Attualità

Il Locman Montecristo Oisa 1937 nella storia dell’orologeria italiana

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Della collaborazione Locman/OISA 1937 Il Giornale degli Orologi ha già pubblicato il 18 novembre dello scorso anno (articolo a firma Augusto Veroni, con considerazioni e approfondimento da par suo). Io che ne scrivo ora non voglio quindi entrare nuovamente nel merito della tecnica e del valore di questo progetto industriale italiano. Piuttosto ritorno sull’argomento perché esattamente quattro mesi dopo quell’annuncio, il 18 marzo di questo 2022 e nel contesto di Vo’Clock Privé, è stato presentato l’orologio che accoglie la prima serie di movimenti OISA 1937. Il Montecristo Oisa 1937 (si chiama proprio così), che vedete illustrato nella gallery qui sopra.

Solo una breve premessa. Ricordo che VO’Clock Privé è la manifestazione promossa da Vicenzaoro, dedicata all’orologeria contemporanea e nata sull’esperienza del salone vintage avviato nel 2020, presentata su questo sito da Marco Carniello. E che a tenere a battesimo l’operazione, in un’interessante e seguita conferenza stampa, c’erano Marco Mantovani, Presidente di Locman, e al completo i responsabili di OISA 1937: Carlo Boggio Ferraris, Franco Berizzi e Andrea Morante.

Dunque, il Made in Italy in orologeria, di nome e di fatto

Ed è proprio su questo che Mantovani ha focalizzato il suo appassionato intervento. Si tratta di un nuovo capitolo che ha l’onore di aggiungersi alla ricca e grande storia dell’industria del tempo del nostro Paese.
Gloriosa, ben presente nei secoli passati, ma che ultimamente si era un po’ persa con il prevalere dello Swiss Made e delle influenze sui gusti (e le convenienze, potremmo benissimo aggiungere) dettate dai mercati asiatici. In quell’immenso continente, apparso da pochi decenni sulla scena, solo il Giappone conserva infatti il gusto e il senso della tradizione come la si intende in Europa; mentre gli altri Paesi hanno visioni estetiche e funzionali completamente differenti.

Interessante anche il momento in cui Mantovani ha ricordato quanta Italia ci sia comunque dietro ai successi dell’orologeria svizzera; per stare in argomento, basta citare il direttore tecnico di OISA 1937, Fausto Berizzi, con i suoi trascorsi in Frédéric Piguet, Voucher/Parmigiani Fleurier e Atokalpa. Mantovani ha quindi messo l’accento su quanto d’italico sia storicamente documentato. A partire dai primi meccanismi – e parliamo dell’anno Mille – che apparvero in Europa come “svegliarini” all’interno dei monasteri. Tante di queste laboriose e pie istituzioni avevano sede proprio in Italia.

Una storia lunga secoli

E poi i primi orologi pubblici, quelli dei campanili, nel cui ristretto elenco e con datazione ai primi del ‘300 compare la Basilica di Sant’Eustorgio, a Milano. Interviene perfino Dante Alighieri, che con un celebre verso della Divina Commedia (Paradiso, canto XXIV) testimonia come nella sua epoca fossero già diffusi gli orologi, descrivendone con ammirazione l’ingegnoso movimento di ruote e ingranaggi. E poi ancora il trecentesco Astrario di Giovanni de’ Dondi (la cui ricostruzione di Luigi Pippa è al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano); la quattrocentesca Torre dell’Orologio di Piazza San Marco a Venezia e il cinquecentesco Orologio dei Pianeti di Lorenzo della Volpaia.

Senza parlare dei “notturni”, ambìti da aristocratici e pontefici, e del fondamentale contributo di Galileo Galilei – con studi sul pendolo – allo sviluppo dell’orologeria di precisione. Il tutto con attenzione all’estetica, grazie all’innato senso del bello presente in molti comparti del fare arte, artigianato o industria in Italia. Come magnificamente rappresentato dal quadrante dipinto nel 1443 da Paolo Uccello, allievo del Masaccio, situato nel Duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore. Tutti temi variamente approfonditi su questo sito nella serie di articoli scritti da Marisa Addomine. Con l’obiettivo di colmare le lacune di quanti poco conoscono l’illustre storia dell’orologeria italiana.

Per tornare a oggi

Il capoluogo toscano offre lo spunto – giustamente non citato da Mantovani, ma qui ricordato a onor di cronaca – per un accenno a Panerai. Che in epoca recente (siamo già all’orologeria da polso), rappresenta l’unico episodio rilevante di recente produzione nostrana. Ma se intorno agli anni Trenta del ‘900 si trattava di casse che adottavano movimenti svizzeri, dal 1997 (e con l’acquisizione da parte di Richemont Group) l’intera produzione diventa elvetica. Insomma, l’Italia è ben presente all’inizio dell’orologeria meccanica, ma poi ha ceduto il passo a Germania, Francia e Inghilterra; fino al predominio assoluto, coinciso con l’avvento dell’orologeria da polso, dello Swiss Made.

La digressione avvalora la sostanza di questo nuovo e tutto italiano progetto industriale. Il quale, come ha ben raccontato Mantovani a Vicenza, si fonda su competenza, memoria storica e passione per l’argomento. Aggiungendo che il primo risultato è un movimento indubbiamente bello da vedere, realizzato sul principio della massima affidabilità e base di sviluppo per eventuali altri calibri. La produzione marcata Made in Italy (solo bilanciere e spirale sono Swiss Made), oggi è attestata su un migliaio di pezzi all’anno; ma con proiezione a dieci volte tanto e in linea di principio al servizio dell’intero settore: sono molte infatti le marche d’origine italiana con produzione svizzera che potrebbero farci una riflessione.

Il Montecristo OISA 1937

Ma tanto per cominciare – ed è quello che più conta -, Mantovani si è esposto in prima persona facendo propria la prima produzione OISA 1937. Ovvero il calibro 29-50 a carica manuale, disposto su 5 ponti, con 60 ore di autonomia e una precisione con tolleranza cronometrica giornaliera di +/- 10 secondi. La collezione Locman che l’adotta è appunto una serie speciale del Montecristo, chiamato proprio Montecristo OISA 1937 – come scrivevo poc’anzi.

Un esemplare con la cassa in acciaio oppure in oro dal diametro di 42 millimetri, impermeabile fino a 100 metri e – ça va sans dire – con fondello a vista sul movimento. Il quadrante smaltato presenta numeri romani sul réhaut; e riporta la sezione occidentale e quella orientale di uno stilizzato mappamondo attraversata da un veliero – forse un’allusione all’avventura appena intrapresa. Mentre un tricolore a ore 6 sottolinea senza mezzi termini che questa missione è tutta italiana. Ne siamo orgogliosi.