Quello che piacerebbe scemo, ovviamente, è il compratore. Solo che con l’orologeria la percentuale di scemi (permanentemente o temporaneamente tali) è piuttosto variabile. Relativamente bassa per quel che riguarda l’alto di gamma, soffre semmai di uno sdoppiamento di personalità. Nel senso che alcuni scambiano il lusso con quello che chiamo “tamarro style”, fatto di opulenza esibita, ignorando invece la sintesi estetica e stilistica tipica del gusto europeo. Il marketing nell’orologeria, in ogni caso, per definire meglio questo aspetto ha a disposizione uno strumento molto potente. La comunicazione.
Sotto questo nome, come vedremo, troviamo una lunga serie di tecniche assai diverse fra loro, sia per natura (è comunicazione la pubblicità, ma è comunicazione anche un articolo come questo), sia per tasso di sincerità. Qualche volta, in pratica, si tende ad esagerare le qualità nascondendo il resto. Un sacco di balle, insomma. Fortunatamente l’orologeria di balle ne racconta relativamente poche e quelle poche sono di solito facilmente individuabili. E quindi disattivabili. Ma qualche eccezione non manca.
La comunicazione
Una volta l’acquisto di un orologio veniva definito emozionale. Vale a dire che il compratore, passando davanti alla vetrina di un negozio, veniva preso da un inspiegabile orgasmo ed entrava per spendere le consistenti somme necessarie per un orologio di qualità. Sì, di emozione ce n’era, ma veniva dopo una lunga serie di riflessioni pratiche. Un po’ come quando acquistavi un’automobile. Prima passavi per qualche mese di meditazioni su Quattroruote e poi compravi; e infine, eventualmente, arrivava l’emozione. Le riviste di orologi sono nate proprio per offrire spunti di riflessione, considerazioni tecniche, informazioni verificabili.
A quei tempi le balle raccontate dalle marche erano essenzialmente due. L’origine del movimento (tutto fatto in casa, lo giuriamo!); e l’omissione di alcuni dettagli (certi tipi d’orologi sono più delicati di altri, ad esempio; oppure la lunga e ancora non risolta questione dell’impermeabilità, fornita nella fuorviante misura dei metri anziché della pressione). In più la comunicazione ignorava totalmente chiunque non fosse il proprietario o il direttore di una marca. Disegnatori, tecnici progettisti e tante altre figure essenziali erano fantasmi dei quali si accennava appena l’esistenza. In questo senso le riviste specializzate, a partire dalla fine degli anni Ottanta, hanno portato una vera e propria rivoluzione. Al centro non c’erano più solo il Grande Capo e l’orologio, ma il Vasto Popolo dell’orologeria. Svizzera.
Poi, visto che l’orologeria sembrava un business ricco e finanziariamente migliorabile, sono arrivati i grandi gruppi. Finanziari, appunto. Che hanno cominciato a trattare l’orologeria come tanti altri beni “di lusso”. Innestando quindi tecniche di comunicazione più generali, meno specifiche. Un male? Un bene?
Come imbrogliare senza mentire
“Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”, diceva Abraham Lincoln. Ma nel frattempo potete fare un bel po’ di soldi, aggiungo io. E questo i tecnici del marketing lo sanno bene.
L’esempio magistrale è la comunicazione con cui Apple annunciava di aver creato il “miglior iPhone di sempre”. Ti faceva pensare alla generosità con cui Apple condivideva una simile meraviglia proprio con te; ti faceva dimenticare che non saresti stato contento, nel caso il nuovo oggetto non fosse stato migliore dei precedenti; ometteva graziosamente di ricordarti che il prossimo, comunque, sarebbe stato ancora migliore. Il risultato di questa campagna è stato determinante. Magari poco sincero, ma efficace nel rafforzare una sorta di club esclusivo di persone amanti del marchio. Incondizionatamente.
L’orologeria ha cercato di tradurre questo messaggio per il proprio popolo. Alcuni si erano portati già avanti: Rolex aveva già da decenni un proprio pubblico fedele; e anche Swatch aveva lavorato molto su questo punto ben prima di Apple, ma altri marchi no. Nascono così i “Paneristi” e altre forme più indirette di fedeli di un determinato marchio. Lo vediamo ancor oggi nei messaggi dei lettori. Clamoroso, per quanto ci riguarda, il caso di due persone adulte e di sicuro buon senso che però si sono sanguinosamente insultate – spingendosi persino in brutte considerazioni sulla madre altrui – parlando di Cartier.
Molto interessante, negli ultimi tempi, anche quanto sta facendo Seiko. Una strategia aggressiva iniziata con lo sdoppiamento del marchio (Seiko e Grand Seiko), seguita da alcuni prodotti di punta definiti “di lusso” e conditi da consistenti investimenti pubblicitari. Che hanno convinto alcuni a parlare di “lusso secondo Seiko”. Una vera e propria enciclopedia del marketing gestita dall’estero con una spregiudicatezza esemplare. C’è parecchio da ridire su alcuni aspetti (ne abbiamo parlato qui) e sulla gestione dei prezzi, ma a livello mondiale la tattica è destinata a premiare il marchio. Almeno per un po’.
I prezzi e il futuro dei presunti scemi
La domanda, a questo punto, è: ma quante bugie raccontano i produttori di orologi? Tante o poche? E come si comporteranno nel futuro, soprattutto per quanto riguarda i prezzi?
Recentemente Cyrille Vigneron, Ceo di Cartier, ha molto insistito sul fatto che il futuro dell’orologeria deve essere fatto di trasparenza. Ok, è una cosa che tutti hanno sempre detto, ma Vigneron ha ben motivato le proprie affermazioni. Sostiene, in pratica, che il web ha reso facilmente certificabile e confrontabile tutto quel che sugli orologi viene detto. E quindi le bugie hanno le gambe corte. Dal momento però che l’orologeria ha una lunga storia e un lungo futuro, raccontare meno balle sta diventando conveniente. Viene premiato dai compratori che, come ho già detto, sempre di più verificano, prima di passare all’acquisto. E quindi va bene puntare sull’emozione, va bene fare un po’ di maquillage, ma senza esagerazioni. La sostanza c’è o non c’è. Puntare sulla sostanza: ecco il destino del marketing nell’orologeria dell’immediato futuro.
Ovviamente non sarà un processo così rapido, ma è una bella vittoria per la maggior parte delle marche indipendenti, che hanno sempre puntato sull’effettiva qualità come motivazione all’acquisto. Ciò vorrà dire che tutti, chi più chi meno, da domani limiteranno i propri tentativi di prenderci per scemi. E il primo passo è un serio ragionamento sui prezzi. Non che ci sia da prevedere alcuna diminuzione: i prezzi li fanno, in fin dei conti, i mercati più forti. E l’Oriente (muscolosissimo, in questo senso) non riesce ad avere la quantità d’orologi che sarebbe in grado di assorbire. Domanda e offerta, è la legge del mercato.
Il marketing nell’orologeria. Prossima fermata: onestà
Se non ci saranno diminuzioni, però, ci sarà una maggior attenzione alle forze relative. Intendo dire che se in una fascia di prezzo il punto di riferimento è Rolex, non puoi avere prezzi più alti se non sei in grado di competere con Rolex. E altrettanto vale per altri marchi di riferimento, a partire su in alto, da Patek Philippe. Essere “fuori prezzo” senza adeguate giustificazioni sarà sempre più pericoloso perché la concorrenza fra le marche è destinata a diventare fondamentale. E ce ne sono molte a correre l’una contro l’altra in ogni fascia di prezzo.
Del resto i produttori di orologi svizzeri, con particolare riguardo alle marche “di famiglia”, di balle ne hanno sempre raccontate poche. Un po’ (me ne sono convinto in oltre trent’anni di esperienza) per sincere convinzioni religiose. Perché la religione protestante non prevede periodiche cancellazioni dei peccati tramite la confessione. E poi perché la sostanza c’è davvero, sostenuta dal sogno di realizzare l’orologio “eterno”. Semmai trovo spesso, ancora oggi, la difficoltà a comunicare adeguatamente la qualità effettiva. È un altro problema del marketing nell’orologeria.
È quindi molto probabile che nel futuro il lusso, nell’orologeria come in altri settori, diminuisca l’invadenza del marketing molesto, che magari rimarrà il perno dei prodotti di massa. Il marketing, nell’orologeria, diventerà sempre di più una questione di individuare i gusti del pubblico, ben distinti da un Paese all’altro. Rendendo più facile difendersi dai ballisti incalliti, che non muoiono mai. Gli irriducibili del “ma tanto il compratore è scemo” sono destinati a successi effimeri come la vita di certi insetti.