Storia e storie

Gli elettrici sovietici, risultato di un’economia pianificata

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Parlando dell’orologeria della Germania Est, abbiamo fatto un accenno a quella dell’Urss. Dal momento che l’industria della misura del tempo nelle Repubbliche Socialiste ha avuto sviluppi comunque interessanti, merita un minimo di approfondimento. Dunque la tratteremo dapprima in generale, per poi passare agli elettrici sovietici e quindi agli esemplari al quarzo.

Gli esordi

I russi sono partiti in ritardo praticamente in ogni settore dell’economia e della tecnica, a causa della struttura sociale di tipo feudale portata avanti fino alle soglie del XX secolo. E l’orologeria non fa eccezione. Ai tempi della Rivoluzione d’ottobre non esisteva alcun mercato per gli orologi da tasca o polso. Non c’era neppure alcuna produzione locale, fatta eccezione per i geniali Bronnikov e i loro orologi in legno. La scarsa richiesta interna era soddisfatta importando gli esemplari dalla Svizzera, per la quale comunque la Terra degli zar rappresentava il quarto mercato. Dal 1917 e per un decennio, le cose peggiorano ulteriormente. Poiché l’Unione Sovietica non disponeva di valuta straniera, le importazioni crollarono e si ridussero ai soli cronometri da marina e quanto altro necessario per la guerra.

A partire dal 1927 le cose cambiarono, poiché il Partito ordinò di raggiungere l’autosufficienza anche in questo campo. Più facile a dirsi che a farsi, visto che non esisteva niente. L’industria orologiera sovietica cominciò ad assemblare i contenuti dei magazzini di ricambi svizzeri confiscati. Esauriti rapidamente questi ultimi, i tecnici iniziarono a copiare e a riprodurre i componenti, infischiandosene delle proprietà intellettuali altrui. La faccenda funzionò bene con gli orologi da tavolo, tanto che nel 1928 era già in produzione una copia esatta dello Junghans 10, anche se di qualità terrificante.

Le Fabbriche di Orologi

Gli orologi da tasca e da polso erano invece una sfida troppo grande da poter vincere senza le attrezzature e l’esperienza necessaria. La precisione richiesta era di un altro ordine di grandezza, le tolleranza si misuravano in decimi di millimetro ed era perciò necessario acquisire la tecnologia. I sovietici allora acquistarono negli Stati Uniti due intere fabbriche in bancarotta, la Ansonia in Connecticut e la Duebner-Hampden in Ohio. Riuscirono ad aggiudicarsi tutti i macchinari per 325mila dollari e tutti i componenti e gli orologi incompleti per 125mila dollari. Agli operai americani e canadesi offrirono un contratto di durata annuale per 4.650 dollari (circa 80.000 dollari in valuta odierna), che comprendeva perfino la malattia pagata. Alla fine dell’anno si tentò di farli restare, ma tutti tornarono a casa.

Per addestrare i primi 4mila operai, i sovietici reclutarono anche orologiai tedeschi iscritti al locale Partito Comunista, originari della Foresta Nera, di Ruhla e di Glashütte. Altri provennero dalla Svizzera. Grazie a questo massiccio trasferimento, in un’ex piantagione di tabacco nei pressi di Mosca ebbe origine la Prima Fabbrica di Orologi di Mosca (Первый Московский Часовой Завод, ПМЧЗ, Perviy Moskovskiy Chasovoy Zavod). I lavori cominciarono a febbraio 1930, a giugno l’edificio era ultimato, in settembre si installarono i macchinari, in ottobre si avviò la produzione e il 7 novembre uscirono i primi 50 orologi da tasca.

Occorreranno altri due anni per addestrare adeguatamente il personale, iniziare a progettare in proprio i movimenti (quelli usciti nel frattempo erano basati su disegni della Hampden) e arrivare a qualità e quantità accettabili. Nel novembre 1930 si aprì anche la Seconda Fabbrica, sempre a Mosca. Le due fabbriche esistono a tutt’oggi e sono conosciute con i nomi dei loro marchi più noti: Poljot e Slava. Altri stabilimenti furono poi impiantati altrove, a Leningrado e a Minsk. Quest’ultimo, come vedremo tra poco, avrà un ruolo preminente nel segmento degli orologi elettrici sovietici.

Gli elettrici sovietici. Parola d’ordine: clonare

Negli anni ‘50 anche gli ingegneri sovietici si posero il problema di alimentare gli orologi con le pile, e come trent’anni prima non sapevano da che parte rifarsi. La soluzione fu la stessa: copiare. Nella Seconda Fabbrica di Mosca clonarono il prototipo del movimento Epperlein 100, ma la qualità era scarsa fin dall’origine, tanto che oggi è impossibile trovarne uno funzionante. Passarono poi ai cloni dell’Hamilton 500, che raggiunse lo stadio di produzione nel 1958. Questi esemplari sono riuniti sotto la comune denominazione di Slava 114ChNC, che include anche il calibro risultante dal mix dei due. In Rete si trova un raro video dei primi anni Sessanta in cui si vedono i tecnici della Seconda Fabbrica di Mosca al lavoro su questo movimento. Non solo. I sovietici clonarono persino il Bulova Accutron 214, che prese il nome di Slava 2937. Si racconta che fosse stato riprodotto a partire dall’esemplare donato da Lyndon Johnson a Nikita Chruscev durante una visita ufficiale negli Stati Uniti.

L’unico modello elettromeccanico prodotto su larga scala in Urss, alla fine, è stato il clone dello Junghans 600, con bilanciere, bobina fissa e transistor. Prenderà il nome di Luch 3045 perché realizzato nell’omonima fabbrica di Minsk, Bielorussia. Sebbene gli elettrici sovietici non fossero altro che repliche, quel movimento era ottimo e una volta regolato poteva ambire alla certificazione di cronometro. Non la ottenne solo perché per i sovietici elettrici ed elettromeccanici non esisteva la certificazione Gost (grossomodo l’equivalente dell’Iso occidentale), che fu emanata solo nel 1986. Il Luch 3045 risultò anche affidabile, tanto che oggi si trova con relativa facilità. Tuttavia era datato 1976, quando nel resto del mondo i calibri elettromeccanici avevano ormai imboccato il viale del tramonto e già da qualche anno brillava la stella del quarzo.

Il passaggio al quarzo

Il Luch 3045 fungerà poi da base per il primo quarzo analogico sovietico, il Luch 3055, prodotto tra il 1975 e il 1981. Riprendeva il concetto di bilanciere regolato dal quarzo anziché da transistor, il che lo accomunava ai PUW 5000, ai Golay 7723, ai Timex M62 e pochi altri. Orologi che si riconoscono fin dalla prima occhiata perché, pur essendo dei quarzi, la lancetta avanza in continuo come sui meccanici tradizionali. Il calibro Luch 3055 è presentato nel 1981 – ancora in grande ritardo rispetto al resto del mondo –, ma è comunque prodotto in molti esemplari e continuamente affinato con generazioni successive. La meccanica era realizzata a Minsk, la schedina elettronica proveniva dalla Uglitch. Il consumo era elevato, 18 microampere, e limitava la durata della pur grande batteria (LR 44) a un anno.

Una volta impratichitisi col quarzo, i sovietici produssero movimenti più compatti, come il 3050 e il 3056 che montavano ancora un motore ad avvolgimenti, il cui consumo di corrente era sempre elevato. Infine, con i movimenti 1936 e 2350 arrivò il motore Seiko/Lavet, di dimensioni minori e maggiore autonomia. I quarzi non erano più pietre tagliate a mano: li produceva l’americana Statek in forma di diapason con processi fotolitografici. Usciranno anche movimenti da donna, come il 1356, e un calibro ultrapiatto, il 2356, di solo 2,1 mm di spessore.

In realtà l’avventura dei sovietici nel quarzo non iniziò dagli orologi analogici, ma da quelli con display digitale, materia nella quale erano più ferrati. Basti pensare che la Integral Electronics di Minsk, fondata nel 1961, per alcuni anni ha prodotto metà del fabbisogno mondiale di chip. I primi prototipi con display Lcd sono già del 1973, poi arriveranno anche i display a Led.
Il grosso della produzione avverrà nella sussidiaria Elektronika di Minsk, avviata nel 1979, che si occupava anche dei moduli elettronici. Mentre le plastiche della cassa erano ancora una volta realizzate dalla Umf Ruhla, che aveva sviluppato una grande esperienza in questo settore. Elektronika sarà spazzata via dalla fine dell’Unione Sovietica: la concorrenza dei prezzi cinese non era contrastabile.