Storia e storie

ESA, i primi calibri elettrici svizzeri

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Tra tutte le persone traumatizzate dall’annuncio (nel 1952) dell’orologio elettrico di Lip ed Elgin prima, e poi (nel 1960) da quello dell’orologio elettronico al diapason di Bulova, certamente c’era il management di ESA.

ESA era una holding fondata nel 1926 a Neuchâtel per la realizzazione di sbozzi per orologi – come dice il nome: l’acronimo sta per Ebauches SA – con l’obiettivo di razionalizzare la produzione, il cui eccesso stava facendo crollare i prezzi. I soci iniziali erano A. Schild AG (Adolph Schild era anche tra i “padri” di ETA), Adolphe Michel SA e FHF, cui poi se ne aggiungeranno altri, tra cui Valjoux.

Nel 1931 è tra i fondatori di ASUAG (Allgemeine Schweizerische Uhrenindustrie AG, anche detta Société Générale de l’Horlogerie Suisse), un consorzio di aziende che a sua volta è un cartello per controllare i prezzi e la produzione. Diciamo che agli svizzeri del XX secolo le parole “libero mercato” non scaldavano il cuore…

Negli anni ‘60 ESA raggiunge la massima espansione: 10mila dipendenti, il 25% del mercato mondiale. Acquisisce anche il controllo della francese Lip, di cui incorporerà alcuni calibri cambiando loro codice.

Gli anni ‘70 vedono la crisi del quarzo, che ridurrà di due terzi la manodopera orologiera svizzera (da 90.000 a 30.000 persone), e una serie di acquisizioni a matrioska: la ESA ingloba ETA e a sua volta diventa parte – indovinate? – del Gruppo Swatch.

La soluzione elettrica: il calibro L4750

Al trauma dell’orologio elettrico Esa risponde con una certa celerità, nel 1960, col calibro L4750. La “L” sta per Landeron, la consociata che si è occupata dello sviluppo. La data di nascita ne fa il primo orologio elettrico svizzero. Lo schema ricalca quello di Lip ed Elgin: bobina fissa sul ponte e bilanciere con magneti permanenti a bordo. La bobina è a forma di “C” e corre lungo il bordo esterno del movimento; è formata da due metà da 3.000 giri di rame da 0,03 mm, il bilanciere oscilla a 2,5 Hz (18.000 a/h) e chiude il solito contatto elettrico che ha i soliti problemi di scintille e di conseguente carbonizzazione – visti su tutti i movimenti coevi.

Poiché era un movimento relativamente grande, la pila era alloggiata nella cassa al di sotto del movimento – spesso in un doppio fondo –, e di conseguenza gli orologi risultavano relativamente spessi. Peraltro quella misura di pila uscì ben presto dal mercato, il che costrinse l’azienda a usare degli adattatori per poter utilizzare la produzione disponibile. Il bilanciere molto grande rendeva il movimento piacevolmente rumoroso.

Le varianti successive sono state il calibro 4751 col blocco del bilanciere in fase di rimessa all’ora e il 4760 dotato anche di disconnessione elettrica (le versioni precedenti infatti non si fermavano quando li si regolava). Il movimento ha avuto una larga diffusione ed è stato incassato da oltre 30 produttori diversi, tanto che ancora oggi è relativamente facile trovarne un esemplare funzionante (eccetto quei modelli più ricercati, come i Waltham). Il fatto di avere un bilanciere con frequenza non particolarmente elevata evitava anche quei problemi di usura dell’asse e dei rubini che si vedono nelle produzioni successive.

La soluzione elettronica: il calibro ESA 9150 e derivati

Nel 1967 si passa alla soluzione elettronica, con un progetto del tutto nuovo e al passo coi tempi: ESA lancia il calibro 9150 “Dynotron”, denominato anche “Swissonic 10”. Il risuonatore era sempre un bilanciere con i magneti permanenti a bordo, ma la bobina diventa una ciambella da 3550 giri di filo di rame da 0,018 mm per la parte che genera il campo magnetico che spinge il bilanciere, e 1350 giri per la parte che ne rileva la posizione. Quest’ultima attiva o meno il transistor che alimenta il circuito, il quale è composto da un diodo, un condensatore e una resistenza. Uno schema del tutto analogo all’Accutron e a tutti gli elettronico-meccanici coevi.

Le dimensioni sono 28 x 5,5 mm. Il bilanciere oscilla a 3 Hz (21.600 alternanze orarie). La produzione avveniva negli stabilimenti ESA di Landeron per la parte meccanica, in quelli di La Chaux-de-Fonds e di Le Locle per il bilanciere; in quelli di Porrentruy si realizzava il modulo elettronico e infine, nella fabbrica della A. Schild, si realizzava il treno delle ruote.

Tante le varianti: il calibro 9154, che portava le oscillazioni a 4 Hz (28.800 a/h); il 9156, che aggiungeva 4 dischi per i bioritmi, utilizzato solo da Certina. Poi il 9157, completamente ridisegnato per limitare i costi: supporto bobina, modulo elettronico e vano pila diventano un’unica fusione di plastica. Il 9158 era la versione col datario settimanale.

Soluzioni curiose: i calibri 9159 e 9176

Infine, due interessanti varianti: il calibro 9159 e il calibro 9176. Il primo utilizzava dischi rotanti tipo “saltarello”. Il secondo degli originali rulli in stile contachilometri da auto: uno per le ore (12), uno per le decine di minuti, uno per i minuti e uno per i secondi. Lo scatto del minuto avveniva di colpo tramite un meccanismo a molla. Il bilanciere era posto di lato, in verticale, quindi con l’asse in orizzontale: questa posizione, ruotata di 90° rispetto al solito, ha fatto sì che nel 90% dei casi l’asse del bilanciere si sia usurato. Per fortuna si può utilizzare come ricambio il corrispettivo del 9158 opportunamente modificato. Inoltre il meccanismo composto perlopiù di plastica si è rivelato molto delicato, tanto che oggi è difficile trovarne un esemplare dal funzionamento perfetto.

La soluzione elettronica per signore: i calibri ESA 9190 e 9200

Nel 1967 si pensa anche alle signore col calibro 9190, sviluppato insieme a FHF e LIP, di cui ESA da qualche anno era proprietaria. In realtà lo sviluppo è perlopiù in capo a LIP, che lo venderà con un certo successo col nome di R50: 17,2 mm di diametro, 14 rubini, 21.600 alternanze/ora, richiedeva una pila 309.

Il calibro 9200 è invece un progetto interno ESA, realizzato poi da FHF. È forse il più piccolo elettromeccanico mai realizzato (15,3 x 17,8 x 4,6 mm). Sia il Lip R50 che gli Accutron 221 e 230 sono leggermente più grossi. È stato usato anche da Longines con il nome di L7102.

I movimenti elettromeccanici “Dynotron” sono stati un grande successo e sono stati prodotti in milioni di esemplari, tanto che ancora oggi si reperiscono facilmente e addirittura ci si realizzano orologi (uno per tutti: il Gevril GV2 8700). La produzione è andata avanti per 15 anni, affacciandosi così agli anni ‘80 del ‘900. Il loro vantaggio è stato di avere un costo inizialmente comparabile a un automatico, che poi è sceso rapidamente, e una precisione tale da poter ottenere il certificato ufficiale di cronometro con facilità.

Ma non è finita qui. Ne riparleremo presto… Continua