Approfondimenti

Dietro le quinte. Nautilus Tiffany, la favola di Natale

{"autoplay":"false","autoplay_speed":"3000","speed":"300","arrows":"true","dots":"true","loop":"true","nav_slide_column":5}
Slider Nav Image
Slider Nav Image

E allora Tiffany chiese a Patek Philippe di produrre un orologio per celebrare i loro 170 anni di matrimonio. Le nozze del millennio. Forse. Tiffany chiede a Patek Philippe di produrre 170 Nautilus con il quadrante nel classico, esclusivo e brevettatissimo color “Tiffany blue”. L’orologio – si badi bene – verrà venduto esclusivamente nelle boutique Tiffany di New York, Beverly Hills e San Francisco. L’operazione è un’operazione Tiffany, non Patek Philippe. La quale non può fare a meno di produrre (nel tempo, mica tutti in una volta) il Nautilus Tiffany di Natale.

Un Natale da favola. Non per Patek, sia chiaro: ammesso che il marchio svizzero incassi 20mila euro per ciascun orologio (mi sono tenuto largo, visto che il prezzo al pubblico è di circa 50mila dollari), fanno meno di 3 milioni e mezzo di euro. Cifra che Patek probabilmente supererebbe di slancio con una decina di super-complicati. Ma chi se la sente di dire di no ad un cliente come Tiffany?

Il Nautilus, negli ultimi tempi, ha raggiunto cifre ridicolmente alte, in asta, perché è diventato l’orologio preferito da quelli che vogliono dimostrare di avercelo molto lungo, il conto in banca. Dai 30.860 del listino Patek per la versione con quadrante verde, si sono raggiunte cifre intorno al mezzo milione. Un’enormità. Ma “io ce l’ho e voi no”.

L’idea geniale

Qualcuno, da Tiffany, ha un’idea geniale. Mettere in asta il Nautilus Tiffany numero 1, Referenza 5711/1A-018. Il ricavato andrà interamente in beneficienza all’associazione Nature Conservancy. Nessuno ci guadagna nulla. Apparentemente.
Pochi giorni fa, l’11 dicembre, la casa d’aste Phillips ha aggiudicato il Numero 1 per 6 milioni e mezzo di dollari, circa 5.750.000 euro. Gran colpo. L’asta è stata molto vivace e la parte finale, quella delle offerte maggiori, ha coinvolto compratori anonimi collegati via telefono.

Tu mi dirai: “Chissenefrega, è un bell’atto di generosità da parte di un Paperone avido di Numeri Uno”. Ma allora non sarebbe mica una idea geniale, ti rispondo. Proviamo a fare qualche ipotesi.

La favola del Nautilus Tiffany

Poniamo per ipotesi che alla fine il Numero Uno se lo sia aggiudicato la stessa Tiffany. Oppure poniamo per ipotesi che la definitiva spinta verso la vetta finale fosse in qualche modo da attribuire a Tiffany – le ultime offerte provenivano da Londra e New York. Comunque sarebbe una buona azione di beneficenza, certo. Ma al tempo stesso è un modo per dire: “Guardate, il Numero Uno è andato a 6 milioni e mezzo di euro. Dal numero due in poi chi lo desidera può convincerci a venderglielo spendendo da Tiffany – che so – un bel 4 milioni di dollari… e passa la paura”.

“O magari la Referenza 5711/1A-018 te la lascio in omaggio”. Lasciarlo ai propri migliori clienti avrebbe un senso. Non sarebbe scandaloso se non per l’insana spesa degli acquirenti, che comunque si ritroverebbero con un bel po’ di gioielli e un orologio certamente desiderato da molti. Per la serie: “Io ce l’ho e tu no”. Commercialmente l’operazione cambierebbe molto. I 170 Nautilus Tiffany – che ufficialmente potevano essere venduti nel complesso a 8 milioni e mezzo di dollari – alimenterebbero un fatturato valutabile intorno ai 670 milioni di dollari, calcolati per difetto. Un incremento da favola, appunto.

Le polemiche

Naturalmente una considerevole parte di pubblico se l’è presa con Patek Philippe e il suo proprietario, Philippe Stern. Fondamentalmente si parla delle persone che si sono messe in fila per avere un Nautilus da quando hanno scoperto che – usato – può essere rivenduto a cifre molto, molto più alte di quanto Patek e i suoi concessionari chiedono.

Questa corsa alla speculazione più becera non ha nulla a che fare con la passione per l’orologeria e la cultura che rappresenta. Con tutto il rispetto per il Nautilus, pagarne uno – usato – per cifre superiori a quelle del cronografo 5172G (tanto per fare un esempio), che in oro bianco costa 69.350, è una vera follia da “io ce l’ho e tu no”. Ma anche pagarlo più dei 33.470 euro che servono per un Calatrava in oro bianco non mi sembra abbia molto senso, se non fate parte del club dei “io ce l’ho e tu no”.

Come stanno le cose

Patek Philippe, lo ripeto, il fatturato vero lo fa con i complicati. Sostenere che si arricchisca con un orologio sportivo d’acciaio vuol dire non conoscere l’orologeria. Di fronte alla richiesta di Tiffany non poteva dire di no: Tiffany smuove per Patek un notevole volume d’affari e la vendita del Nautilus Tiffany è riservata a tre soli negozi del marchio americano. Anche se sono certo che presentarsi con qualche milione per comprare altri orologi e gioielleria assortita possa comunque rivelarsi una scelta in grado di convincere qualunque commesso. L’unico “vantaggio” per Patek Philippe è quello – non direttamente monetizzabile – di far circolare il marchio fra un pubblico che i più cattivi definiscono “di buzzurri che creano più problemi che fatturato”.

Per Tiffany, invece, il discorso è totalmente diverso: il gioielliere statunitense (oggi proprietà del gruppo francese LVMH) si è sempre fatto un vanto di avere un pubblico ad ampio spettro economico, al quale fornire comunque oggetti di buon gusto. È per Tiffany che questa operazione ha davvero senso. Ed è Tiffany che dovrebbe dare un signor premio a chi ha concepito questa geniale idea di marketing. Tutto il mondo sta parlando della vendita in asta del Nautilus Tiffany, che salta all’ottavo posto degli orologi più costosi venduti all’incanto. Un solo tempo sportivo con cassa e bracciale d’acciaio.