Quanti di voi, cari lettori, si affiderebbero a un orologio subacqueo meccanico per compiere immersioni professionali a profondità ragionevoli? Eccola lì, qualche timida mano alzata… nemmeno così tante, come immaginavo. Sì, perché nell’epoca dei computer da immersione, dei profondimetri da polso e delle altre fantastiche diavolerie tecnologiche pensate per agevolare e preservare la vita dei sub, utilizzare un meccanico in acqua è una scelta quantomeno naïf. O di stile, se si indossa un pezzo come il Mido Ocean Star Decompression Timer 1961. Ma a dirla tutta può diventare anche una questione di sicurezza – in caso di guasto ai sistemi elettronici -, ammesso che lo si sappia usare.
L’orologio è infatti un vintage con i controfiocchi. Una di quelle edizioni che scelgono di essere fedeli al predecessore nell’estetica – ovvero, il Mido Ocean Star Skin Diver Watch, ref. 5907, degli anni ’60. Ma possono però contare sullo stato dell’arte in fatto di tecnologia e materiali.
L’anima vintage dell’Ocean Star Decompression Timer 1961
Così, ho scelto non a caso di focalizzarmi su questo orologio nella vastissima platea dei diver, che può annoverare pezzi sicuramente ben più celebri e marchi altrettanto blasonati. Pochi dei quali, però, con una storia e un carattere come quelli del Mido di cui mi occupo qui. Nipote di un nonno che, in un’epoca di subacquei generalmente monocromi e noiosetti, con quel quadrante ha avuto l’effetto di un petardo in chiesa al momento della consacrazione.
Basta mettere una a fianco all’altro questa moderna limited edition (1961 pezzi, ça va sans dire…) e il suo antenato di 60 anni fa, per capire come Mido non abbia dovuto fare uno sforzo di creatività. Il quadrante con le scale di decompressione colorate, che sono valse all’orologio il soprannome di “Rainbow Diver”, è una trovata estetica e funzionale geniale per l’epoca e attualissima oggi. Con la differenza che nel 2020 è una goduria per gli occhi, mentre negli anni ’60 poteva anche decidere della vita o della morte di chi ci armeggiava.
Poca elettronica ai tempi di Jacques Cousteau: leggibilità, ghiera girevole e tabelle di decompressione erano gli strumenti per immergersi in sicurezza. È vero che il Mido non era certo l’unico orologio dell’epoca con la scala sul quadrante (tra gli altri, ricordo il Vulcain Nautical Cricket, con svegliarino meccanico udibile anche sott’acqua). Ma quella dell’Ocean Star Decompression Timer allora come ora era intuitiva e facile da usare, per evitare quella letale fregatura chiamata embolia.
Come funziona la scala
La moderna tecnologia da polso e l’uso di camere di decompressione hanno reso i casi di embolia molto più rari. Eppure per i nostalgici che si immergono per passione, fermarsi a riposare a tre metri sotto la superficie dell’acqua aiuta il sangue a tornare a una pressione regolare. Riposare sì, ma per quanto tempo?
È qui che entra in gioco la scala dell’Ocean Star Decompression Timer 1961. I numeri bianchi su fondo nero nello spicchio sopra le 12 indicano la profondità in metri (a sinistra) e in piedi (a destra); invece gli altri numeri sparsi sulle quattro scale corrispondono al tempo per cui è necessario fermarsi quando si raggiungono i -3 metri.
Ad esempio, se ci si immerge a 25 metri, seguendo la scala gialla si vede che il limite di non decompressione è di 34 minuti (in corrispondenza dello 0); e se si rimane a -25 fino a 40 minuti, la sosta a -3 metri sarà di 5 minuti (in corrispondenza dell’8); se si rimane fino a 50 minuti, sarà di 20 (in corrispondenza del 10). Allo stesso modo, se si sta a -35 metri fino a 21 minuti (scala rosa) la sosta sarà di 5 minuti; di 25 per un’immersione di almeno 30 minuti. Il limite di decompressione è a 13 minuti. E così via, scala dopo scala.
Mido proponeva all’epoca il nonno dell’Ocean Star Decompression Timer 1961, la ref. 5907, con quadrante a fondo bianco oppure nero, come l’attuale. Per quanto le scale di decompressione siano fedeli all’originale nella forma e nei colori, la scala delle profondità nella referenza degli anni ’60 era espressa in metri o in piedi, a seconda dei modelli, e non in abbinata. Segno dello spirito global, o interculturale, dei nostri giorni.
Di calibro in calibro
Altra differenza di base: la dimensione della cassa di acciaio, cresciuta agli attuali 40,5 mm dai 38 dell’originale. E nella cassa, of course, era ospitato un movimento differente da quello attuale. Si trattava infatti di un calibro automatico Mido della serie 11xx, sviluppato su base AS 1717. La scritta Powerwind sul quadrante si riferiva all’efficiente sistema di carica automatica sviluppato già nel 1954; il cui assemblaggio richiedeva meno componenti rispetto a un classico calibro e garantiva un’autonomia di circa 43 ore.
Nulla a che vedere con il Mido Calibro 80 a carica automatica dei giorni nostri, che arriva fino 80 ore di autonomia. Figlio della famiglia di movimenti Powermatic 80, è stato sviluppato su base Eta C07.621; a sua volta derivato dal calibro Eta C07.111, introdotto nel 2011 ma le cui radici vanno molto più in profondità.
La base originaria era infatti l’Eta 2824-2. Un’evoluzione del classico movimento Eterna 1427 che al momento in cui fu introdotto, nel 1955, era il calibro automatico più sottile al mondo. Eterna, all’epoca, era leader mondiale dei movimenti automatici: il suo primo utilizzo di cuscinetti a sfera nell’Eterna-Matic nel 1948 in un certo senso ha cambiato l’orologeria svizzera. I legami tra Eterna ed Eta sono rimasti forti e uno tra i più grandi cavalli di battaglia nella storia dell’orologeria, l’Eta 2824-2 appunto, è stato nei fatti figlio loro.
Bel lavoro, Mido!
Insomma, tirando le fila tra una scala e l’altra e valutando il Mido Ocean Star Decompression Timer 1961, mi sento un po’ come Mara Maionchi alle audizioni di X Factor: «Per me è sì!».
Sì, perché dimostra che si può creare un vintage senza limitarsi a una brutta scopiazzatura; sì, perché materiali e prestazioni del calibro sono ai massimi livelli tra quelli degli orologi di questa fascia, non solo tra i marchi di Swatch Group; sì, perché il rapporto fra prezzo (1.150 euro!) e qualità è ottimo; sì, perché la precisione non è stata sacrificata sull’altare dell’estetica.
Ecco perché l’orologio sarebbe piaciuto anche al grande poeta e drammaturgo francese Jean Cocteau. Che sosteneva: «Il mistero non esiste che nelle cose precise».