Storia e storie

Gli orologi per il mercato ottomano, meraviglie da Mille e una notte

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Per secoli potenza fondamentale nello scacchiere euroasiatico, l’Impero che aveva per capitale Costantinopoli seppe esprimere autentici capolavori di arte e scienza. Guerrieri indomabili, navigatori esperti, mercanti abilissimi, gli Ottomani divennero molto ricchi. Ambiziosi e colti, furono clienti ideali per quegli esemplari che oggi definiamo proprio orologi per il mercato ottomano.

Ma come si riconoscono gli orologi per il mercato ottomano? La prima, fondamentale caratteristica è la presenza, sul quadrante, di una numerazione particolare: espressa non in cifre romane (I, II, III…), né in quelle cosiddette arabe (1, 2, 3…), ma secondo il sistema di notazione islamico. Il numero più facilmente riconoscibile è il 5, che assomiglia a un chicco di grano aperto in mezzo, quasi un nostro “zero”.

L’argomento è vasto: ci si potrebbe scrivere un volume. Farò quindi una breve carrellata e mi limiterò alle diverse tipologie degli orologi da tasca per il mercato ottomano.

Un po’ di storia

Orologi domestici e da persona di grande qualità erano stati da sempre uno dei doni di Stato più apprezzati: ne sono testimonianza i magnifici esemplari, oggi conservati nel Museo del Palazzo del Topkapi di Istanbul. Cose da sovrani: forse, indulgenti a una ricchezza e a uno sfarzo che appartenevano più all’Oriente idealizzato dagli Occidentali che a un vero gusto locale. Erano, comunque, pezzi meravigliosi e divennero simbolo di lusso e di perfezione meccanica.

Non immaginiamoci di aver stupito, nel XVII secolo, dei guerrieri incolti con i nostri orologi da portare addosso: la lavorazione dei metalli, la tecnologia e la scienza ottomane erano di tutto rispetto. Risale infatti al XVI secolo un trattato di orologeria meccanica, scritto in turco ottomano, in cui si descrivono esemplari di grandi e piccole dimensioni, compresi quelli da portare in saccoccia. Proprio per questi, il sapiente orologiaio autore del trattato raccomanda di usare sempre, per le molle, l’acciaio di Venezia! L’uso di orologi da indossare non è descritto nel testo come novità o stranezza. Erano oggetti costosi, per pochi, ma ben noti e molto ben costruiti.

I mercati cambiano

Le guerre che dilaniarono l’Europa tra ‘500 e ‘600 obbligarono i costruttori di orologi a cercare altri mercati: così avvenne. Esistono esemplari seicenteschi, realizzati in Inghilterra con il tipico quadrante “turco” – come si diceva allora –, ben prima che il bilanciere fosse dotato di molla e che la conoide avvolgesse una catena, dato che si usava ancora il budello.

Alcuni produttori occidentali, notando la grande perizia delle maestranze locali, aprirono filiali nell’Impero. Talvolta, facevano costruire i pezzi completamente in loco; altre volte inviavano il movimento, che era poi decorato e dotato di cassa con ornamenti e decorazioni graditi ai compratori del posto. Si tratta di una storia ancora tutta da studiare.

Tra i pezzi che non è difficile reperire sul mercato antiquario, vi sono gli orologi inglesi prodotti tra la fine del ‘700 e il 1840 soprattutto da due atelier: George Prior e Markwick Markham. Sostanzialmente erano classici “solo tempo”, con il quadrante in cifre turche e la cassa in argento, ma dotati di un’ulteriore cassa esterna di protezione, quasi sempre in tartaruga. Talvolta, le casse erano persino quattro! Gli orologi più comuni, pur essendo ottimi pezzi, ben costruiti, generalmente sono sobri e non presentano complicazioni di sorta.

Arriva Breguet

La grande svolta estetica nella produzione di orologi per il mercato ottomano avvenne con l’incontro a Parigi tra Abraham-Louis Breguet ed Esseid Ali Effendi, ambasciatore del Sultano in Francia. Effendi, uomo di cultura raffinata, decise che il Sultano e la cerchia dei suoi fedelissimi dovessero poter esibire orologi di Breguet. Incantato dalla bellezza, dalla qualità e capace di apprezzare la complessità meccanica, Effendi di fatto spalancò a Breguet la porta dell’Impero.

Il vero punto di svolta fu quando, nel 1804, Effendi commissionò a Breguet, per conto del Sultano Selim III, un orologio a ripetizione superlativo, tanto stupefacente che il sultano scrisse di proprio pugno una lettera di complimenti al grande orologiaio. Nella lettera, gli comunicava che il nome di Breguet a Costantinopoli era diventato mitico e che ogni principe avrebbe desiderato un suo orologio. Breguet iniziò a ricevere tali e tanti ordini da dover stabilire, a partire dal 1811, un proprio ufficio a Costantinopoli, che affidò all’allievo Leroy.

Per il Sultano e i suoi protetti Breguet realizzò importantissime “pendole simpatiche” e orologi da tasca impreziositi dai migliori smalti che gli artisti ginevrini potessero offrire. Si tratta di esemplari che attualmente sono in buona parte musealizzati. Quei pochi che appartengono a collezioni private, se ritornano sul mercato antiquario, raggiungono cifre da capogiro.

La fine dell’Impero

La produzione di pezzi destinati alla Sublime Porta proseguì fino agli inizi del XX secolo, soprattutto attraverso atelier svizzeri che continuavano, pur seguendo le evoluzioni del gusto, a incantare i compratori con smalti raffinatissimi. Molto rari tuttavia sono gli orologi per il mercato ottomano che presentano caratteristiche meccaniche significative, per esempio di tipo astronomico.

Quello che per secoli era stato un impero potente cessò di esistere nel 1922. L’opera di modernizzazione su modello occidentale voluta da Kemal Atatürk cambiò completamente le secolari tradizioni locali, imponendo, fra l’altro, l’uso dell’alfabeto e dei numeri occidentali. Ma quegli esemplari rimasero come indelebile testimonianza. Se passate da Istanbul, dedicate una giornata alla visita del Museo del Topkapi. Un luogo di rara bellezza, colmo di tesori: come essere in una fiaba delle Mille e una notte.