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Mario Peserico (Assorologi): considerazioni sul mercato

Apriamo un discorso molto serio: quello degli “acquisti voluttuari”. Gli orologi, in particolare, ma non solo. L’acquisto del “bello”.
Lo apriamo (e lo continueremo) con Mario Peserico nella sua funzione di Presidente di Assorologi, l’associazione di categoria “che rappresenta i produttori e gli importatori di orologi e di forniture per orologeria”.

Vorrei innanzitutto far notare come affrontare questo discorso su una rivista telematica diretta agli appassionati di orologi sia una dimostrazione di trasparenza. Trasparenza per certi versi obbligata, dal momento che l’esportazione d’orologi dalla Svizzera è rigorosamente regolamentata e controllata: di fatto – sempre per essere chiari – il “nero” non esiste. L’importatore o il negoziante acquista gli orologi e li prende in carico per venderli. È un sistema commerciale radicato nel tempo, maturo, ben congegnato e che lascia ben pochi spazi alla “fantasia”.

Dopodiché bisogna mettersi d’accordo sull’espressione “acquisti voluttuari”. Se fate una passeggiata noterete che donne e uomini (ma le donne un po’ di più) si fanno notare per la loro eleganza, per un buon gusto che fa parte del nostro Dna di italiani. All’estero, nella maggior parte dei casi, non è così. Noi sappiamo scegliere, abbinare, creare un nostro look come forse nessun altro nel mondo, con belle eccezioni in Francia. Sono scelte voluttuarie, che in genere costano qualcosa di più, ma fanno bene all’anima anche perché sono in linea con il lungo fiume della storia.

L’acquisto voluttuario non è mai un male in quanto tale. Fin dal Rinascimento di parlava di “oggetti di vanità”, ben sapendo che la storia dell’arte passa anche per questi oggetti. Se non ci fossero state persone ricche in grado di potersi permettere questi oggetti, se la grandezza e il costo dei migliori artisti non fosse stata compresa e assecondata (sono rimasti famosi i litigi epistolari in cui Michelangelo chiedeva costosissimo lapislazzuli in polvere per dare cielo eterno ai propri affreschi) non avremmo l’Italia, la sua arte e il suo buon gusto.

Mi rendo conto che per molti chi compra orologi costosi appartiene alla categoria dei “ricchi con qualcosa da nascondere”. Ma aver lavorato a lungo in orologeria e da “osservatore” puro mi ha insegnato che un’ampia, molto ampia porzione di compratori è formata da persone normali, con lavori normali. Persone che mettono pazientemente da parte i propri soldi per comprare non certo orologi di costo pazzesco, ma comunque orologi di grande pregio per sincera passione. E anche questa è una forma di cultura.

Ora il Covid ha aggravato una crisi che già era iniziata, come abbiamo più volte avuto occasione di dire, con quella causata dalla situazione politica di Hong Kong. Il problema, da subito, è il futuro: come tentare di riprendere le fila del discorso. In particolare in Italia. Peserico – e con lui Assorologi –trova che la situazione sia meno grave di quanto si potesse pensare.

Mario Peserico: Sì. Il Covid non ha soltanto congelato una situazione che non era certo ottimale, ma per giunta ci la lasciati tutti con un minor potere d’acquisto. Per molte, moltissime persone il futuro ha evidentemente molte incognite. Per giunta gran parte di quegli eventi che costituiscono occasioni per vendite di orologi – matrimoni, fidanzamenti, cerimonie religiose e così via – sono stati annullati. Questo sicuramente ha causato perdite importanti. Però ho la sensazione, in generale, che i negozianti lavorino meglio di quanto temessero. Certo, non siamo a pieno regime, ma le cose sono meno terribili di quanto si pensasse.

C’è evidentemente da risolvere una situazione di pagamenti per gli ultimi mesi, che sono stati magari sospesi e vanno ripianificati; e poi bisogna ricominciare a fare nuovi ordini, e così via… Ma l’orologeria sta dimostrando ancora una volta di saper trovare un terreno comune per condividere in modo equo, nei limiti del possibile, i danni. Credo un primo serio miglioramento potremmo averlo tra settembre e ottobre, sempre che non tornino ondate di pandemia. E comunque ci vorranno anni, per raggiungere i livelli precedenti, che comunque non erano esaltanti.

Questo vuol dire che Assorologi e i suoi aderenti stanno attuando una politica di nuova collaborazione con i negozianti?

Mario Peserico: Più che Assorologi – cui non è certo demandata la strategia delle singole marche – registro una situazione che mi viene riferita. E la sensazione è che comunque, in questo momento in cui il web in una certa fascia prezzo non è decollato, è però in netto incremento il suo utilizzo nel percorso di acquisto (sia pure non necessariamente per arrivare all’acquisto sul web). Questo aiuta a cambiare strategie commerciali, a trovare nuove alleanze, tenendo anche presente il fatto che molti mercati esteri vivono situazioni pesanti.

Parlo di mercati su cui tanta parte dell’orologeria ha puntato nei decenni scorsi: pensiamo alle difficoltà di Hong Kong, pensiamo alle difficoltà che ci sono state in Cina anche legate alla tassa sul lusso e così via; pensiamo al Medio Oriente che vive sul petrolio – che è arrivato a un terzo del proprio valore; e ancora pensiamo alla Russia con il rublo che ha un terzo del valore di 6, 7 anni fa. Oggi credo che molti stiano tornando a pensare in maniera un po’ più “europocentrica”, se possiamo usare questa parola, e a pensare agli Usa, il mercato in assoluto più resiliente di tutti.

Ricordiamo cosa fa la borsa americana in questo periodo: nonostante gli annunci di milioni di posti di lavoro persi continua a salire… È il mercato più resiliente, sicuramente il mercato in cui c’è ancora possibilità di penetrazione orologiera. Credo che molti stiano facendo un po’ marcia indietro sulla scelta dei mercati da promuovere e da sostenere. E questo è un bene anche per noi, perché devi prima seminare bene, se vuoi far rinascere un mercato.

Sì, la Cina, Greater China, rappresentava il 50 per cento delle esportazioni svizzere. Decisamente troppo per un mercato sano. Cos’altro c’è da fare? Non mi sembra che il governo abbia grande interesse per questo segmento di mercato.

Mario Peserico: Salvo in Svizzera, chiaramente. Ma per il resto gli altri governi non hanno grandissima attenzione.

Sembra si stiano penalizzando gli acquisti “voluttuari” in generale. L’orologeria, come tante altre tipologie che alla fine sono importanti.

Mario Peserico: Assolutamente sì! Sono importanti sia nell’immediato che in prospettiva. In parte starà a noi – e ne abbiamo parlato tante volte – saper dare il giusto valore all’acquisto del prodotto orologiero. La cultura, la storia, certo, ma anche aspetti più pratici e immediati come la tracciabilità di ciascun orologio. È un argomento del quale si discute molto sia in Assorologi che per quanto riguarda le singole marche. Dobbiamo offrire maggiori garanzie per non danneggiare l’immagine del settore.

Ci vorrà magari un po’ di tempo, ma è un buon sistema per migliorare la reputazione dell’intera orologeria. Senza la fiducia del compratore non si va lontano. E questo vale anche per il “secondo polso”. Gli orologi vanno tracciati perché anche l’orologio usato finisce per contribuire alla buona o cattiva fama dei marchi. Tracciarlo può costituire un valore aggiunto per l’acquirente finale anche quando rivende: è soprattutto una garanzia! È un’attività che quindi è bene torni sotto il controllo dei produttori, per quanto possibile. Perché evita fenomeni speculativi, limita l’azione di operatori non corretti e infine può portare introiti interessanti, il che non è certo un male.

E anche a questo proposito arriviamo ad un altro punto sul quale discutiamo da molti anni: la limitazione all’uso del contante, che è scesa a 2.000 euro. Sia ben chiaro: tutta Assorologi è contro l’evasione, che oltretutto costituisce una forma di concorrenza sleale per quanto riguarda la vendita sia di orologi nuovi che usati. Chi gioca sporco è nostro nemico. Punto. E chi combatte l’evasione è nostro amico. Punto. Ma pensiamo davvero che qualcosa cambi se il tetto del contante scende da 3.000 a 2.000 euro? Chi ha denaro contante continuerà a spendere il contante e se ne fregherà delle disposizioni governative. Chi non lo aveva prima, chi non ne aveva 3.000 non ne ha nemmeno 2.000.

Noi crediamo sia meglio favorire, in ogni settore, l’uso di altri metodi di pagamentocosa che ad oggi non avviene. Senza contare quanto è facile aggirare le regole in altri segmenti di mercato. Ti faccio un esempio: se voglio fare una festa e innaffiarla con 10 bottiglie di champagne da 600 euro l’una, mi faccio fare 10 scontrini fiscali e ho speso non 2.000, ma 6.000 euro senza colpo ferire. Ma se vado a comprare un orologio da poco più di 2.000 euro, allora devo pagarlo con un sistema tracciabile. Perché?

Posso capire che non ci sia poi tanta attenzione verso l’orologeria, in Italia, perché la produzione italiana è molto marginale. Ma la nostra gioielleria? È apprezzata in tutto il mondo e ha una forte produzione in tre distretti fondamentali come Vicenza, Arezzo e Valenza. Cose di questo genere costringono le aziende di gioielleria italiane alla marginalità, dal momento che non possono competere ad armi pari con i produttori stranieri. E questo mette a rischio una gran quantità di posti di lavoro.

Recentemente ero in Austria dove vive mia figlia, e davanti ad alcune orologeria c’era una bella targhetta di ottone con la scritta “qui gli italiani sono benvenuti”.

Mario Peserico: Grazie per avermelo ricordato. Perché è vero che in molti Paesi europei questo limite non c’è. Per non parlar del fatto che qui in Italia non posso spendere più di 2.000 euro, ma posso superare il confine a Chiasso con 9.999 euro in tasca e spenderli serenamente in Svizzera. Che senso ha? Abbiamo dato tutta una serie di note al viceministro Antonio Misiani, ma ci sembra che siano state tenute in scarsissimo conto. Perché sono sempre vive logiche…

Punitive?

Mario Peserico: Esatto. E questo è sbagliato. Io credo dovemmo essere contenti se, chi può, spende a casa propria i propri soldi. Certo: va fatto nei modi giusti, combattendo l’evasione fiscale e ogni illegalità. Ma vorrei ricordare che l’Italia è famosa nel mondo per la sua cultura dei piccoli e grandi lussi veri, per la qualità dei suoi artigiani ma anche per la capacità da parte del pubblico di sceglierli. Non saremmo il Paese del buon gusto se non avessimo le scarpe più belle, gli orologi migliori, le camicie, gli abiti, gli accessori… Il lusso – specialmente quello di un certo tipo – è una forma di cultura che ci rende unici. E questo andrebbe valorizzato, non depresso. È una grande risorsa per il nostro Paese e lo sanno bene le multinazionali che comprano i nostri marchi.