intero sistema: i tecnici della manifattura avevano dovuto trovare un escamotage per “imprigionare la foga” del bilanciere, progettare una nuova costruzione, ricalcolare forze, attriti e resistenze. E ci riuscirono grazie alle tecnologie digitali: studiarono l’integrazione di alcuni ponti con la platina e svilupparono quindi i componenti con i macchinari a controllo numerico, capaci di lavorare il metallo sulle tre dimensioni.

L’Open di Zenith fu un successo: creò una moda e divenne il capostipite di nuova generazione di orologi. Tutti con il quadrante aperto (anche se in posizioni diverse) a rivelare il cuore del movimento. Da cui il nome: open heart, appunto – da qualcuno anche detti heart beat. Da non confondere con gli scheletrati, per carità. Una tendenza che continua ancora ai nostri giorni, trasversale ai diversi segmenti di mercato. Anche se nei tempi più recenti sembra essere una prerogativa degli esemplari entry level. Quelli che, per vocazione e fascia di prezzo, ti aspetteresti forniti di pratici, economici movimenti al quarzo. E invece no: complice anche la produzione giapponese, ormai in grado di dar vita a movimenti automatici non solo robusti e affidabili, ma soprattutto dai costi concorrenziali, gli open heart di oggi esibiscono in modo più o meno generoso la propria anima meccanica. Quasi con orgoglio.