Tra le novità presentate quest’anno da Bulova, in uscita proprio quest’estate, c’è uno degli orologi più amati dai fan della Marca: il Lunar Pilot. Un esemplare che prende ispirazione dall’originale datato 1971 e il cui lancio è un’occasione perfetta per rievocarne la lunga storia
Quando si parla di “Moonwatch”, ovvero di orologi che sono stati sulla Luna, la mente si fissa su un nome solo: Omega.
C’è stato però recentemente un momento in cui si è potuto acquistare un orologio che davvero è stato sulla Luna: l’anno era il 2015 e l’orologio un prototipo Bulova. Un prototipo del Lunar Pilot, per essere precisi.
Come c’è arrivato?
Come si sa – e Il Giornale degli Orologi lo ha raccontato qui -, nel 1965 la Nasa selezionò degli orologi da polso adatti alle missioni spaziali. I test furono effettuati in segreto, tanto che i vari candidati furono acquistati privatamente nei negozi. Vinse l’Omega Speedmaster, ma la Casa elvetica lo seppe solo l’anno successivo.
Bulova, che era americana, mal digerì questa sconfitta. Eppure, i suoi orologi non mancavano certo nello spazio. Fin dal 1960 la Nasa aveva incaricato la Casa americana di studiare e fornire esemplari per le strumentazioni di bordo. Aveva equipaggiato almeno 46 missioni grazie all’Accutron, che era diventato persino il primo movimento a rimanere sulla Luna, anche se in forma di orologio interno del sismografo lasciato nel Mare della Tranquillità. Mancava solo il posto più prestigioso (e più spendibile nel marketing): volare al polso degli astronauti.
Volere la Luna
Nel 1970 il generale Omar Bradley, veterano della II Guerra mondiale e dal 1958 vulcanico Presidente di Bulova, mise in campo qualunque mezzo per poter finalmente avere un “vero” moonwatch. Richiese alla Nasa di effettuare una nuova selezione ed effettuò un’azione di lobbying con i senatori perché fosse applicato il Buy American Act del 1933, che imponeva che i beni acquistati dal Governo fossero realizzati almeno al 51% negli Stati Uniti. (Qualcuno ha parlato di protezionismo? Potremmo prendere esempio).
Così, Bradley sperava di far fuori la concorrenza svizzera, e in effetti eliminò dalla competizione 14 marche su 15. Rimase in corsa Omega. La Maison di Biel non si fece prendere in castagna: mandò a produrre casse e vetri alla Starr Watch Case Company di Luddington, Michigan, e successivamente a controllarli alla Hamilton di Lancaster, Pennsylvania. I componenti infine erano inviati in Svizzera per l’incassatura del movimento.
Dopo aver sbaragliato quasi tutte le marche concorrenti, il passo successivo per Bulova era altrettanto importante, direi fondamentale: avere un movimento. Bulova infatti non produceva cronografi. Bradley quindi si fece inviare 16 movimenti dalla consociata svizzera Universal Génève. E pare ormai certo che quei movimenti fossero dei Valjoux 72.
Finalmente a bordo
Nonostante gli sforzi profusi, i test effettuati dalla Nasa misero i prototipi dei Lunar Pilot in difficoltà. In particolare pare che abbiano fallito i test di accelerazione e di tenuta all’umidità, anche se i risultati ufficiali non sono mai stati resi noti. L’Agenzia quindi continuò a utilizzare gli Speedmaster. Bradley la prese elegantemente, anziché no. Pressò persino la Nasa per sapere quanti erano e che fine avevano fatto gli Speedmaster. Dopo una serie di ricerche risultò che fino al 1968 ne erano stati acquistati 97: di cui 17 erano rotti o persi, 60 erano in uso o in revisione e 20 ancora da utilizzare.
Ma Bradley non si rassegnava a rimanere a terra. Regalò quindi un prototipo all’astronauta David Scott affinché lo portasse nello spazio come orologio personale. Cosa che avvenne nella missione Apollo 15.
Sepolto in cassaforte
Una volta tornato sulla terra, Scott potè ovviamente riportarsi a casa il suo Bulova. Curiosamente l’orologio finì dimenticato in cassaforte per oltre 40 anni, tanto che in alcune interviste l’astronauta sostenne di aver indossato un Waltham.
Come mai Bulova non abbia sfruttato questo avvenimento e dove siano finiti gli altri prototipi è ancora avvolto dal mistero. Si sa però che un esemplare di questi – presentato semplicemente come prototipo – è stato battuto all’asta nel 1994, staccando un prezzo di vendita di circa 3mila dollari.
Nel 2015, poi, l’esemplare di Scott viene riesumato e messo all’asta da RR Auction, il 15 ottobre, con una previsione di 50mila dollari. Il prezzo di vendita finale è un impressionante milione e 300mila dollari. Con le commissioni il totale sale a un milione 592mila e 500 dollari.
E arriviamo al 2016
Bulova coglie la palla al balzo. E nel 2016, sulla scia di questo exploit, presenta il modello “di serie”, chiamato Lunar Pilot. L’estetica riprende fedelmente quella dell’antenato, compresi i pulsanti cronografici ad aletta. Una concessione alla praticità è l’inserimento del datario tra il 4 e il 5, che si nota a malapena. Le dimensioni sono superiori all’originale: 45 mm contro i 43,3 dell’epoca. Lo spessore è 13,3 mm. I 52 millimetri lug-to-lug non lo rendono proprio adatto a tutti i polsi.
Il movimento non è quello originale e non è neppure meccanico.
Sì, ma che movimento è?
La differenza è che in questo caso abbiamo il calibro NP20, la versione meno rifinita e con zero rubini.
Peraltro Bulova ha ingenerato una certa confusione sul nome, perché il movimento è marcato 8136, numerazione tipica dei Citizen, e con ogni probabilità è un derivato dal Miyota 6S20 con la sola differenza del quarzo Uhf. Perché definire NP20 un movimento che comunque il Gruppo Citizen – proprietario tanto di Bulova quanto di Miyota – utilizza solo sui Bulova? Forse proprio per non suonare troppo Citizen…
Ma lasciamo perdere il discorso sulle origini del calibro… Trovo sensato risparmiare sul movimento, che non si vede, per mantenere una buona fattura sul resto e un prezzo accessibile su vasta scala.
L’operazione ha avuto senso?
Dipende da come la si vede. Ci sono state molte critiche sul fatto che dell’orologio che è andato sulla Luna, alla fine, ci sia solo l’aspetto estetico e il movimento sia del tutto diverso. Se si vuole indossare un calibro selezionato per andare nello spazio dovremmo cercare un Accutron 214, un Omega 321 o persino un quarzo tedesco Ruhla UMF-28. Ma si tratta sempre e comunque di esemplari di secondo polso (o anche di terzo), adatti a chi apprezza il fascino del vintage. Si deve però essere consapevoli che l’affidabilità relativa e le prestazioni dei pezzi d’epoca non sono affatto all’altezza degli standard attuali. Regola valida sempre, quando si compra un orologio del passato.
Anche la discussione sulla “nobiltà” del movimento lascia il tempo che trova. Qualsiasi riedizione contemporanea di un orologio d’epoca non adotta mai lo stesso calibro dell’originale. Non avrebbe senso montare in una nuova produzione meccaniche obsolete, che appaiono superate sia dal punto di vista tecnico sia concettuale. Piuttosto, in questo caso, è coerente che il Lunar Pilot sia dotato della tecnologia più avanzata prodotta “in casa”. Il calibro ad alta frequenza infatti può essere visto come lo sviluppo di quell’Accutron che per anni fu alla base dei rapporti fra Bulova e la Nasa. Meglio un movimento al quarzo Uhf di un anonimo movimento meccanico che comunque non sarebbe fedele all’originale. Del resto, Bulova oggi ha una reputazione e una collocazione di mercato ben definite: produce orologi noti per il design e la buona qualità costruttiva, a prezzi onesti.
In ogni caso l’operazione ha funzionato ed è stata coronata da un vasto successo di mercato. Tant’è che finora ha avuto un seguito commerciale, anzi due.
Il Lunar Pilot del 2021…
Il 2021 è l’anno in cui esce un’edizione speciale, limitata a 5.000 esemplari e dedicata al 50° anniversario dell’Apollo 15. Si distingue dal precedente di cinque anni prima per la cassa in titanio con corona, pulsanti, contatori crono e lancetta centrale dei secondi crono dorati. Sul fondello, anch’esso dorato, è inciso in bassorilievo un astronauta sul suolo lunare, nonché varie scritte commemorative. Il prezzo era di 890 euro.
…E quello del 2023
Ed eccoci finalmente al motivo per cui abbiamo ripercorso dall’inizio questa storia. Nel febbraio di quest’anno Bulova presenta due nuovi Lunar Pilot che arrivano in distribuzione nei negozi proprio per l’estate e vanno subito esauriti. Leggermente rivisti, riprendono esattamente il diametro del crono del 1971: 43,3 mm. Per la prima volta, con la referenza 98A305 Bulova introduce anche un quadrante “panda blu”, ovvero bicolore con fondo chiaro e totalizzatori blu, così come i pulsanti crono ad aletta.
Gli altri modelli invece sono più simili all’originale: hanno lo stesso quadrante nero con la scala tachimetrica sul réhaut. Entrambi presentano una configurazione tricompax con lancette e indici a bastone, rivestiti di materiale luminescente. E sono equipaggiati sempre dal calibro NP20 Uhf, la cui frequenza elevata conferisce alla lancetta dei secondi un moto fluido (e non a scatti, come gli altri quarzi), proprio come in un movimento meccanico. Per le altre caratteristiche dei nuovi Lunar Pilot vi rimando alle didascalie.
Qui concludo con un specchietto sintetico sulla gamma 2023, che è così composta:
96B251: 45 mm, datario, quadrante nero, cinturino di pelle, 529 euro.
96B258: 45 mm, datario, quadrante nero, bracciale d’acciaio, 579 euro.
96A299: 43,3 mm, senza data, quadrante nero, bracciale d’acciaio, 579 euro.
98A305: 43,3 mm, senza data, quadrante “panda”, bracciale d’acciaio, 579 euro.
Come si vede, prezzi alla portata di tutte le tasche per una qualità percepita decisamente buona. Se poi si considera l’omaggio a un pezzo di storia della conquista dello spazio, non c’è da stupirsi che il Lunar Pilot sia andato sold-out.