E alla fine Omega alle Olimpiadi rivoluziona il cronometraggio sportivo. Abbiamo visto, nell’articolo precedente (qui) che Omega entra da protagonista nel cronometraggio grazie alla capacità di rispondere alle richieste tecniche delle associazioni di cronometristi. I quali, però, sono ben lontani dal comprendere fino a che punto il loro lavoro deve essere standardizzato. Il capriccio e le furbizie dei regolamenti sembrano dominare le Olimpiadi in un periodo in cui le prestazioni degli atleti sono sempre più simili e il rischio di confondersi si moltiplica. È proprio Omega la prima a capire che per uscire da questa situazione bisogna fare un salto tecnologico, automatizzando il cronometraggio delle Olimpiadi per azzerare o quasi gli errori umani. Errori che devastarono, letteralmente, i Giochi olimpici di Los Angeles del 1932.
Gli inaccettabili limiti umani e l’imparzialità della tecnologia
In ben cinque gare il primo e il secondo classificato avevano fatto registrare lo stesso tempo. Ma il caso clamoroso scoppiò quando Thomas Edward “Eddie” Tolan (Usa, 1908/1967) vinse i 100 metri piani su Ralph Metcalfe (Usa, 1910/1978), benché tutti avessero visto con chiarezza quest’ultimo tagliare per primo il filo di lana. I cronometristi (ce n’erano ben tre, all’arrivo, per ogni concorrente: il tentativo era di fare una media degli errori umani, diminuendone le conseguenze) avevano fermato il tempo di Metcalfe su 10,3 secondi, mentre dei tre di Tolan due si erano fermati a 10,3 e uno a 10,4. Alla fine il Presidente della giuria Gustavus T. Kirby – inventore tra l’altro del “Chronocinema” (una cinepresa che filmava la parte finale delle gare, sperimentalmente usata per rilevare i tempi al centesimo di secondo) – assegnò la vittoria a Tolan.
Kirby motivò così la decisione: «I sette giudici e il sottoscritto hanno visionato il filmato del finale di gara diverse volte. Possiamo affermare che Tolan ha vinto e precisamente per 5 centesimi di secondo. Entrambi i concorrenti hanno raggiunto il nastro del traguardo nello stesso preciso momento, ma le regole puntualizzano che la gara è vinta solo quando il busto dell’atleta ha attraversato completamente la linea del traguardo indicata sul terreno. E Tolan l’ha attraversata prima di Metcalfe». L’anno seguente la regola fu modificata e da allora il vincitore è chi attraversa per primo la linea con qualsiasi parte del corpo. La cinepresa di Kirby fece una brutta fine e si riparlò di qualcosa di simile solo con l’introduzione del fotofinish.
La brutta esperienza di Omega alle Olimpiadi di Los Angeles, in cui la Casa aveva introdotto i primi contasecondi sdoppianti – una importante innovazione tecnologica in grado di rilevare i tempi intermedi -, convinse i dirigenti che l’evoluzione del cronometraggio doveva necessariamente passare per un concetto fondamentale. Diminuire il peso dei cronometristi nel determinare le classifiche. Omega decise di volersi mettere al servizio degli atleti prima ancora che degli organizzatori, cercando di sviluppare sistemi automatizzati in grado di fornire risultati univoci e potenzialmente identici per ogni partecipante. Una vera e propria rivoluzione che ancor oggi è alla base del cronometraggio sportivo. Ma ci volle molto tempo.
La tecnologia uccise le star del cronometraggio
Il primo passo furono le cellule fotoelettriche. La prima fotocellula mobile e indipendente, in grado di resistere ad ampie variazioni di temperatura, fu costruita nel 1945 e utilizzata da Omega alle Olimpiadi di Londra del 1948. Come spiegava Omega: «Questo nuovo dispositivo sostituisce le limitate capacità visive dell’occhio nudo con una fotocellula estremamente sensibile, mentre i riflessi umani sono sostituiti da una corrente elettrica velocissima. Il principio si basa sull’utilizzo di un raggio di luce proiettato lungo la linea del traguardo. Nel momento in cui un corridore interrompe il raggio attraversandolo, i contasecondi si attivano. Poiché tutte le funzioni sono elettroniche, il livello di precisione è tale che i tempi potrebbero essere forniti al millesimo di secondo».
E ancora: «Questo dispositivo supera di gran lunga tutti i precedenti. Grazie alla fotocellula, è possibile fare a meno di tutta l’attrezzatura speciale come il nastro del traguardo e il tubo idropneumatico». Era ufficialmente nato il moderno cronometraggio sportivo.
Alle Olimpiadi di Helsinki, nel 1952, è il momento del quarzo, già da molto tempo usato negli orologi e ritenuto ormai affidabile. Almeno dai tecnici. I cronometristi erano più che perplessi, forse perché iniziavano a vedere la fine del proprio potere assoluto. L’Omega Time Recorder pesava 17 chili, funzionava ad una frequenza di 10 kHz, e non doveva dipendere da inaffidabili sistemi di alimentazione elettrica, sostituiti da una batteria. Era preciso ai 5 centesimi di secondo nell’arco delle 24 ore. Il cronometro era dotato di una stampante ad alta velocità in grado di stampare i tempi al centesimo di secondo, ma nulla di tutto ciò compare sui fotofinish ufficiali pubblicati all’epoca: dovevano essere tenuti segreti.
L’Omega Time Recorder fu estremamente utile. Nella finale dei 100 metri, ad esempio, Lindy Remigino (Usa, 1931/2018) ed Herbert McKenley (Giamaica, 1922/2007) ottennero lo stesso tempo rilevato elettronicamente: 10,79 secondi; ma nell’elenco ufficiale dei risultati ai primi quattro corridori il tempo assegnato fu di 10,4 secondi. L’Omega Time Recorder non era ancora ufficialmente accettato.
E vogliamo parlare del nuoto?
Olimpiadi di Roma, 1960. Si utilizzò il rilevatore semi-automatico Swim-Eight-O-Matic, ma furono ancora i cronometristi, i giudici d’arrivo e gli arbitri a stabilire l’ordine d’arrivo dei concorrenti. La finale dei 100 metri stile libero fece gridare allo scandalo. È il brasiliano Manuel dos Santos il primo a girare dopo i primi 50 metri, ma è superato prima dall’australiano John Devitt e poi dall’americano Lance Larson che alla fine sembrò prevalere. L’americano uscì dalla piscina ed esultò, posando per i fotografi accanto a Devitt, ma in quel momento arrivò il giudice capo H. Runströmer. Guardò negli occhi Devitt e gli disse: «È lei il vincitore». Una decisione che lasciò tutti a bocca aperta. Urla e proteste. Il giudice capo svedese fu irremovibile e, regolamento alla mano, affermò: «Sono io che decido. E basta».
Il retroscena: per ogni concorrente c’erano tre cronometristi. Per Larson avevano registrato 55.0, 55.1 e 55.1 secondi, mentre i tempi di Devitt erano tutti uguali: 55.2. Per i cronometristi era tutto chiaro. A bordo vasca c’erano però anche tre giudici che stabilivano chi fosse il vincitore, e tre che stabilivano chi fosse il secondo. Tra i giudici per il primo posto, due sostenevano che il vincitore fosse Devitt e solo uno era a favore di Larson. Tra i giudici per il secondo posto, due davano secondo Devitt e uno Larson. I sei giudici erano quindi tre contro tre. Fecero appello al capo giudice, che decretò Devitt vincitore stabilendo che i tempi dovessero essere ignorati. Si arrotondò allora il tempo di Larson a 55.2 secondi.
La storia, fra proteste e ricorsi ufficiali, si trascinò per oltre un anno: le immagini al rallenty della Cbs dimostrano che Larson arrivò primo e le apparecchiature elettroniche – non ufficiali – lo confermarono, evidenziando un vantaggio di 0,06 secondi di Larson su Devitt. Ma i giudici non accettarono nessuna di queste prove. Nel 1961 Max Ritter, tesoriere del Comitato olimpico statunitense e membro del Comitato esecutivo della Fina, scrisse ai tecnici del cronometraggio Omega: «Un sistema con piastre di contatto automatiche, interamente automatizzato, sarebbe la soluzione migliore, ma temo ci siano ancora troppi ostacoli tecnici da superare».
Omega alle Olimpiadi di Città del Messico
Olimpiadi di Città del Messico, 1968: il cronometraggio manuale è sostituito da quello elettronico, sempre più automatizzato. Gli atleti non sono più schiavi delle decisioni di sia pur pochi giudici fuori di testa o dell’errore umano. A proposito di questo errore, per compensare l’allungamento dei tempi rilevati (a causa della più rapida reazione delle macchine rispetto ai cronometristi), gli atleti ebbero sistematicamente un abbuono di 0,05 secondi. Questa frazione di secondo corrispondeva al tempo necessario ai cronometristi per spingere il bottone di attivazione del contasecondi dopo aver visto il fumo prodotto dalla pistola dello starter. In realtà studi biometrici successivi dimostrarono che il ritardo medio poteva allungare i tempi di 0,24 secondi: un’eternità, nelle gare veloci. Un vero e proprio inghippo, l’ultimo, per non creare casino con i record registrati con il cronometraggio manuale. E l’ultimo errore.
Le due novità di Omega più apprezzate dagli atleti furono il Photosprint e le piastre automatiche di contatto per le gare di nuoto. Il Photosprint Omega, messo a punto nel 1963, filmava i partecipanti, in tutte le competizioni di atletica, al passaggio della linea d’arrivo. La possibilità di sviluppare e stampare foto in soli 30 secondi, per la verifica dei casi dubbi, si rivelò determinante per la decisione, da parte degli organizzatori, di passare definitivamente al cronometraggio elettronico. I cronometristi tradizionali furono relegati al ruolo di riserve, nel caso di guasti tecnici. Non furono mai più necessari.
Per il nuoto furono ufficialmente utilizzate per la prima volta piastre di contatto alte 90 centimetri, larghe 240 e immerse per due terzi nell’acqua. Le piastre reagivano al minimo tocco degli atleti, ma restavano insensibili all’onda anteriore prodotta dal moto del nuotatore. Il tempo non era più rilevato da una batteria di cronometristi: era lo stesso atleta, toccando la superficie della piastra, a fermare il contasecondi. Va anche notato come pistola dello starter, altoparlanti e segnale di inizio fossero finalmente sincronizzati per mettere ciascun atleta nelle stesse condizioni.
Lo Swim-O-Matic, successore dello Swim-Eight-O-Matic, permetteva di misurare il millesimo di secondo, relegando nel dimenticatoio le dispute tra giudici e cronometristi. Tuttavia, nonostante l’efficacia degli strumenti elettronici di cronometraggio, i record di nuoto e atletica erano ancora prudentemente registrati al decimo di secondo. Stupidità e pregiudizi sono duri a morire, ma come vedremo la tecnologia di Omega alle Olimpiadi finirà per prevalere definitivamente. (Continua)