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Mario Peserico: le fiere, le vendite online e la qualità dell’informazione

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Una conversazione libera, al limite consentito delle “funzioni ufficiali”. Che sono tante perché Mario Peserico è contemporaneamente Amministratore delegato di Eberhard Italia e Direttore generale della casa madre svizzera Eberhard & Co.; è Presidente di Indicam, l’associazione che riunisce oltre 140 imprese per la tutela della proprietà intellettuale e per la lotta alla contraffazione e ai traffici illeciti; e infine Presidente di Assorologi, l’organizzazione di categoria che riunisce produttori e importatori di orologi. Mi direte voi: “Buon per lui, ma a noi cosa importa?”.

Beh, a parte il fatto che la conoscenza di alcuni “dietro le quinte” è utile per comprendere alcune realtà altrimenti fumose, l’aspetto più importante è sapere cosa pensano di noi, pubblico, i professionisti del settore. Perché se mi limitassi a raccontarvelo io, che il compratore è il Santo Graal, potreste anche non credermi. Ma se giorno dopo giorno scoprite che ne parla serenamente persino il Presidente di Assorologi, allora vuol dire che l’orologeria è un settore che ha ben poco da nascondere. E – detto incidentalmente – è proprio per questo che ancora mi piace, l’orologeria, dopo più di trent’anni che me ne occupo. Vivo tranquillo perché non devo nascondere nessuna fetenzia. Pur se – da bravi italiani auto-fustigatori – spesso anche i protagonisti dell’orologeria tendono a parlar male di sé.

Peserico mi conosce bene e mi anticipa: «Partiamo da Basilea? I dirigenti della fiera di Basilea purtroppo non hanno fatto scelte giuste, nel tempo. Sembrava fossero sulla buona strada per recuperare, ma… Come Eberhard l’abbiamo già lasciata da un po’, la manifestazione che era il perno dell’intero settore. Eppure, al tempo stesso, noi siamo sempre stati consapevoli di quanto una fiera sia necessaria. Ma dagli errori di Basilea nasce quella che sembra una seria riunione del settore a Ginevra. La mia unica riserva è sul fatto che non è prevista l’apertura al pubblico al momento».

Credo che alla fine il pubblico dei compratori sarà accolto. Covid permettendo, è chiaro. Già Watches & Wonders aveva aperto al pubblico, e ora che le fiere saranno due, a Ginevra, ed entrambe praticamente nello stesso luogo, sono certo che questo non sarà un problema. «Me lo auguro, però avevo sentito il contrario. Capisco che l’anno prossimo potremmo essere ancora sotto minaccia Covid, ma al di là delle difficoltà non vedo perché il pubblico non debba accedere. Perché il vero problema non è tanto riempire i negozi di orologi, ma di portare il pubblico verso di noi».

E il web? In certi casi ha fatto miracoli. «Credo dipenda molto dalle fasce di prezzo in cui operi», spiega Peserico. «Se sei alla base della piramide, se devi vendere tanti oggetti di prezzo molto contenuto, allora può anche andare. Ma già dalla fascia media le cose si fanno più complesse. Abbiamo fatto un po’ di test, e anche un sondaggio aziendale, per capire se e quanto l’online avesse aiutato le vendite in questo periodo. Per quanto riguarda Eberhard, il nostro cliente più importante in termini di utilizzo dell’online ha detto che ha avuto un calo del 75 per cento».

«Non solo, ma sembra che pure le grosse piattaforme – come Chrono24 e Chronext – abbiano avuto dei cali importanti», continua Peserico. «Il dato è avvalorato peraltro da quanto avevano sempre evidenziato le indagini di Assorologi: e cioè che il prezzo medio stentava a crescere. Gli orologi di prezzo medio non crescono alla stessa velocità del fatturato dell’online. Bisogna rivedere il nostro modo di comunicare con il compratore e trovo che questa sia una buona occasione. Superata la fase in cui il web era dominato dalle foto, ora c’è bisogno di informazione seria e completa. Sia se vuoi vendere direttamente viso a viso, in negozio, sia se vuoi vendere sul web».

Sì, credo sia una questione di credibilità, di fiducia, di reputazione. Se il negoziante ha già un proprio seguito di clienti che per qualche ragione – come il Covid, appunto – non possono andare in negozio, ma lo conoscono talmente bene da sapere che non gli darà mai una fregatura, allora la vendita online avrà già un senso. Ma per tutto il resto credo sia necessario scrivere nuove regole di comportamento, creare un nuovo patto con il compratore. «Sono assolutamente d’accordo. Noi in questi anni abbiamo sempre – e parlo per Eberhard – abbiamo sempre cercato di spingere i negozianti a fare il proprio sito, a vendere online o almeno a mettere online una vetrina», conferma.

«L’idea è che oggi la vetrina fisica non basta più per veicolare il messaggio del negozio e da sola non è più sufficiente per arrivare alla vendita. È l’unione delle due cose che ti consente di avere visibilità, di creare una immagine ben messa a fuoco. Il momento attuale ha ulteriormente evidenziato questa situazione e oggi dobbiamo tutti lavorare nella stessa direzione: marchi, associazioni, negozi, tutti. L’obiettivo è conservare la fiducia dei compratori di lunga data e conquistare quella di compratori nuovi. Sia chiaro: non sarà facile perché di cose storte da raddrizzare ce ne sono. Però al tempo stesso sono fiducioso».

«E sai perché? Perché noi, ormai da molti anni, vendiamo un prodotto che nessuno potrebbe definire “di primaria importanza”, dal momento che ormai l’ora te la dicono persino i forni. Ma è un prodotto di qualità straordinaria, pensato per essere il contrario dell’obsolescenza programmata; un prodotto che si basa su una lunga serie di virtù che devono essere reali. Altrimenti il passaparola boccerebbe l’orologio come prodotto non solo inutile, ma anche mal fatto», racconta.

«Ecco, tutto sommato noi dobbiamo “semplicemente” aumentare la qualità dell’informazione, la capacità di spiegare ciò che a ben vedere è già in quasi tutti gli orologi», conclude Peserico. «Dobbiamo solo riuscire a far comprendere che noi non imbrogliamo, non bariamo – perché darebbe la morte del nostro settore. Ecco, se riusciremo a lavorare con veri professionisti della comunicazione, allora ancora una volta l’orologeria avrà superato una delle tante crisi che ha affrontato negli ultimi cinque secoli almeno».