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Rolex: ma lo fa apposta?

Ogni volta che Rolex presenta nuovi orologi si scatena un rabbioso branco di haters, di odiatori di professione, che grida al “gomblotto”. Si badi bene: molti c’è da capirli perché effettivamente il fenomeno che si sviluppa può sembrare a prima vista di difficile comprensione. Se non conosci un po’ il mercato è comprensibile pensar male. Ma molti haters pensano di conoscerlo bene perché sono furbi, loro…
Cosa accade? In men che non si dica le prenotazioni superano ampiamente la disponibilità dei modelli più desiderati, che però spuntano poi sul mercato a prezzi elevatissimi. Come la mettiamo, cara Rolex? Cosa nascondi? A conoscere un po’ il mercato scopri che tutto è chiaro, ma costituisce un problema non facile da risolvere. Nemmeno per Rolex.

Il fenomeno nasce alla metà degli anni Ottanta, con il cronografo Daytona, quello che montava un movimento elaborato su una base Zenith. Perché mai Rolex usava un movimento non proprio? Perché prima di questa versione di cronografi ne vendeva pochini e far da sé un movimento cronografico avrebbe portato inutilmente il prezzo alle stelle e se ne sarebbero venduti ancor meno. Per ragioni di cui prima o poi parleremo, si scatena – prima in Italia e poi pian piano nel mondo – un’inarrestabile “Daytonamania” che lascia sbalordita la stessa Rolex. E cominciano a girare le voci che “Rolex lo fa apposta”, dal momento che molte persone sono disposte a pagare prezzi fuori di testa per avere un Daytona.

Qualche furbetto comincia a girare il mondo per comprare Daytona sui mercati nei quali questo modello non è poi così richiesto. C’è da tener presente che a quei tempi l’Italia era il secondo mercato mondiale per l’orologeria svizzera e quindi la richiesta era davvero enorme. Peccato che Zenith consegnasse poco più di 10.000 movimenti l’anno, che poi Rolex sottoponeva ad una lunghissima serie di modifiche, compresa la sostituzione dell’intero organo regolatore. 10.000 esemplari che andavano suddivisi fra le versioni in acciaio, acciaio/oro e oro. Per tutto il mondo. A quei tempi 10.000 Daytona non sarebbero stati sufficienti per il solo mercato italiano. Rolex decide di produrre un proprio movimento, ma ci vorranno non pochi anni prima di poter avere un nuovo Daytona con calibro Rolex.

E comunque il fenomeno si allarga ad altri modelli, non ostante le quote del mercato italiano diminuiscano progressivamente fino ai livelli attuali. In tanti cominciano a sospettare che il “gomblotto” si allarghi per via di chissà quali interessi di Rolex e dei suoi concessionari. Il fenomeno non riguarda soltanto Rolex, perché da Patek Philippe ad Audemars Piguet, da Omega a tanti altri marchi la faccenda si allarga a macchia d’olio. E i sospetti pure. Perché nasce un vero e proprio mercato “parallelo” che si sovrappone a quello vero, a quello tradizionale. Chi imbroglia? Solo un gruppetto di speculatori che approfittano della credulità di alcune persone per vender loro orologi usati a prezzi semplicemente ridicoli. Poi la bolla si sgonfia e chi ha comprato a 10 l’orologio che da nuovo ne costava 5 resta, come si suol dire, con il cerino in mano.

Ci vuole solo un po’ di aritmetica. Rolex, come tutti i produttori, assegna gli orologi secondo un criterio piuttosto semplice e condivisibile: ad ogni mercato una quantità di orologi proporzionale alle importazioni dalla Svizzera. Se l’Italia, ad esempio, rappresentasse il 10 per cento delle importazioni, le verrebbe assegnata una quota pari a circa il 10 per cento del mercato. L’Italia in questo momento rappresenta circa il 4,5 per cento delle importazioni svizzere di orologi (in realtà sarebbe il 4,3 per cento, ma abbondiamo). È quindi logico indirizzare in Italia il 4,5 per cento della produzione totale del Submariner.

Poniamo che la produzione totale di Rolex sia di 800.000 orologi l’anno e che Rolex indirizzi il 5 per cento delle sue capacità produttive sul nuovo Submariner (una esagerazione, ma tanto siamo nel campo delle ipotesi). Parliamo di ben 40.000 Submariner l’anno (il che scatenerebbe altre polemiche perché allora mancherebbero dal mercato altri modelli). La quota che spetterebbe all’Italia sarebbe di 1.800 esemplari, evidentemente insufficienti per coprire le richieste sul nostro mercato. Beh, e allora produci più orologi, dirà il gomblottista. E già, una marca dovrebbe investire miliardi per produrre un numero maggiore di orologi di pari qualità per poi magari scontrarsi contro una crisi e buttare al vento la nuova fabbrica e i relativi lavoratori?

Il punto è che Rolex, Patek e gli altri non guadagnano un solo centesimo in più e che anzi il mercato parallelo e dei falsi sono gli unici a trarne vantaggio. Non a caso le marche in questione non soltanto tracciano bene gli orologi, ma cambiano leggermente alcune misure ed alcuni componenti per evitare che qualcuno “tarocchi” gli orologi montando insieme componenti veri e componenti falsi. Non a caso le marche in questione continuano (proprio perché tengono traccia degli orologi) a ripulire la rete commerciale dai rarissimi birbaccioni che fanno i furbi.

Rarissimi se non altro perché perdere la possibilità di rappresentare una marca illustre vuol dire perdere vendite per somme che rendono ridicolo quel che potrebbero ottenere vendendo orologi ai furbetti del parallelo per poi condividere il bottino. È comprensibile comunque che i concessionari diano la precedenza ai propri clienti migliori, che magari gli comprano 200.000 euro d’orologi ogni anno. Le marche non amano la cosa, ma quando il concessionario compra l’orologio non gli è facile mandare al diavolo ottimi clienti che sono comunque rari e che certo non si rivendono un bel nulla per guadagnare 5 o 6mila euro.

E allora da dove diavolo arrivano questi benedetti orologi sul mercato parallelo?
Primo: l’entità del mercato parallelo è in gran parte una favola. Nei fatti gli orologi veri che “avanzano” in Islanda o in qualche altro Paese remoto e non ricco sono pochissimi. Semmai “avanzano” quelli difficili da vendere.

Secondo: molti degli orologi che fanno dire “l’ho trovato da un amico che ha chiesto ad un amico che conosce un concessionario Rolex” sono orologi falsi con scatole false e persino garanzia falsa. Ma pagati il doppio dell’orologio vero. Proprio di recente ho dovuto dire ad una persona (a proposito di conoscenze) che il suo Patek Philippe Nautilus bello come il sole era falso. Persino il movimento era stato (quasi) ben falsificato.

Terzo: la Svizzera produce, complessivamente, una quantità di orologi che non è sufficiente per il mercato mondiale, specialmente per quanto riguarda l’orologeria di maggior qualità. E su questo non ci si può far nulla: non ci sono sufficienti tecnici per aumentare la produzione senza diminuire la qualità.

Quarto: la maggior parte di quanti protestano perché non riescono a trovare l’orologio “dei propri sogni” sarebbero i primi a cercare di rivenderlo speculandoci sopra approfittando di chi, come si diceva, è disposto a comprare un orologio usato o falso a cifre da capogiro. Ci cascano in tanti: moltissimi anni fa ho comprato a caro prezzo un bootleg (disco ottenuto da una registrazione rubata) dei Beatles per una cifra “impegnativa”, per poi scoprire che era stato ottenuto dalla registrazione “taroccata” di un disco qualunque.

Quinto: non si trova l’orologio che in quel momento vorreste? Ma davvero l’intera Svizzera non produce un solo altro orologio in grado d’incontrare i vostri gusti?

E comunque qualcosa sta cambiando. Vedrete che nel tempo (perché la cosa non è facile né rapida) le marche riusciranno a controllare meglio anche il mercato dell’usato, aiutando i concessionari a garantire acquisti certi anche per il “secondo” polso. Torneremo a parlarne, se volete. Ma ricordatevi sempre che la miglior garanzia di un acquisto sicuro può darvela solo un concessionario. Dovremmo imparare a chiederci chi davvero guadagna se un mercato è sporco e avere un po’ più di fiducia nelle marche e nei concessionari. I concessionari ufficiali, intendo. Che di fatto non hanno nessun interesse a rovinarsi la reputazione per somme che certo non cambiano la loro vita.