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James Bond, Omega e il tempo (per morire) che non c’è

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Omega entra nella vita di James Bond in una fase avanzata della sua maturità: l’agente segreto ne ha già passate tante e le esperienze ne hanno mutato il carattere. Si intuisce, insomma, la dimensione profonda che prenderà di lì a qualche tempo. E sceglie il proprio orologio al di fuori di ogni schema, di ogni moda, di ogni consuetudine.

Parlare di James Bond come fosse una persona reale può apparire strano: tutti sappiamo che si tratta di un personaggio nato dalla fantasia di Ian Fleming. Al tempo stesso è uno dei rari personaggi “di fantasia” a possedere una tridimensionalità, una completezza rara per i protagonisti della letteratura e del cinema.

Una profondità di campo che ha origini precise: Ian Fleming – che non è certo un grande scrittore, ma piuttosto un affabulatore di grande fascino – usa molti elementi autobiografici, sui quali innesta i propri desideri (Bond è quel che Fleming sogna d’essere). Vi aggiunge probabilmente alcuni ricordi del fratello maggiore (Robert Peter Fleming, vero agente dell’MI6 ed anche lui scrittore). Per spingersi infine nel tentativo di trasformare se stesso in Bond, innescando un logico processo distruttivo che lo porterà a morire giovane, d’infarto, e comunque molto, molto prima di Bond, James Bond.

Fleming muore nel 1964, mentre al cinema impazza Goldfinger, il terzo film della serie. Wikipedia apre la biografia dello scrittore con una frase tanto melodrammatica da far comprendere in quale misura Bond e Fleming si fossero fusi. Nella fantasia di Fleming, ovviamente. “I have always smoked and drunk and loved too much. In fact I have lived not too long but too much. One day the Iron Crab will get me. Then I shall have died of living too much”. (“Ho sempre fumato e bevuto e amato troppo. In effetti ho vissuto non troppo a lungo, ma troppo. Un giorno il Granchio d’acciaio mi agguanterà. Allora sarò morto per troppo vivere”).

La profondità del personaggio

Bond, James Bond nasce da questo mosaico d’elementi. Ed è un personaggio di forza straordinaria, a patto però di avere un interprete completo, in grado di rendere, sia pure senza velleità intellettuali, questa completezza.

Il lusso è importante, per Bond, forse addirittura essenziale, ma c’è anche la profondità del Bello che viene prima del Costoso. Quando deve servire la patria Bond lo fa senza limiti e senza risparmiarsi scomodità e ristrettezze, perché sa sempre scovare qualcosa di buono, un lusso, appunto, anche nella periferia economica del mondo.

Persino quando usa il proprio fascino sulle donne Bond non è un banale sciupafemmine: attira l’attenzione con il suo aspetto, certo, ma conquista le Bond girls con qualcosa di ben più profondo della comune seduzione fisica. Nei film c’è sempre un momento magico in cui non si uniscono solo i corpi, ma si instaura una profonda sintonia di cuore e mente. Bond non è un volgare collezionista di donne, ma un serio amante; talvolta estemporaneo, come usava a quei tempi, però un amante che incide spesso sulla vita delle Bond girls; e fa persino affiorare il buono che c’è nelle eroine apparentemente negative, talvolta facendole cambiare in modo radicale. Bond, James Bond rispetta le donne e loro se ne rendono conto. Non è un volgare ammaina mutande, lui.

Bond quello vero, e Bond quelli finti

Ma c’è pure, sempre, un velo di sarcasmo. Che è sostanziale. Molti lo definiscono humour britannico, ma ancora una volta la realtà di Bond è più complessa del British style. Del resto non è un caso se Sean Connery era scozzese fino al midollo, la meteora George Lazenby australiano, Dalton gallese, Brosnan irlandese e Craig cresce in quel laboratorio di personalità umane che è Liverpool.

Solo Roger Moore è un vero British, ma ciò non porta nulla di buono. Benché il Bond di Moore sia piuttosto apprezzato nei “leggeri” anni Ottanta, c’è qualcosa in lui che non torna. Non è il fisico da “bello, sì, ma con preoccupante tendenza alla pinguedine”; e forse non è nemmeno quel tocco caricaturale da londinese un po’ arrogante. Piuttosto Moore è Roger Moore che finge d’essere James Bond: piace a chi sogna d’essere un agente segreto, ma toglie spessore, toglie vita al personaggio.

Moore, che pure sarà Bond per sette volte (un primato) delude. Ma certo non quanto Timothy Dalton che, pur essendo un buon attore, “entra” in Bond come l’olio nell’aceto. Un’esperienza fallimentare che dura due film soltanto (nel 1987 e 1989) e richiede un’indispensabile pausa rigenerativa di sei anni. Solo il tempo fa metabolizzare certe brutte esperienze.

Omega adotta Bond, James Bond

Bond rinasce nel 1995, sorprendentemente, con Pierce Brosnan. La sorpresa, in realtà, è solo per il pubblico: la produzione ci crede tanto da combattere ferocemente per avere Brosnan, allora ingabbiato da problemi contrattuali. Ma dovrà aspettare più di due anni per ottenerlo. I produttori sanno che Brosnan è quello giusto: riesce ad avere le due espressioni essenziali di Bond (sarcastica e seria), senza bisogno di recitare, perché le ha fin dalla nascita. Il sopracciglio mobile ma non altezzoso, già usato espressivamente da Sean Connery, fa tornare Bond ad essere persona più che personaggio.

E Brosnan non è una sorpresa nemmeno per Omega, che proprio a partire da lui adotta James Bond. “Adotta” non è una parola esagerata perché quella di Omega non è una semplice sponsorizzazione, che altrimenti verrebbe usata in ben altro modo. Bond non sventola il proprio orologio come faceva l’attore Moore, ma lo tiene al polso come ciascuno di noi. È una parte di sé che non ha bisogno d’ostentare e che entra in azione solo se e quando la storia lo richiede. Non è una scelta da poco, negli anni in cui la televisione ci ha ormai abituati a continue interruzioni pubblicitarie e a un product placement spudorato.

Omega non lavora con Brosnan, non “compra” Brosnan né il personaggio. Il Seamaster di Bond è una presenza discreta (come nella vita di qualunque persona al mondo) che entra in scena poche volte, solo quando è necessario. Bond, lo capiscono tutti, non passa la vita a consultare il proprio orologio, nemmeno per esigenze commerciali. Ed è interessante notare che i tanti Bond watches prodotti da Omega in serie speciale non compaiono quasi mai nei film: sono edizioni speciali per i collezionisti, che proprio per questo li apprezzano. Bond, James Bond, solitamente porta al polso un modello rigorosamente di serie.

James Bond e Nicolas G. Hayek

Si può obiettare che tanta discrezione potrebbe non essere farina del sacco di Omega: magari è stata imposta dai produttori. Ma la cosa non è credibile sia alla luce dei non brillanti trascorsi immediati (due film oggettivamente scarsi e sei anni di pausa per farli dimenticare) che in relazione alle abitudini dell’epoca. Nessuno dirà mai la verità sull’argomento, ma è probabile che, al momento del contratto, si sia parlato molto di Bond e poco di invadenti presenze pubblicitarie. Tutto lascia supporre, insomma, che il rispetto dei produttori per James Bond sia stato serenamente condiviso dai dirigenti di Omega. E io ne ho la prova indiziaria.

Durante una manifestazione a Bregenz, Austria, nel settembre 2008, venne presentata una collezione di Swatch ispirati ai cattivi dei film di Bond, alcuni dei quali erano presenti a firmare i “loro” orologi. Nell’intervista a Nicolas Hayek (intervista che verteva più che altro su temi economici: Hayek aveva previsto l’entità della crisi economica allora alle porte) feci anche domande “di alleggerimento”: gli chiesi, ad esempio, se ci sarebbero stati orologi dedicati alle Bond girls. Mi guardò stupito: «Ma sei pazzo, Augusto? Bond è un gentiluomo: non lo permetterebbe mai».

Poco dopo chiesi se potesse aver senso uno Swatch Bond. «Credo di no», mi rispose Hayek. «Bond ha uno stile di vita che non gli consente distrazioni. Il pericolo, per lui, può arrivare in qualunque momento e quindi ha bisogno di un orologio pressoché indistruttibile in ogni istante. Lui non può permettersi preziosi orologi complicati, eleganti ultrasottili e nemmeno momenti di gioco con Swatch: ne va della sua vita».

Anche per Hayek (proprietario, fra l’altro, di Omega come di Swatch) Bond, James Bond, era prima personalità a tutto tondo e poi personaggio. Una personalità così forte che quando il vero (vero?) James Bond, un ornitologo piuttosto apprezzato cui Fleming aveva scippato il nome (il suo libro Birds of the West Indies, compare nella scena iniziale di Die Another Day – La morte può attendere), presentò il passaporto al gate di un aeroporto, gli venne negato l’imbarco. Bond, James Bond, era un altro e lui un impostore tanto fuori di zucca che avrebbe anche potuto presentarsi con i documenti di Napoleone o Leonardo da Vinci.

E poi arriva Craig il misterioso

Dopo quattro film, Pierce Brosnan lascia Bond a Daniel Craig. Comincia con il rifacimento di Casino Royale (2006), di cui c’era una versione televisiva del ’54 ed una comica del ’67, con David Niven. Il giovane Bond si guadagna il doppio zero della licenza d’uccidere. Contestato dai fan prima dell’uscita del film, Craig ad alcuni appare subito dopo tanto credibile da far sospettare d’essere il migliore in assoluto.

Il film successivo, Quantum of Solace (2008), conferma la maggior profondità di campo del Bond/Craig. È un film di vendetta, con aspetti cupi, ma sembra anche essere quello in cui Bond, ancora giovane, perde la spensieratezza per acquisire un cinismo talvolta così disperato da apparire debolezza umana. Parte delle riprese si svolge in quella stessa Bregenz in cui, pochi mesi dopo, Nicolas Hayek presenterà gli Swatch dei “cattivi”.

Infine, Skyfall (2012) e Spectre (2015). In quattro film con Daniel Craig, Bond passa dalla giovinezza alla fase matura della vita; dall’entusiasmo alla testardaggine di un uomo adulto che vorrebbe portare a termine il proprio lavoro (liberare il mondo dai cattivi) pur rendendosi conto che è impossibile.

È questo l’uomo di cui Omega condivide con grande rispetto l’evoluzione. L’impressione è che sarebbe ormai sciocco parlare di sponsorizzazione: Bond, semmai, sembra scegliere da sé l’orologio di una marca che, nella sua lunga storia, ha raggiunto una maturità stabile; eppure, ancor ricca di futuro. Come lui.

Perché è Lui, qualunque maschera indossi, comunque si travesta (da bolso Moore, da ironico Brosnan o da saggio Craig), che osserviamo sullo schermo, con ammirazione crescente. Lui, Mister Bond, James Bond. Che torna a fine settembre 2021 con No Time to Die, 25° episodio della vita di Bond, quinto e ultimo film di Daniel Craig come agente 007, nel quale… Muore o non muore? Non voglio anticipare nulla, ma solo suggerirvi di andare a leggere il testo della canzone di Billie Eilish.

Detto questo, la prossima volta parliamo dell’orologio.