Come ho già scritto altrove, si racconta che l’orologio al quarzo sia stato inventato otto volte in tre diversi continenti. Una di queste volte sicuramente è dovuta a Girard-Perregaux: e la cosa curiosa è che alla Casa di La Chaux-de-Fonds sono stati sufficienti 5 anni e 5 persone per arrivare a confezionarlo in forma definitiva. Si chiamerà calibro GP-350 e racchiuderà tutti i componenti tipici di un quarzo come lo intendiamo ai nostri giorni. Ma partiamo dall’inizio.
L’idea di Virchaux
A metà degli anni Sessanta del secolo scorso, l’Amministratore delegato di Girard-Perregaux è Charles-Edouard Virchaux, uno dei generi di Otto Graef, che aveva comprato l’azienda nel 1928 dagli eredi dei fondatori. In quel decennio, lo abbiamo visto in altre occasioni, più o meno tutte le marche elvetiche sono impegnate a fondo nell’orologeria elettrica. Era attivo già da qualche anno il CEH, il consorzio che avrebbe realizzato il calibro Beta 21, il cui lavoro era però avvolto nel segreto più totale – neppure i soci sapevano cosa stavano facendo gli ingegneri.
Virchaux intuisce che i progettisti del CEH stanno lavorando a un calibro al quarzo. Crede però che lo si possa realizzare anche senza andarsi a impegolare nel consorzio, in quel periodo simile a un buco nero capace solo di inghiottire quattrini senza produrre niente di concreto. Virchaux infatti è convinto di poter raggiungere lo stesso risultato con una spesa minima, realizzandolo in casa. E nell’intento coinvolge altre due manifatture che erano rimaste fuori dal consorzio: Jaeger-LeCoultre e Favre-Leuba. Il tempo gli darà ragione.
I primi tentativi di Vuffray
Virchaux si dà da fare. E nel settembre 1966 assume Georges Vuffray, all’epoca un giovane ingegnere elettrico di 26 anni alla ricerca del primo impiego. Gli mette a disposizione una piccola équipe e un discreto laboratorio elettronico, impiantato negli anni precedenti dal “collega” Jean-Pierre Jeanneret. Vuffray, del tutto digiuno di orologeria, ci si mette di buzzo buono, del tutto privo di preconcetti ma armato dell’energia e dell’entusiasmo dell’età. Anni dopo racconterà che non avrebbe mai accettato un simile compito se solo avesse saputo che sarebbe stato così “orrendamente difficile”.
Vuffray segue un programma concordato con l’azienda in tre fasi essenziali. 1) Realizzare un orologio madre al quarzo. 2) Realizzare una pendulette al quarzo. 3) Realizzare un orologio da polso al quarzo. In pratica comincia con la messa a punto di un esemplare sovradimensionato, utilizzando un risonatore di quarzo destinato all’orologeria industriale. Poi, una volta capito come funziona, si applica alla miniaturizzazione. A questo punto, anche a lui si ripropongono gli stessi problemi che affliggevano gli altri sette inventori di orologi elettronici: dimensioni e consumi di motori e chip, delicatezza e forma del taglio delle pietre di quarzo.
Soprattutto la questione dei consumi era quella su cui i progettisti del CEH si stavano arrovellando il cervello, convinti da Max Hetzel, l’inventore del diapason, che nessun motore passo-passo avrebbe mai avuto consumi nell’ordine dei microwatt. Tant’è che nel Beta 21 installano un risonatore concettualmente simile a un diapason. Per poter avere dei motori con consumi altrettanto bassi si dovrà attendere le decisive innovazioni di Seiko.
Vuffray intanto va avanti per la propria strada. Sviluppa e brevetta un motore passo passo con bobina fissa cilindrica e rotore magnetico, di dimensioni contenute: 6 mm di diametro per 5 di altezza. Non ancora misure ideali, ma ci siamo quasi. Con questi componenti, Girard-Perregaux realizza i prototipi Elcron I e II, alimentati da 2 batterie, con una frequenza di 8.192 Hz e uno scarto di soli 0,02 secondi al giorno.
Il viaggio Oltreoceano
E siamo nel 1970. In aprile, alla Fiera di Basilea, il CEH lancia il Beta 21. Pur di non presentarsi proprio a mani vuote, Girard-Perregaux porta una fotografia (manipolata) di un calibro Elcron (non funzionante). Vuffray e il suo team si rendono conto di essere finiti in un cul-de-sac perché non riescono a miniaturizzare a sufficienza i componenti. Fino ad allora avevano avuto fornitori francesi, ma in quegli anni lo Stato transalpino aveva deciso che l’orologeria era un settore strategico. Era intervenuto in modo massiccio con molti mezzi finanziari alle imprese, ma aveva chiesto in cambio di non condividere tecnologia con gli svizzeri.
Come altri prima di lui, anche Vuffray è quindi costretto a volare negli States per l’ormai consueto Grand Tour fra i produttori di componenti elettronici. Visita una ventina di società e alla fine trova Motorola, alla quale non par vero di trovare uno sbocco commerciale in Svizzera. La Marca dell’omonima autoradio sviluppa in men che non si dica il chip in cui riesce a infilare l’oscillatore, il divisore a 15 passi e il controllo del motore.
La tappa succesiva, in Pennsylvania, procura a Vuffray un accordo con Reeves-Hoffman per la fornitura dei cristalli di quarzo. I componenti meccanici invece sono prodotti da Jaeger-LeCoultre almeno fino al 1978. Da quella data in poi sarà la stessa Girard-Perregaux a realizzarli in casa.
Il calibro GP-350
Dopo lo shopping americano, finalmente il lavoro riparte. L’anno seguente la Manifattura ha pronta una seconda generazione di orologi al quarzo, in cui il cui quarzo oscilla per la prima volta a 32.768 Hz. Frequenza che sarà poi assunta universalmente come standard universale. Alla fiera di Basilea del 1972 quindi c’è il lancio ufficiale del calibro GP-350. A pensarci col senno di poi, stupisce il fatto che il progetto, partito da zero con a capo una persona senza esperienza pregressa, presenti tutti i componenti tipici di un orologio al quarzo di oggi.
Ne troviamo la descizione in un comunicato stampa di Girard-Perregaux di parecchi anni fa: «Il calibro GP-350 è dotato di un circuito integrato prodotto da Motorola che riunisce l’equivalente di 300 transistor in un’area di soli 5 mm quadrati. Il consumo è ridotto a 4 micro-ampere e consente una sufficiente autonomia delle batterie. La differenza di marcia è di un solo minuto l’anno. Per testare questo sviluppo all’avanguardia, Girard-Perregaux lo sottopone all’Osservatorio di Neuchâtel. Per la prima volta, degli orologi da polso al quarzo superano con successo i test statici e dinamici (urti, magnetismo, temperature differenti, ndr). Dopo 38 giorni di prove, nel 1971-1972, gli orologi al quarzo Girard-Perregaux sono certificati dall’Osservatorio di Neuchâtel, dimostrando la loro eccezionale precisione e affidabilità».
Gli sviluppi successivi
Le revisioni successive, ossia i calibri GP-351, 352, 353 e 354, saranno solo affinamenti. I tecnici lavoreranno infatti sulla diminuzione sia dei consumi, grazie a versioni migliorate del chip Motorola e del motore, sia delle dimensioni, grazie a pile più piccole. Intanto provvedono anche al montaggio in orizzontale dell’ingombrante tubo del quarzo, che ancora non era di tipo fotolitografico, successivamente sostituito da quarzi Ndk di produzione giapponese.
La capacità della Manifattura di industrializzare il calibro-350 a un prezzo competitivo porta gli orologi al quarzo Girard-Perregaux a conoscere un grande successo commerciale. In particolare negli Stati Uniti, dove la presentazione al congresso del 24 Carat Club nel gennaio del 1972 riunisce l’élite degli orologiai americani a New York che lo approvano senza riserve.
Così, oltre che nei Girard-Perregaux Quartz, il calibro GP-350 è montato all’interno di altri esemplari: i Master Quartz di Jaeger-LeCoultre, i Quartz 32768 Hz di Favre-Leuba così come i Chronomat Quartz di Breitling. Il costo finale è di notevolmente più basso di quello del Beta 21, per via della costruzione senza rubini e della presenza di alcune ruote in teflon, che lo rendono molto robusto sebbene non bellissimo a vedersi. Un GP-352 in acciaio arrivava nei negozi a 480 franchi, contro gli 8.500 di un IWC Beta 21 in oro e i 45.000 di quello in platino.
Alla fine Girard-Perregaux produrrà più di 20.000 esemplari del calibro GP-350, per il proprio catalogo e per altre marche. Oggi non è relativamente facile trovarne esemplari funzionanti. Le origini principali dei guasti riguardano il modulo elettronico, montato su un foglio di Pvc, e la rottura del cristallo di quarzo. Qualche anno più tardi, nel 1975, la Manifattura poi deciderà di dedicare ai progressi nel settore del quarzo una nuova creazione: il Laureato. Ma questa è un’altra storia.