Storia e storie

Lip, i primi elettrici al mondo. Al di qua dell’Oceano

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Fred Lip (1905/1996), padre-padrone dell’omonima azienda di famiglia del Doubs, l’aveva ereditata dagli avi Lipmann, che l’avevano fondata nel 1867 a Besançon. Nella sua storia, ormai conclusa, la Lip ha creato “solo” 15 calibri meccanici da polso, 4 meccanici da tasca e 7 elettronici.

La ricerca della qualità elevata l’ha portata tra l’altro a essere fra le prime case orologiere ad avere una catena di montaggio, già negli anni ‘50. Il che le ha permesso di realizzare oltre 500mila orologi l’anno (il 10% della produzione francese) con soli 1.500 dipendenti.

La fissazione di Fred Lip per la qualità era tale che quando, nel 1955, alcuni dei suoi ricercatori gli proposero dei prototipi tipo Roskopf – orologi da tasca di larghissima diffusione perché semplici, robusti ed economici, tanto che ancora oggi si trovano con grande facilità – per occupare la parte più bassa del mercato, urlò loro: «Lip produit de la qualité, pas de la merde!». Non serve tradurre…

Seguirne tutta la storia però ci porterebbe troppo lontano; torniamo a noi.

Nel 1928 Fred tornò dagli Stati Uniti dove aveva avuto modo di vedere gli orologi elettrici e si era convinto che sarebbe stato il futuro dell’orologeria. Nel 1934 realizzò anche, in collaborazione con Ericsson, un orologio elettrico da tavolo. Gli studi sull’orologio da polso però poterono iniziare solo dopo la guerra: Lip chiese al suo direttore tecnico, Jean-Georges Laviolette, e a Paul Dargier de Saint-Valury di riunire per questo scopo una squadra di una decina di persone. L’incarico era da far tremare i polsi, perché si era agli inizi e mancava tutto, a iniziare dalle pile. Nello stesso periodo, siamo nel 1946, anche Elgin ed Hamilton negli Stati Uniti iniziarono gli stessi studi.

Da che cosa si inizia? Dalle pile

Nel 1948 la ricerca partì davvero. Lip impose il segreto assoluto su questi studi, tanto che mise una guardia all’ingresso del laboratorio. Questo comportò peraltro che il team fosse autonomo nella produzione di ogni parte dell’orologio e persino dei macchinari stessi.

Tutto l’anno 1949 se ne andò insieme all’industria Leclanché nello studio di pile adatte allo scopo: non fu semplice, dal momento che in orologeria servivano pile adatte a consumi molto bassi per una lunga durata. Le pile al momento presenti sul mercato, su un tale lasso di tempo, avevano una dispersione di corrente superiore a quella che se ne andava per l’alimentazione del dispositivo. Inoltre, sempre sul lungo periodo, tendevano a perdere acido.

Ancora nel 1949 Lip siglò un accordo con la Elgin e una ventina di ingegneri si recò negli States per scambiarsi informazioni. Occorreva persino studiare il filo di rame smaltato atto a realizzare le bobine. In quegli anni si depositarono brevetti su brevetti. La scelta sul tipo di movimento alla fine ricadde su un bilanciere con magneti permanenti spinto da una bobina fissa.

Finalmente, il 19 marzo 1952, all’Accademia delle Scienze di Parigi, Fred Lip in persona presentò l’R27, frutto di tanto lavoro. In contemporanea, all’Hotel Blackstone di Chicago il presidente di Elgin, John Shennan, presentò il calibro 722, partorito in collaborazione coi francesi.

L’effetto fu enorme: Albert Caquot, presidente dell’Accademia, dichiarò: «Occorre risalire all’invenzione dello scappamento ad ancora nel 18° secolo per trovare nell’orologeria una scoperta della stessa importanza». Un esemplare fu anche depositato all’Osservatorio di Besançon. L’anno successivo Lip ricevette l’invito a presentare il suo orologio alla Royal Arts Society a Londra, dove accese altrettanto entusiasmo.

Talmente bello che si butta e si rifà

Nonostante il clamore della presentazione, si era ancora ben lontani dalla affidabilità richiesta per l’industrializzazione e la commercializzazione: c’erano sempre grossi problemi di consumo, di affidabilità delle pile e di durata dei contatti elettrici. Si depositarono brevetti su brevetti.

Gli ingegneri ridisegnarono il calibro daccapo nel 1954, alimentato da due pile in forma di fagiolo studiate appositamente dalla Lip, che si integravano in appositi spazi nel calibro. Il problema era che perdevano irrimediabilmente acido dagli spigoli vivi e questo ossidava il movimento. Avevano anche una certa tendenza a esplodere. Videro la luce solo 10 prototipi con le pile a fagiolo e nessuno di questi sopravvisse. Alla fine decisero di abbandonare le pile fatte in casa e di utilizzare quelle di forma cilindrica – cioè come oggi le conosciamo – realizzate dalla Union Carbide.

Il movimento avrebbe però dovuto essere ridisegnato attorno a questa forma, cosa che in realtà non avvenne. Non risolsero invece il problema del consumo: occorrevano comunque due pile per arrivare a un anno di funzionamento.

Tre anni, “zeru tituli” per Lip

Restava il problema della scarsa affidabilità del contatto elettrico e su questo batterono la testa per tre anni. Nel 1955 Fred Lip, esasperato, licenziò De Saint Vaulry e la gran parte del suo staff lo seguì. Lip lo sostituì con Jean Pommier. Quest’ultimo dovette rianalizzare tutto daccapo. Allestì un laboratorio fotografico per filmare il movimento in funzione e riprodurre le immagini su un grande schermo per capire cosa succedeva.

Parallelamente, si realizzarono dei prototipi in scala 100/1, per studiare le soluzioni. Dalle immagini uscì che a ogni contatto si sprigionavano scintille che distaccavano parti micrometriche di materiale. Risolsero il problema montando in parallelo un diodo in funzione di spegni-scintilla, soluzione poi adottata da quasi tutti i produttori. Realizzarono anche un macchinario in grado di tagliare il filo di contatto, in oro 24k, in strisce di 0,2 mm.

Tra l’altro la presenza del diodo regalerà al progetto il nome di “Electronic”, anziché “Electric”: definizione opinabile, perché il diodo è un componente meramente passivo e quindi non è certo un movimento guidato dall’elettronica.

Le pile rappresentavano ancora una tragedia: continuavano a perdere acido per capillarità e tendevano a polarizzarsi. Per risolvere questi problemi i tecnici provarono molti materiali per anodo e catodo, e rinchiusero le pile in cappucci di plastica.

C’eravamo quasi, e invece Hamilton…

Quando ormai sembrava che nessuno potesse insidiare il primato, nel gennaio 1957 Hamilton mise in vendita il suo orologio elettrico con il calibro 500. In Europa la produzione avvenne su licenza da Epperlein. Lip ne approfittò per studiare le soluzioni dei concorrenti e migliorare i punti deboli.

Ormai però si era in dirittura di arrivo anche per i francesi e il 7 dicembre 1958 finalmente presentarono il Lip “Electronic”, così come qualche giorno dopo fece Elgin negli Usa. Un esemplare andò in dono al Generale De Gaulle e un altro al Presidente americano Dwight Eisenhower. I primi esemplari furono in oro e assemblati a mano. Alla Lip strinsero intese con Porta, Lanco e Benrus per la commercializzazione con i loro marchi. Studiarono una versione con datario, che però non vide mai la luce. Nel 1959 un esemplare ricevette il certificato di cronometro dall’osservatorio di Besançon, diventando il primo orologio elettrico nella storia.

Storia che, invece, non finisce qui. Fu subito chiaro che con due pile il volume occupato era eccessivo; inoltre il costo di produzione era “orrendo”. Si pensò quindi subito alla sua evoluzione.

Verso il Lip R148-R184

Come molti produttori in quel periodo, Lip mise in vendita l’R27 pur sapendo che era lontano dalla perfezione tecnica: era essenziale arrivare tra i primi e comunque rientrare delle enormi spese di investimento. In effetti anche l’R27 non assomigliava a niente di quello che c’era sul mercato in quel momento e nonostante fosse di alta qualità costruttiva, risentiva della mancanza di esperienza, come era logico che fosse. Si pensò quindi subito all’evoluzione, i cui requisiti di progetto erano di guadagnare affidabilità e robustezza; soprattutto, era primario che funzionasse con una sola pila.

Nel 1960 Bulova presentò l’Accutron 214. Fred Lip ne portò un esemplare dagli Stati Uniti e restò molto colpito dalla soluzione americana, che lui riteneva superiore alla propria. Ordinò a una parte dello staff di studiare qualcosa prendendo ispirazione dal diapason, ma la conclusione fu che non disponevano di macchinari tali da ottenere la precisione costruttiva necessaria. Si ricordi che la prima ruota indice dell’Accutron possiede 300 denti da 0,02 mm di altezza su 3 mm di diametro.

Jean Pommier non si arrese e promise di realizzare macchinari in grado di produrre orologi col diapason.

Fred Lip non si convinse e nel 1961 annunciò loro che stava per stringere un accordo con Elgin per importare in Francia il calibro 500 di Hamilton. A questa notizia, Pommier e Jean Ubbiali, in un’ora, realizzarono un modellino – sulla base di disegni realizzati da Roland Guerber – di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo movimento. Lip esultò e diede loro ulteriore personale e mezzi finanziari.

L’équipe tornò al lavoro e continuò a migliorare i punti deboli del calibro: ridisegnò la bobina, più piccola di prima, grazie a un nuovo procedimento di produzione del filo di rame smaltato – messo a punto e brevettato da Georges Arnaud – che permetteva di imbobinare filo di rame da 25 micron.

Finalmente il successo. O quasi

Per la parte meccanica non lo si riprogettò da zero, ma neppure si ripartì dall’attuale R27; si decise di partire da un calibro meccanico robusto e collaudato: il Fontainemelon FHF 55. Lip produsse in casa solo la parte elettronica.

In ogni caso, in soli due anni si arrivò al successo: nel 1963 il progetto R148 era pronto. Una pila (301 al posto delle due 201), una bobina fissa, un bilanciere magnetico da 18.000 A/h, 14 rubini. Nel 1964 uscì il calibro R184 che guadagnò il disco data ma senza rimessa veloce (occorreva far avanzare l’ora). Quest’ultimo avrebbe rimpiazzato gradualmente l’R148. Fu realizzata anche una rara versione col datario ma senza secondi centrali, l’R196.

L’R184 verrà montato da altre marche: quali Belforte (che ne realizzò anche un’interessante versione scheletrata per fare concorrenza al Bulova Spaceview), Benrus, Electra, Elgin, LeJour, Marvin, Nivada, North Star, Universal, Vulcain e Waltham. Dopo la presentazione dell’R148, peraltro, restarono diversi calibri R27 invenduti. Per levarseli di torno, Fred Lip ci realizzò degli orologi da tavolo di forma piramidale.

Lo sviluppo comunque non si fermò: fu anche valutato un prototipo, l’R047, con transistor e senza contatti elettrici, come i successivi ESA 9154 e 1958 e come l’R050 che vedremo dopo. Si testarono soluzioni alternative all’Incabloc per il bilanciere per diminuire i costi, ma senza successo. Si provarono persino versioni senza rubini, con al loro posto boccole di acciaio temperato. Esistono esemplari in circolazione con l’antichoc Kif e altri con la spirale Breguet. Dopo quest’ultima creazione, Jean Pommier si licenziò, insoddisfatto dei mezzi messi a disposizione dal dispotico Lip.

Il primo orologio elettronico da donna: Lip R050

Per vestire le signore si decise di non miniaturizzare il Lip elettrico. Ancora una volta si voleva arrivare a una prima mondiale: il primo orologio transistorizzato da donna al mondo.

Si rispolverò perciò il prototipo R047 a transistor, privo di contatti. Fu affidata una squadra a Paul George, che si mise al lavoro nel 1963: calibri via via più piccoli si succedettero, si miniaturizzarono fili, bobine, transistor, bilancieri. 

Nel 1966 al salone di Basilea si presentò un primo prototipo, ma era ancora troppo grosso. Si arrivò ad arrocchettare filo da 10 micron: 2 bobine concentriche da 1800 spire e 0,45 mm di spessore complessivo. Per risolvere gli ultimi problemi si dovette ricorrere nuovamente al sofisticato laboratorio fotografico allestito per l’R148. Si brevettò il metodo di creazione dei due poli contrari sul bilanciere. Nel 1969 il lavoro finì: 17,2 mm di diametro, 14 rubini, 21.600 A/h, richiedeva una pila 309.

Nel settembre 1970 si presentò il calibro R050. Per collocare temporalmente questo momento, si ricordi che 9 mesi prima era stato presentato il primo quarzo da parte di Seiko e ad aprile il primo quarzo svizzero, il Beta 21. Per alcuni anni ancora ci sarà spazio per delle alternative al quarzo: le ultime uscite di calibri transistor, d’altronde, sono nel 1975 con l’ESA 9158. A proposito di ESA, già da qualche tempo presente nel capitale di Lip, la casa svizzera si “appropriò” di questo movimento assegnandogli il numero 9100. Visto il tipo di motore, richiedeva una licenza ATO per poter essere commercializzato.

Le varianti dell’R050

Come abbiamo accennato, la presenza di due transistor permetteva di fare a meno del contatto elettrico: delle due spirali summenzionate, una spingeva i magneti permanenti del bilanciere, l’altra rilevava la posizione di questi ultimi regolando il transistor che alimentava la prima spirale: al di là del fatto di avere un bilanciere al posto del diapason, il concetto è tale e quale all’Accutron. Le varianti che ricavate furono l’R51 col datario e l’R53 con datario e secondi centrali.

Per quest’ultimo calibro, un po’ complesso da mettere a punto, nel 1974 si prospettò l’interruzione della produzione: Claude Neuschwander, il direttore tecnico di CEH (Compagnie Européenne d’Horlogerie), durante una burrascosa riunione lo definì «il motore di una 2CV dentro un camion», ma il suo ottimo successo di vendite ne scongiurò la fine prematura. CEH è una delle branche in cui fu suddivisa Lip dopo l’ennesimo fallimento: non va confusa con la omonima sigla del Centre Electrique Horlogier svizzero, padre del Beta 21. Il calibro fu venduto a Waltham, Bulova (che ci equipaggiò il Caravelle 70T), Favor (308) e Gruen (80). Continua…