Approfondimenti

I font degli orologi. Standard o personalizzati, una scelta di stile

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L’immediata identificazione di una marca di orologi e l’affermazione di un particolare esemplare passano anche dal carattere tipografico (font, in inglese). Lo dimostra Abraham-Louis Breguet: che nel XVIII secolo, per indicare le ore, inventò numeri arabi così eleganti e ben riusciti da dar vita a un vero e proprio stile, tanto che si parla di numeri Breguet. Un font senza tempo che ha fatto scuola. Ed è adottato ancora oggi, a distanza di secoli, non solo dalla stessa Manifattura ma anche da altre case. Ne parliamo con Björn Altmann, illustratore ed esperto di caratteri tipografici (li disegna lui stesso). Che ci farà da guida tra i font di alcuni esemplari storici. Un primo approccio per avvicinarci a un argomento affascinante eppure ignorato dalla maggior parte degli appassionati. Perché non è facile saper cogliere simili particolari, avere “l’occhio” abbastanza allenato da distinguerli.

Caratteri senza tempo

“I dettagli non sono i dettagli, fanno il prodotto”: con questa citazione del designer statunitense Charles Eames, nella nostra precedente intervista, lei evidenziava l’importanza di personalizzare i quadranti. Quindi indici e numeri fanno la differenza, come nel caso appunto di Breguet? «Abraham-Louis Breguet disegnò personalmente i numeri arabi dei propri orologi. Non era un calligrafo, ma a quei tempi (siamo prima della Rivoluzione Francese) c’era molta cura per la scrittura. Basta guardare la grafia vergata all’epoca sulle lettere o sugli appunti nei libri per rendersi conto di quanto fosse bella. Questo stile di scrittura è chiamato “copperplate” – calcografia in inglese – perché all’inizio del XVIII secolo gli incisori su rame lavoravano con i calligrafi per produrre le pubblicazioni».

«Che la maison Breguet usi tuttora i numeri arabi dimostra quanto alcuni caratteri tipografici siano senza tempo. Ma non è l’unico caso. Possiamo fare anche l’esempio del Garamond, che risale al Rinascimento ed è ancora uno dei migliori font usati per la stampa dei libri». Tant’è che utilizzato nella produzione dei grandi editori come Rizzoli, Feltrinelli, Einaudi. Un altro esempio ancora è quello del Bodoni, tuttora molto diffuso nella grafica e nell’editoria, inventato dal massimo innovatore del libro italiano – Giambattista Bodoni, appunto -, attivo alla corte ducale di Parma fra fine Settecento e inizio Ottocento. «Penso che sia importante in orologeria saper creare un design il più intramontabile possibile», dichiara Altmann, riferendosi anche al carattere tipografico. «Gli orologi di solito durano un po’ più a lungo di una stagione della moda», ironizza.

I font comuni nell’orologeria

Ma allora quali sono i font più usati nel mondo delle lancette? «Tra i font presenti più spesso negli orologi non possiamo non citare l’Eurostile. Lo progettò Aldo Novarese nel 1962 e da allora è stato ampiamente utilizzato per rappresentare la modernità o il futuro. Del resto gli orologi realizzati negli anni ’60 utilizzavano naturalmente caratteri “nuovi” dell’epoca. L’Eurostile si ritrova ad esempio nell’Heuer Monaco, nell’Autavia e nel Carrera; ma anche l’Omega Speedmaster Professional e il Breitling Navitimer Cosmonaute lo impiegano nei contatori. Altri esempi sono il Rolex Explorer II, il Submariner e lo Sky-Dweller che lo riportano sulla lunetta, sia per l’indicazione dei minuti che per quella delle 24 ore».

Ulteriori font frequenti in orologeria, oltre all’Eurostile? «Altri due caratteri tipografici che vediamo spesso sui quadranti sono il Sackers Gothic e il Copperplate Gothic (non lo script del 18° secolo, ma un font progettato nel 1901). Le versioni utilizzate sugli orologi sono leggermente modificate rispetto agli originali. A causa dei metodi utilizzati per la stampa sui quadranti e poiché i designer delle marche lavorano in un mondo lontano dalla tipografia, possiamo trovare alcune stranezze. Come il 4 e la A con la “punta” piatta. Il motivo? Se fossero appuntiti come al solito, l’inchiostro potrebbe accumularsi agli apici e creare antiestetici risultati».

Qualche esemplare secondo lei degno di nota? «I Mark XII e XV di IWC sono esempi di un approccio tipografico interessante, basato su un estremo understatement. I numeri sono in Helvetica e il logo sembra in Times New Roman. Erano orologi che appartenevano a una certa fascia di prezzo e ci si aspetterebbe quindi un font su misura, creato apposta. Tuttavia, per quei modelli i progettisti di IWC hanno scelto di utilizzare due dei caratteri tipografici più diffusi (e che tutti conoscono da Microsoft Word). Il che ha senso, poiché sono orologi pensati per essere semplici e funzionali. Condivido questa impostazione. Ma se un marchio ha una storia come quella di IWC, allora è una buona idea usarla. Il Mark XVIII ha eliminato l’Helvetica e utilizza un carattere personalizzato per i numeri. Anche il logo è stato leggermente modificato».

I font personalizzati

Diceva che quando un orologio è nella fascia di prezzo da quattro a cinque cifre, ci si aspetta un carattere personalizzato. «Non è necessario spendere cifre elevate per avere un orologio con un font esclusivo e immediatamente riconoscibile. Mi riferisco in particolare agli orologi Junghans del designer svizzero Bauhaus Max Bill». Architetto, scultore, pittore, grafico, Max Bill (1908/1994) è stato un genio poliedrico dell’arte del secolo scorso, e ha collaborato con la casa tedesca negli anni ’50 e ’60 per la produzione di esemplari a muro (da cucina e da ufficio) prima, e poi da polso. «Tutta la tipografia sui quadranti è stata disegnata appositamente per questi orologi. Quando li guardi da vicino, puoi vedere che la larghezza del tratto è la stessa dappertutto».

«Un altro esempio di carattere personalizzato si riscontra nel Breitling Navitimer Cosmonaute», continua Altmann. «Per realizzare le mie riproduzioni, ho dovuto disegnare tutti i numeri da zero. Anche perché in questo orologio ci sono tre font diversi». Si possono notare le differenze nella gallery qui sopra. «Infine, c’è Shinola, un marchio con sede a Detroit relativamente giovane (è stato fondato nel 2013). Dopo aver realizzato perlopiù orologi al quarzo, ha introdotto movimenti automatici svizzeri. Ma in ogni caso non si è mai servito di alcun carattere standard: fin dall’inizio ha sviluppato i propri font per i numeri. Non c’è motivo per cui altri marchi di orologi non dovrebbero seguire questa filosofia. Si dovrebbe trattare i caratteri tipografici sui quadranti come qualcosa di importante quanto il movimento all’interno».

Un font che lo ha sorpreso? «I numeri per lo Slim d’Hermès, progettati nel 2015 da Philippe Apeloig, un grafico e artista francese. Il suo approccio è stato: “Cosa posso togliere fino al limite?”. A prima vista i numeri mi hanno ricordato un font stencil o anche un Art Déco, forse il Bifur di Cassandre. L’orologio è molto sottile e quindi l’idea di utilizzare il minimalismo per la tipografia ha senso. Audi ha fatto qualcosa di simile in una campagna del 2013, in cui affermava: “Il buon design non è solo ciò che aggiungi, è ciò che togli”. L’idea era che l’introduzione di un nuovo modello fosse preceduta da una tabula rasa e completamente ripensata. “Cosa non ci serve? Di cosa potremmo fare a meno?”». Ecco la chiave di lettura.

«In entrambi i casi i progettisti hanno rimosso parti delle lettere – o dei numeri», conclude Altmann. «Anche se dal punto di vista tipografico “less is more” è difficile da applicare. Mentre un oggetto potrebbe trarre vantaggio dall’essere privo di ornamenti, i caratteri tipografici più leggibili non sono quelli geometrici. E togliere elementi li renderà ancora meno leggibili. Tant’è che i caratteri migliori per la lettura risalgono all’Impero Romano e al Rinascimento. Eppure è positivo che Hermès abbia scelto un approccio non convenzionale e abbia provato qualcosa di nuovo. Molti dovrebbero seguirne l’esempio».