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Woi – Watches of Italy: l’orologeria italiana di nuovo in mostra. A Tortona

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Sventola forte la bandiera italiana. Con quell’orgoglio che dalle vittorie agonistiche investe tutti i settori manifatturieri. Compresa l’orologeria: protagonista, oggi e domani, a Tortona. La cittadina piemontese questo weekend ospita infatti la seconda edizione di W.O.I. – Watches of Italy, la prima fiera nazionale dedicata all’orologeria italiana. Organizzata presso il Museo delle Macchine Agricole “Orsi”, dalle ore 10 alle 19.

Una mostra-mercato che è al tempo stesso occasione di incontro, confronto, condivisione e promozione per il gruppo di operatori italiani che da due anni si sono aggregati nell’omonimo collettivo. In esposizione, modelli inediti di orologi e prototipi, nuovi calibri ma anche attrezzature tecniche, scatole e packaging, cinturini, ricambi, materiali e strumenti per la manutenzione. Tutti prodotti da aziende italiane, oppure da marchi esteri diretti e gestiti da italiani. Perché l’obiettivo è proprio far conoscere il talento tricolore nell’orologeria. E creare rete per essere, tutti assieme, competitivi. Un’idea di Fabrizio Dellachà, coordinatore del gruppo Woi. Che ci ha concesso questa intervista in esclusiva.

Come e quando nasce l’idea del collettivo Watches of Italy?
«Mi sono sempre domandato perché gli italiani – che primeggiano nella moda e nel design, nei motori e nell’enogastronomia – non avessero mai sviluppato una filiera che potesse competere con gli orologiai svizzeri, sassoni, giapponesi e cinesi. Eppure vedo spesso cognomi italiani dietro le grandi aziende internazionali del settore. Per secoli abbiamo avuto grandi maestri italiani che fabbricavano orologi da torre e poi pendole, orologi da tavolo, da tasca e infine da polso. Penso alle storiche dinastie dei Manfredi, dei Campani, dei Della Volpaia, dei Dondi, dei Dovizioli, dei Ranieri… Uomini di cultura e di scienza che studiavano ottica, astronomia, micromeccanica, e producevano mirabili esemplari, talvolta complicatissimi.

Anche oggi ci sono realtà grandi, medie, piccole e piccolissime che confermano l’ingegno e la maestria italiana nell’orologeria. Sei anni fa ho iniziato a raccogliere da parte di molti di loro la volontà di fare squadra. Li ho censiti e ho creato un libero gruppo, che non prevede tassa di iscrizione e non comporta obblighi. Anche alla mostra, punto di arrivo dell’attività annuale, partecipa chi vuole».

Parla di Woi come di un contenitore flessibile e immediato. Cosa significa?
«Non siamo strutturati come una società o un’associazione regolamentata da uno statuto. Né, come dicevo, è prevista una tassa di accesso. E non bisogna prendere decisioni collegiali. Siamo un libero collettivo creato e gestito da due persone: io, che oltre a coordinare il gruppo, mi occupo di burocrazia, permessi e allestimenti; e Silvia Bonfanti, che è giornalista e cura la comunicazione».

Qual è il segreto dell’accessibilità economica della vostra fiera?
«Innanzitutto, abbiamo abbattuto i costi di gestione. Silvia e io ci occupiamo di tutto. E poi abbiamo come ente patrocinante il Comune di Tortona (del quale sono stato consigliere comunale e per il quale ho fatto tanto marketing territoriale) che ci concede l’utilizzo gratuito del Museo delle Macchine Agricole Orsi».

Perché avete scelto Tortona?
«È la città in cui sono nato, e dove tuttora vivo. A Tortona sta per nascere il polo logistico più importante d’Italia, dove verranno stoccate tutte le merci in transito per il porto di Genova. E poi a Tortona c’è il Museo Orsi, che espone macchine agricole del primo e secondo Dopoguerra, componentistica per l’agricoltura e altri esempi della creatività italiana nella meccanica. Una sede naturale per una fiera dedicata a oggetti di micromeccanica made in Italy».

E lei di meccanica se ne intende. Ci racconta di cosa si è occupato prima e durante l’organizzazione di Woi?
«Mi sono laureato in Ingegneria a Pavia. A Tortona ho uno studio di ingegneria specializzato in edilizia “zero energy”, impianti rinnovabili e sistemi per il risparmio energetico. Per molti anni sono stato consulente tecnico del tribunale e ho tenuto corsi post-laurea. A 43 anni, ho smesso di andare in giro per l’Italia e mi sono tranquillizzato: al mattino insegno nelle scuole medie e superiori di Pavia, di pomeriggio faccio il consulente».

Quando ha cominciato a interessarsi agli orologi?
«Prestissimo. Avevo 16 anni quando mi innamorai del Bulova Accutron del nonno che funzionava con il diapason. Quel meccanismo stimolò in me la passione per gli uomini che cercano di misurare il tempo con sempre maggiore precisione. Passione e curiosità si sono alimentate quando ho studiato per gli esami di meccanica e di fisica. Sono diventato un accanito collezionista: prima di orologi elettromeccanici, poi di quelli meccanici. Oggi ne posseggo un centinaio. Li compro ovunque: nei saloni internazionali, nelle aste online, nei gruppi di scambio… Per fortuna ho sposato una ingegnere curiosa come me, che riesco a coinvolgere in mostre e raduni. Le ho regalato i primi Zenith ed Eberhard & Co.; poi ha iniziato ad acquistare da sola, per sé e per me».

Come sintetizzerebbe la specificità italiana nell’orologeria?
«Design e gusto. Gli italiani hanno una cultura millenaria nella progettazione di qualunque oggetto. E i nostri manufatti sono richiestissimi da tutto il mondo. Non vedo perché non dovremmo essere bravi anche in orologeria… Sicuramente il design italiano è sempre distintivo. Sulla meccanica stiamo ancora lavorando. Abbiamo cominciato adesso a produrre calibri di manifattura; ma una scuola italiana non esiste ancora. Non possiamo dire che l’Italia sia la patria del cronografo o del calendario perpetuo. Ma abbiamo un libro da scrivere. Ed è bello poter far conoscere due produttori italiani che fanno movimenti in-house».

Woi è nato a ridosso della pandemia. È paradossalmente il momento giusto per rivendicare un ruolo dell’Italia nell’orologeria?
«Dopo i momenti di crisi ci sono sempre grandi rilanci. Si tratta di crearne le condizioni, facendo network. E organizzando eventi in cui i produttori possano partecipare assieme, dividendosi le spese, per incontrare i collezionisti e gli operatori del settore».

Come è evoluta la fiera Woi in quest’anno di vita?
«Abbiamo una cinquantina di espositori, dieci in più rispetto all’anno scorso. E siamo stati contattati da altri micro-brand appena nati, o appena approdati nel mondo delle lancette. Ciascuno di loro presenterà una novità. Quest’anno abbiamo anche il piacere di ospitare Hora, l’Associazione Italiana dei cultori dell’orologeria storica».

Può anticiparci qualche chicca che sarà presentata al Woi?
«Vedrete sicuramente nuovi movimenti, principalmente dovuti all’interruzione delle forniture da parte di Eta. Vi stupirà qualche brevetto molto interessante (che preferisco lasciare all’anteprima in presenza). E anche quest’anno abbiamo primizie assolute in esclusiva mondiale, che arricchiscono e danno lustro all’iniziativa espositiva ed al collettivo Watches Of Italy. La cosa che mi inorgoglisce di più è che abbiamo il piacere di ospitare ben due produttori di calibri Made in Italy: Inceptum Duo A, giovane startup creata da due ingegneri; e Oisa, un’eccellenza italiana fondata nel 1937. Il primo porta la versione definitiva di un calibro presentato l’anno scorso in prototipo. Il secondo un modello funzionante di quello che un anno fa era un modellino.

C’è anche un artigiano che progetta e realizza – senza l’aiuto di macchine a controllo numerico (e quindi con utensili ad azionamento manuale, proprio come faceva A. L. Breguet) – complicazioni astronomiche con precisioni mai raggiunte nemmeno dalle maison elvetiche storiche: Marc&Darnò, che presenta il suo calendario perpetuo. Mamphis Belle con due calibri manuali concepiti in Italia e prodotti in Svizzera. Inoltre, avrete anche modo di ammirare casse stampate in 3D, alcune persino prodotte in materiali compositi fibrorinforzati».

Ha una proposta per il rilancio dell’orologeria made in Italy?
«Le idee, condivise nella chat del collettivo Woi, sono tante. Le tengo ancora segrete. Posso anticipare quella di un progetto che presenteremo in anteprima: un sistema di certificazione per gli orologi made in Italy che funzionerà come una denominazione di origine controllata. Una sorta di carta di identità che, per estrema trasparenza nei confronti della clientela, indicherà la provenienza italiana di cassa, movimento, cinturino… Magari con un punzone italiano. Il sogno è far in modo che produttori italiani si riforniscano da aziende italiane per tutto: dai cinturini alle scatole, dalla pelletteria agli strumenti tecnici. Avremmo così orologi al 100 per cento made in Italy».