Attualità

Lo strano caso del TAG Heuer Connected fra Dr. Jekyll e Mr. Hyde

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E chi se lo aspettava? Dopo l’articolo sul Tag Heuer Connected abbiamo avuto molte reazioni contrastanti, ma tutte – per così dire – estreme.
Si oscilla dal “non vi leggerò mai più perché ne avete parlato” (ci dispiace, ma un giornalista non deve mai fare più di tanto il censore) al “mai più senza”. Un bel po’ di mai più, come si vede.

Il nuovo Tag Heuer Connected, come dice il nome, è un dispositivo connesso via Bluetooth al cellulare. Come tutti i dispositivi di questo tipo ha scatenato reazioni vivaci sin dalla sua nascita. Anche in me stesso, devo dire, che pure sono un acceso estimatore della tecnologia. E allora mi sono fatto quello che una volta veniva definito “un esame di coscienza” (oggi il politicamente corretto mi costringe a parlare di autocritica) e questo mi ha fatto venire in mente un bel romanzo.

Se non lo avete mai letto ve lo consiglio perché pur nella sua “antichità” è uno dei primi esempi di romanzo a sfondo psicologico. Si tratta di “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde” (“The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde”, pubblicato da Robert Louis Stevenson nel 1886). Un racconto lungo in stile gotico imperniato sulla convinzione (apparente) che il buon dottor Jekyll e il cattivissimo criminale signor Hyde siano due persone diverse. E va notato il gioco di assonanze fra Jekyll e Kill (uccidere), da un lato, e tra Hyde e Hide (nascondere) dall’altro, come a sottolineare che quasi in ogni buono si nasconde anche il male.

Anche in me. Da un lato abbiamo Verkyll che ama la tecnologia e dall’altro c’è Verhyde che tanto per cominciare si rifiuta di chiamare orologi questi dispositivi. A dire il vero anche Verkyll su questo punto ha non pochi dubbi: non è che ogni dispositivo che consente di leggere l’ora possa essere definito orologio, altrimenti dovrebbe esserlo anche il forno di Verkyll e la cosa non ha ovviamente senso.

Al tempo stesso l’elettronica ha da decenni un ruolo importante nell’orologeria. A partire dallo stesso orologio al quarzo, ad esempio, di cui non è certo in discussione la natura. Al contrario, è proprio un orologio al quarzo che regola il traffico degli impulsi senza i quali l’elettronica in generale non potrebbe esistere. E nel tempo si ricordano esempi fenomenali di orologi in cui l’elettronica ha avuto un ruolo importante.

Verkyll ricorda bene il Breitling Aerospace, con doppia lettura (analogica per ore e minuti, digitale per la parte crono), tanto per cominciare. E poi quel geniale Tissot T-Touch in cui si moltiplicano gli interruttori, uno per ognuna delle funzioni presenti. Fra l’altro il Tissot T-Touch è in arrivo anche in una particolare versione connessa che grazie al alcuni giochi di prestigio elettronici è in grado di far durare la batteria ben sei mesi.

E come non ricordare, prosegue Verkyll, che persino un maestro assoluto dell’orologeria meccanica come François-Paul Journe ha inventato l’Elégant, un modello al quarzo che va in standby quando riposa per un po’. Dopodiché, probabilmente grazie ad un accelerometro, riprende a funzionare quando viene nuovamente indossato. L’elettronica, insomma, secondo Verkyll non deve necessariamente essere demonizzata. Dopodiché ognuno sceglie secondo le proprie preferenze e le proprie idiosincrasie.

Verhyde ovviamente non è d’accordo. Cattivissimo, lui rabbrividisce di fronte a qualunque contaminazione fra il proprio concetto di orologio (deve essere meccanico. Punto e basta) e l’elettronica, sia pure d’alto livello come nel caso del TAG Heuer. Persino Verhyde, però, non può fare a meno di ammettere che, ad un contatto diretto, il Connected di TAG Heuer dimostra chiaramente d’essere frutto d’un grande produttore tradizionale di orologi. Già, perché entrambi – Verkyll e Verhyde – hanno avuto occasione di esaminare il Connected di TAG Heuer, ricavandone impressioni ovviamente contrastanti.

Verhyde ha aperto la confezione e con un ghigno sprezzante ha notato che si si annusa subito un olezzo di elettronica e poca orologeria. Ha palpato il Connected (ops! Gli è sfuggito…) e ha dovuto ammettere che la cassa e il bel sistema di sgancio del bracciale o dei cinturini di vari colori è bello, ben congegnato ed efficace. Ha riconosciuto suo malgrado il buon sapore del Carrera. Si è letto il manuale di istruzioni rapide e ha messo sotto carica l’aggeggio. Scoprendo l’efficacia del sistema magnetico che consente una perfetta corrispondenza fra il fondello del TAG e la base di carica.

Ha solo smadonnato come uno dei carrettieri toscani dei bei tempi andati quando per errore ha impostato il serbo come lingua principale. E ha ripetuto due o tre volte l’errore, riuscendo a fatica tre volte a resettare il tutto, prima di rendersi conto che la corona non fa solo da pulsante: girandola puoi orientarti fra le diverse opzioni e scegliere finalmente l’italiano.

Potevano essere più chiari, quelli di TAG Heuer? Sì, certo, anche perché poi Verhyde ha scoperto che pure i pulsanti cronografici sono funzionali; e – anzi – scegliendo l’opzione cronografo il Connected funziona come qualunque altro cronografo, appunto, sia pure al quarzo. Ha cavillato solo quando si è trattato di “accoppiare” l’aggeggio al cellulare e scaricare il programma che consente un dialogo di funzioni molto ampio.

Il dottor Verkyll questi problemi non li ha avuti o comunque li ha affrontati in maniera diametralmente opposta. Anche lui all’inizio ha impostato la lingua sbagliata, ma è stato molto più rapido nel comprendere e gestire, compiaciuto, la corona. “Basta pensare che se è un TAG Heuer va trattato come un orologio: è ovvio”, ha detto al signor Verhyde, il quale per tutta risposta gli ha agitato minacciosamente la gobba sul viso.

Tutt’altro che impressionato, il dottor Verkyll ha proseguito: “L’importante è capire cosa vuol dire ai propri estimatori una marca tradizionale – ma con seria vocazione ad innovare – come TAG Heuer. Questo Connected non è – certamente non è – un orologio. Ma è anche un orologio, un ottimo orologio al quarzo che funziona come un ottimo cronografo elettronico. In più è un dispositivo elettronico che grazie ad alcuni software proprietari – ossia progettati e realizzati da uno specifico laboratorio TAG Heuer – asseconda alcune attività sportive come il gioco del golf, che a me piace molto.

E nella propria natura di dispositivo per sportivi registra e informa su una serie di parametri anche medici, importanti appunto per gli sportivi. E – tre – è un dispositivo connesso che fa tutto quel che i connessi fanno, pur se la cosa, da sola, per quanto mi riguarda tutto è tranne che prioritaria. Hai un orologio e due dispositivi elettronici al prezzo del solo orologio. Mica male. È così difficile da capire?”. Il signor Verhyde non può fare a meno di digrignare i denti, agitando il bastone che lo aiuta a camminare. “E a me cosa me ne frega? Non penserai mica a me come ad uno sportivo? E poi un orologio, un orologio vero è un’altra cosa. È ben altro”. 

“Bene. Se la pensi così non comprarlo. Nessuno te lo impone”, gli risponde Verkyll. “Ma non puoi fermare il progresso, che probabilmente è ricco, per questi oggetti, di funzioni che potranno migliorare la vita anche di un vecchio stizzoso come te. Vuoi un orologio vero come dici tu? Sceglilo, scegli quello che tu consideri tale, ma perché vuoi impedire anche a me di scegliere liberamente in modo diverso da te?”. Il signor Verhyde gli salta al collo sibilando: “Ti uccido”, e così uccide anche se stesso. Ne valeva la pena?

Ci vuole rispetto. Rispetto per il futuro e rispetto per una marca d’orologi che usa la propria tradizione per vivere l’oggi preparando anche un’ipotesi di domani. Rispetto per chi sceglie secondo i propri gusti senza far male a nessuno. Di integralismo fanatico si muore. Da chiunque venga.