Approfondimenti

Omega Speedmaster Chronoscope: il tempo è fatto a scale…

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Si sbagliava Oscar Wilde quando diceva che «l’unico fascino del passato è che è passato». Il fascino del passato, almeno in orologeria, sta nel fatto che può ritornare. Zitto zitto, quando meno te lo aspetti, eccolo lì che compare sotto forma di un orologio dalla forma familiare o dal nome già orecchiato da qualche parte… Stavolta è toccato a Omega. Il marchio è infatti sceso nelle viscere della sua storia e, come fanno i minatori con l’oro, è tornato alla superficie con un nome che gli appassionati conoscono, Chronoscope, abbinandolo a un altro nome mitico (anzi, forse IL nome mitico) della Maison: Speedmaster. Risultato, la nuova collezione Omega Speedmaster Chronoscope, che ho potuto toccare e provare di persona.

Omega Speedmaster Chronoscope: qualche passo indietro

Giusto per completezza, ricordo che il primo Chronoscope risale al 1885, anno in cui il fondatore di Omega, Louis Brandt, realizzò il primo cronoscopio: uno strumento che serviva a determinare con precisione la durata di un fenomeno. Era un orologio da tasca, che ho avuto il privilegio di avere tra le mani durante la presentazione dei nuovi Speedmaster Chronoscope: da brividi.

Usato da medici, soldati e altri professionisti, fu riproposto da Omega in versione da polso tra gli anni ’30 e ’40, sempre caratterizzato da ciò che lo rendeva uno strumento professionale: la presenza sul quadrante della scala pulsometrica, telemetrica e tachimetrica.

Il ritorno fugace del nome Chronoscope nella collezione De Ville nel 2007 portò a un orologio che non aveva nulla del suo antenato in termini tecnici ed estetici. Un pezzo non proprio indimenticabile (pur se mosso da un calibro coassiale) e, non me ne vogliano gli amici di Omega, pure bruttarello. Soprattutto perché mancava la firma distintiva, le tre scale. Sulle quali vale spendere qualche parolina, provando a non annoiarvi con spiegazioni da secchione.

La scala telemetrica

In soldoni, è un tipo di scala che consente, attraverso un calcolo basato sulla differenza di velocità di propagazione delle onde sonore rispetto alla luce, di ottenere l’indicazione della distanza di un evento visibile e udibile. L’impiego più classico era, ahinoi, il calcolo della distanza delle artiglierie nemiche durante le guerre.

Poiché la luce viaggia più velocemente del suono, non appena un soldato scorgeva all’orizzonte il bagliore del fuoco nemico, attivava il cronografo; lo fermava quando il proiettile esplodeva, calcolando sulla scala telemetrica la distanza percorsa dal bolide. Naturalmente, così come le scale tachimetrica e pulsometrica, anch’essa funziona se abbinata a un cronografo.

La scala tachimetrica

Qui non ci sarebbe bisogno di spendere troppe parole, visto che questo tipo di scala è presente su quasi tutti i cronografi, dai più raffinati ai più economici. A volte anche a sproposito ma questa è una opinione personale. È, in sostanza, uno strumento di misurazione che, utilizzato insieme al cronografo, consente di convertire in velocità, o unità all’ora, il tempo trascorso in secondi.

Unità non a caso (la parola Units è infatti incisa su molte lunette), perché un tachimetro è un arnese neutro, direi quasi democristiano: può infatti utilizzare pressoché qualsiasi unità di misura, dalle miglia ai chilometri, fino ai nodi nautici.

E, già che siamo in casa Omega, ricordo che il marchio ha un primato non indifferente. Con lo Speedmaster, nel 1957, per la prima volta questa scala uscì dal quadrante, installandosi comoda comoda nella lunetta tachimetrica. Inamovibile ancora oggi.

La scala pulsometrica

È forse la più affascinante delle tre, perché ha a che fare direttamente con la carne viva di noi mortali. Grazie alla lancetta dei secondi del cronografo centrale, il pulsometro misura la frequenza cardiaca su una base di 15 o 30 pulsazioni (30 per l’Omega Speedmaster Chronoscope).

Si avvia il cronografo, si contano i battiti corrispondenti alle pulsazioni e si consulta la posizione della lancetta dei secondi sulla scala per determinare la frequenza cardiaca, espressa in battiti al minuto. Una funzione molto apprezzata dai medici nell’era pre-digitale (almeno fino agli anni ’60), oggi un po’ demodé vista l’abbondanza di diavolerie medicali elettroniche.

Il cronografo con scala pulsometrica deriva dal cronografo medicale, il primo vero cronografo prodotto oltre 300 anni fa, grazie allo zampino del medico britannico John Floyer. Fu il primo a misurare la frequenza cardiaca nelle visite di routine, utilizzando la lancetta dei minuti di un orologio a pendolo o una clessidra. Ma non gli bastavano.

Si rivolse a un orologiaio, Samuel Watson, chiedendogli di adattare un orologio in modo che potesse essere usato per misurare la frequenza del polso. Ne creò uno che includeva una seconda lancetta e una leva speciale per bloccare il meccanismo all’occorrenza. Era il 1695. Floyer impiegò così l’orologio come strumento di precisione per le sue misurazioni cliniche, confrontandone la regolarità con una clessidra per minuti, utilizzata come standard.

Ci vollero più di 200 anni perché l’orologeria svizzera si rendesse conto dell’impiego diffuso di cronografi da parte dei medici durante le loro visite. Negli anni ‘20 cominciarono così a essere introdotte le scale pulsometriche nei quadranti degli orologi con funzione cronografica.

Omega Speedmaster Chronoscope: finalmente…

E dopo questi (spero non troppo) noiosi excursus tecnico-storici, finalmente l’orologio. Partiamo dalla cassa dell’Omega Speedmaster Chronoscope. Sono 43 mm di solido acciaio (a parte una versione speciale cui accennerò tra poco), che grazie alle anse relativamente corte “alla Speedmaster” sono ben vestibili anche da un polso smilzo da 16 cm come il mio. Fidatevi, l’ho provato. E visivamente, la cassa appare quasi un 42, se non un 41 mm.

Merito, forse, del quadrante, sulle cui finiture Omega non si è risparmiata, come da tradizione. Spostandoci dal réhaut verso l’interno, la scala dei minuti è seguita da una corona lavorata con finiture circolari che ospita gli indici arabi applicati. Seguono le tre scale, telemetrica, pulsometrica e tachimetrica, quest’ultima a complemento di quella incisa sulla lunetta esterna, per calcolare le durate oltre il minuto. Il tutto completato dai contatori dei piccoli secondi e delle 12 ore, anch’essi rifiniti con lavorazione circolare.

Movimento al top

Nella cassa è ospitato il calibro Omega Co-Axial Master Chronometer 9908. Senza tirarla troppo per le lunghe, il nome del movimento ci fa già capire che si tratta di una fuoriserie. Intanto, è un calibro Co-Axial, quindi con scappamento coassiale.

In breve, esso trasmette energia tramite forze tangenziali erogate da componenti che si muovono in senso radiale, così che il contatto tra il dente della ruota di scappamento e la leva d’impulso è breve e rapido. Si riduce così l’attrito generato nello scappamento, che non necessita di lubrificazione e imprime all’orologio una regolarità di marcia sul lungo periodo. In una parola: vantaggioso.

Poi, è certificato Master Chronometer dal Metas, l’ufficio metrico della Confederazione svizzera. In una parola: preciso. Anche se sulle certificazioni di precisione i discorsi da fare sono ampi e diversi, come potete leggere qui e qui. Per cui passo oltre. Perché oltre che vantaggioso e preciso, questo calibro è bello da vedere, come potete leggere nelle didascalie.

Ed è pure prezioso…

Per lo Speedmaster Chronoscope, Omega non si è risparmiata in termini di offerta. L’orologio è infatti disponibile in sette referenze, sei delle quali si distinguono tra loro per l’abbinamento di quadranti, bracciali e cinturini: quadrante blu con bracciale in acciaio o cinturino in pelle tipo vitello; quadrante argento con bracciale in acciaio o cinturino in pelle blu tipo alligatore; quadrante argento “Panda” con bracciale in acciaio o cinturino in pelle nera tipo racing. Le versioni braccialate costano 8.700 euro, quelle con cinturino 8.400.

E poi c’è la versione lussuosa. Qui niente acciaio, ma una lega speciale che i moderni alchimisti di Omega hanno sviluppato non tra calderoni e alambicchi, ma nei moderni laboratori di Bienne. Si chiama Bronze Gold ed è già stata utilizzata in altri orologi del marchio, come il Seamaster 300. Mescola in percentuali diverse oro (37,5 per cento), argento e palladio.

I risultati sono una tonalità che si colloca tra quella dell’oro Moonshine e quella dell’oro Sedna e una resistenza alla corrosione e al viraggio di colore. Terzo risultato, un sensibile aumento di prezzo: 14.100 euro, solo con cinturino in pelle.

Il pelo nell’uovo… pardon… nel quadrante

Tutto molto bello, quindi? Al 99,9 per cento sì, ma se non faccio il pignolino rompiscatole non sono contento. Perché lo 0,1 per cento che mi ha soddisfatto meno alla prova e alla visione dell’Omega Speedmaster Chronoscope sta proprio nelle scale sul quadrante, che tendono ad affollarlo e a essere poco leggibili per chi, come me, da vicino fa un po’ fatica (l’età avanza…).

Per carità, nulla di paragonabile ai modelli del passato, con quadranti ancora più piccoli e scale stampate con numeri come formichine. E poi, onestamente, sarei curioso di vedere quanti possessori dell’orologio si divertiranno a calcolare la distanza di un temporale estivo usando la scala telemetrica…

Però è un prezzo da pagare all’operazione nostalgia di Omega. Che, lungi dall’avere solo ragioni estetiche, ha un obiettivo ben concreto: offrire all’appassionato del marchio un’opzione – bella – sotto il prestigioso cappello Speedmaster.

Ce la farà a diventare un orologio di successo? Probabile, perché il prodotto è figo e ha ottimi argomenti di vendita. Il resto lo faranno i consumatori e il mercato, con i suoi andamenti. Perché, si sa, anche nel business il mondo è fatto a scale…