Attualità

Watch Ads, lo spirito del tempo in cent’anni di pubblicità

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Watch Ads è l’opera enciclopedica con cui Marco Strazzi torna a soddisfare curiosità e voglia sapere di addetti ai lavori e semplici appassionati di orologi. Una rassegna che riunisce le più belle pubblicità di orologi nell’arco di cent’anni – dal 1900 al 2000 -, raccontate con oltre 1000 illustrazioni e apposite schede ricche di dettagli tecnici. In due volumi (il primo uscito pochi giorni fa, il secondo disponibile alla fine dell’estate), l’imponente lavoro è già stato pubblicato nel 2016/’17. Allora però era in vendita solo online, sul sito dell’autore come su Amazon, mentre questa seconda edizione sarà distribuita anche fisicamente nelle principali librerie.

Belli da vedere, gli annunci pubblicitari sono anche un fedele specchio dei cambiamenti in atto nel costume, nella società, nell’economia. Così, chi sfoglia Watch Ads può avere un’idea di come si sono evoluti nel tempo il design e la tecnica dell’orologeria, ma anche il modo di comunicare e il senso estetico. Da tenere in libreria, da sfogliare per diletto e da custodire come fonte di consultazione, l’opera di Marco Strazzi non mancherà di sorprendere ancora una volta anche i più esperti conoscitori del mondo delle lancette. Ne ho parlato con l’autore in questa intervista che ho fatto per Il Giornale degli Orologi.

Watch Ads illustra un secolo di comunicazione legata al mondo dell’industria orologiera. Qual è stata la genesi di quest’opera poderosa?
L’idea per Watch Ads è nata dal mio archivio personale. Un archivio che ho arricchito nel corso degli anni e include documentazione sia cartacea che digitale, tra riviste, manuali, opuscoli. È da qui che ho preso il materiale utilizzato anche per gli altri libri che ho scritto in passato, dopo avere trascorso lungo tempo nella redazione del Journal Suisse. Quella testata ha infatti un archivio che praticamente copre tutto il secolo. Purtroppo, però, in alcuni giornali qualche archivista frettoloso aveva strappato le pagine delle pubblicità, in altri casi, invece, c’era quasi tutto.

In quell’occasione comunque ho potuto fare centinaia di scansioni che poi sono servite per i primi libri. Non le ho usate tutte, ovviamente, perché erano troppe. Avevo a disposizione tutto questo materiale, unito al mio nutrito archivio cartaceo. Al che mi sono detto: perché non fare un libro sulla pubblicità legato al mondo degli orologi? Cioè sul mondo della comunicazione e lo stile con cui i fabbricanti di orologi e loro pubblicitari volevano avvicinare il pubblico.  

E quindi?
Ne è nata un’opera secondo me interessante al di là dell’aspetto iconografico. Perché permette a molti appassionati di scoprire in quale epoca, per esempio, sono stati costruiti certi orologi vintage. A volte, capita di vedere nei blog esemplari dichiarati degli anni ’30 quando invece sono chiaramente degli anni ’50. Una volta che un collezionista o un curioso vede queste pubblicità, si fa un’idea di quali sono gli stili tipici dei vari decenni. E poi le pubblicità spesso sono belle da vedere.

Interessante anche analizzare il modo in cui vengono presentati gli orologi. Ci sono per esempio case che prediligono il testo: come Rolex, che per lungo tempo ha fatto pubblicità in cui lo scritto prevaleva nettamente sulle immagini. Al contrario Patek Philippe per decenni ha fatto pubblicità solo con l’immagine dell’orologio. Anche notare la differenza di approccio al mercato secondo me è interessante. Spero di avere realizzato un’opera che possa essere utile sotto diversi punti di vista. Ai collezionisti, agli storici, agli appassionati…

Come ha organizzato il discorso?
Watch Ads è in due volumi, rispettivamente di 352 e 336 pagine. Entrambi sono divisi per decenni, ciascuno dei quali è preceduto da una breve storia dell’orologeria legata al periodo. Al termine di ogni decennio ho inserito delle appendici con pagine tratte da brochure, cataloghi, certificati o manuali di istruzioni. Nel primo volume si trova anche una lista delle marche dei fabbricanti di orologi svizzeri aggiornata al 1958. Nel secondo volume invece, al posto di questa lista, c’è una panoramica di annunci pubblicitari di prodotti collaterali: quindi movimenti, lancette, quadranti, spirali, insomma tutti i vari componenti di un orologio. Le immagini che ho inserito sono circa un migliaio in tutto, per facilitare la ricerca. Al termine di ogni volume ho incluso anche un indice dei nomi. Ed entrambi hanno la copertina rigida.  

Quali sono le fonti principali dalle quali ha attinto il materiale? Oltre al suo archivio, intendo…
Le principali fonti sono gli archivi del Museo Internazionale dell’Orologeria di La Chaux-de-Fonds. Qui si trovano le raccolte delle riviste specializzate praticamente di tutto il secolo scorso. Riviste di cui custodisco alcune annate, ma non la totalità dei numeri. In totale credo di aver sfogliato intorno al mezzo milione di pagine. Non so quantificare con esattezza quanto tempo ci ho messo, perché la ricerca è in parte avvenuta parallelamente a quelle fatte per gli altri libri che ho scritto.

Com’è cambiata la comunicazione degli orologi nel corso del tempo?
È un viaggio parallelo a quello della produzione. Dobbiamo infatti pensare che, negli ultimi venti o trent’anni, l’orologio di alta gamma è sostanzialmente diventato quasi un gadget. La sua funzione originaria non è più interessante. Non abbiamo bisogno di un pezzo importante per sapere che ora è, e la cosa ha influenzato notevolmente la comunicazione. Se guardiamo gli ultimi venti o trent’anni, si punta molto sulla complicazione, sull’originalità, sull’immagine. Mentre chi comprava un orologio negli anni ’50 o ’60 chiedeva soprattutto che fosse preciso. Quindi l’aspetto dell’orologio come accessorio di lusso è tipico degli ultimi trent’anni.

Proprio verso gli anni ’50 e soprattutto ’60, poi, ha cominciato a prevalere l’aspetto tecnico, dato che gli orologi diventavano sempre più complessi. Si trattava di promuovere anzitutto l’orologio automatico: che ha faticato molto per imporsi al pubblico perché la gente non si fidava, ha continuato a lungo a chiedersi come potesse funzionare un orologio se non lo si ricaricava tutti i giorni. Quindi l’automatico era spesso illustrato attraverso disegni del movimento, con spiegazioni che intendevano convincere il pubblico a fidarsi del dispositivo di ricarica.

In questo stesso periodo inoltre ha influenzato molto la comunicazione l’evoluzione del mercato giovanile. Verso la metà degli anni ’60, un pubblicitario di Ginevra era stato ingaggiato per promuovere la vendita dei cronografi. Aveva organizzato la campagna pubblicitaria sul mercato dei giovani perché sosteneva che avevano un potere d’acquisto superiore a quello dei loro genitori alla stessa età. Negli anni ’80, poi, c’è stato un ritorno dell’orologio meccanico.

E dal punto di vista grafico?
Ciò che è cambiato soprattutto è lo stile iconografico. Le pubblicità degli anni ’30 sono riconoscibilissime, hanno un valore artistico che va oltre l’aspetto commerciale. Lo stesso vale per gli anni ’40, che forse sono stati ancora più ricchi in quanto le pubblicità erano realizzate da artisti autentici. Come si vede in Watch Ads, ci sono immagini che meriterebbero un posto nel soggiorno di una bella casa, proprio per la loro pura bellezza. Penso, per esempio, ad alcune reclame di Universal, di Patek Philippe, di Vacheron Costantin, ma anche di marche minori.

Qual è stata difficoltà maggiore che ha incontrato nella preparazione dei due volumi?
In origine queste immagini erano a colori. Ma spesso nelle riviste le pubblicità erano riprodotte in bianco e nero, perché ovviamente la stampa della pagina a colori costava di più. E il bianco e nero toglieva molto all’effetto dell’immagine. Ecco, spesso ho dovuto adeguarmi al materiale che avevo a disposizione, con molto rammarico. Perché le pubblicità a colori sono veramente molto, molto belle.

C’è un periodo storico che l’ha appassionato maggiormente?
Mi interessa molto il periodo fra gli anni ’30 e ’50, perché c’era una straordinaria creatività. Pensiamo ad esempio alle pubblicità di altri prodotti di consumo, come Campari, che venivano affidate a veri artisti, come De Pero e i Futuristi. Anche in orologeria, a volte si tratta di opere con una qualità artistica che va oltre l’aspetto commerciale. Di vere e proprie opere d’arte a sé stanti…