Approfondimenti

Il cronometraggio. Le Olimpiadi di Omega: storia, curiosità e laser

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Alla fine le Olimpiadi di Tokyo 2020 si faranno nel 2021. Senza pubblico, senza qualche atleta che teme i contagi, ma si faranno. Il segnale lo ha dato alla fine della primavera proprio Omega, storico partner e sponsor dei Giochi olimpici. Come? Spedendo dalla Svizzera circa 400 tonnellate di attrezzature, 85 tabelloni per fornire al pubblico i risultati (più 350 specifici per i diversi sport), 200 chilometri di cavi, 530 tecnici del cronometraggio che gestiranno, fra l’altro, 900 volontari. Più diavolerie tecnologiche come sciabolate di raggi laser invisibili e intelligenze artificiali ben controllate dai tecnici di Omega.

Roba tosta, insomma. Ma ne parliamo un altro giorno. Perché il cronometraggio sportivo è forse la punta di diamante dell’orologeria, un sistema di misurazione straordinariamente complesso al servizio di… No, anche di questo parleremo più avanti, in una delle tre puntate in cui divideremo questo percorso.
Abbiate pazienza. Voglio cominciare con un po’ di storia che sarà utile per comprendere meglio i veri significati del cronometraggio sportivo. E per condire il tutto con gocce di gossip storico da spargere sull’altrettanto storica tradizione dell’arbitro/giudice cattivo e cornuto. Che non nasce mica ieri. Ha radici più profonde…

Il giudice/arbitro è un cornuto

Dissolvenza e apertura su una scena idilliaca, con musica baldanzosa. Il sorriso del trionfo, l’esultanza della vittoria tanto attesa, la telecamera inchiodata sul primo piano di chi ha prevalso su tutti. In sovraimpressione il tempo del vincitore. Dietro tanta gioia e poche, apparentemente scarne cifre, una storia iniziata nel 1821, quando il primo cronografo misurò la durata delle corse dei cavalli allo Champ de Mars di Parigi.

Il cronografo, ossia l’orologio in grado di misurare con la miglior precisione un intervallo di tempo, nasce da esigenze molteplici, assai diverse fra loro: la necessità di misurare la durata di un esperimento scientifico, ad esempio, ma anche quella di valutare i tempi delle prime produzioni industriali; e soprattutto la durata delle gare sportive, che avevano un ruolo sempre più rilevante nell’immaginario collettivo. Il campione sportivo deve essere certificato nella sua lotta contro il tempo, nel suo tentativo di battere sé stesso e gli avversari.

I primi cronografi (il suffisso graphein nasce dal fatto che i tempi venivano effettivamente scritti su un foglio o un quadrante di carta intercambiabile) non erano eccezionalmente precisi né le circostanze lo richiedevano. A determinare il vincitore era il giudice di gara che, coadiuvato da un certo numero di assistenti, si basava semplicemente su quel che vedeva. E proprio l’imprecisione dell’occhio umano sarà all’origine di un decisivo passo avanti per la precisione del cronometraggio. Ma all’inizio il punto era non farsi imbrogliare sulle scommesse alle corse dei cavalli. Un giudice (cattivo e cornuto come un diavolo, più che per l’intervento di una moglie di discutibile onestà) decideva tutto e non era poi così difficile corromperlo per aggiustare a proprio vantaggio una corsa. Ma com’era la faccenda, era affrontata un po’ alla lontana.

Verso la fine dell’Ottocento l’opinione pubblica mondiale si appassionava ad una polemica sempre più vivace: i pittori non sapevano ritrarre la realtà, ingannati dai propri occhi. Ad esempio, non erano in grado di riprodurre come si conviene l’andatura dei cavalli, secondo molti “esperti”. Grandi pittori come il parigino Édouard Manet (1832/1883) produssero una notevole quantità di quadri “alle corse dei cavalli” perché si vendevano molto, molto bene. Ciascun pittore aveva il proprio punto di vista e Manet era particolarmente astuto nel ritrarre una sorta d’istantanea di una corsa in pieno svolgimento. Non va dimenticato che le corse dei cavalli, all’epoca, erano lo sport più apprezzato, e non solo dall’aristocrazia. C’erano tifosi tosti come quelli del calcio oggi e non erano rare le risse proprio sulle discrepanze d’opinioni relativamente alle decisioni dei giudici cattivi, cornuti e venduti.

Ma i cavalli volano o non volano?

Così nel 1872 l’uomo d’affari (nonché governatore della California) Leland Stanford pensa bene di chiedere al fotografo inglese Eadweard Muybridge di confermare la propria ipotesi: un cavallo, durante il galoppo, solleva contemporaneamente le quattro zampe almeno per un istante. Vola. Muybridge accetta l’incarico, sia pur distratto da un episodio tragico: nel 1874 scopre (a proposito di corna) che la moglie ha un amante. E lo uccide. Al processo (in quel periodo Muybridge viveva nella zona di San Francisco) viene assolto per “omicidio giustificato” (l’equivalente del nostro “delitto d’onore: tutto il mondo è paese…) e riprende quindi le ricerche sul movimento dei cavalli.

Nel 1878, Muybridge decide di piazzare 24 macchine fotografiche lungo un’ideale linea parallela al percorso che un cavallo dovrà compiere. Ogni fotocamera è azionata da un filo di lana che viene spezzato dal cavallo nel suo moto. La sequenza di fotografie così ottenute dimostra che effettivamente per un istante il cavallo rimane sospeso sul terreno; ma non quando le zampe sono in completa estensione, come alcuni ritenevano, bensì nel momento in cui le zampe si raccolgono contro il corpo.

La cosa cambiò il destino delle arti figurative, ma anche del cronometraggio. Perché qualcuno ebbe la buona idea di applicare il “metodo Muybridge” (una macchina fotografica sulla linea d’arrivo, azionata dalla rottura del filo da parte del primo classificato) anche sui campi sportivi, sin dai campionati americani d’atletica del 1891. Nasce così il moderno cronometraggio, per certi versi basato ancor oggi sul medesimo principio. L’invenzione più conosciuta, nel cronometraggio olimpico, è o non è il fotofinish, introdotto da Omega alle Olimpiadi di Los Angeles, nel 1932?

Cronometraggio, sì. Ma come e perché?

A questo punto appare evidente che la determinazione del vincitore si deve basare su due elementi distinti: da un lato la durata dell’impresa sportiva; dall’altro l’individuazione precisa di chi ha tagliato il traguardo per primo. Il concetto è semplice, ma metterlo in pratica è ben altra cosa…

Per quanto riguarda la durata fino a (relativamente) poco tempo fa si credeva che tutto dipendesse da un buon cronografo; o, meglio ancora, da quei contasecondi professionali che erano lo strumento indispensabile di ogni professionista del cronometraggio. Lo starter dà il via, o spara un colpo (si dice che l’abitudine del colpo di pistola sia nata per un concorrente un po’ debole d’udito che non aveva sentito il via, complice il tifo degli spettatori). Il cronometrista aziona il contasecondi e lo arresta alla fine della gara. Tutto qui.

Sbagliato. Fra il colpo dello starter e il momento in cui il cronometrista preme il pulsante c’è un intervallo rilevante: almeno un quarto di secondo per un professionista allenato. Ma non tutti i cronometristi hanno lo stesso ritardo e nemmeno il singolo cronometrista è implacabilmente regolare. E poi c’è la percezione, spesso a distanza, di chi vede tagliare il traguardo, ma reagisce con un ulteriore ritardo, che si somma al primo e che non è mai, mai costante. Per ovviare a questo problema si provvede a moltiplicare cronometristi, giudici e cronografi, che Omega trasforma in vere e proprie batterie di strumenti gestiti in maniera “automatica”.

L’ultima parola però spetta al giudice. Ma il giudice, anche se buono e non cornuto, può comunque sbagliare. E quando un atleta si è preparato quattro anni per l’Olimpiade, quando ha sudato, sofferto e si è allenato per quel momento e si vede vanificare tutto per l’errore, sia pure in buona fede, di un giudice o di un cronometrista, sapendo che la prossima occasione non sarà domani, ma fra altri quattro anni… Beh, per usare un eufemismo, si arrabbia, si arrabbia molto.

E a ben vedere anche la foto al passaggio del traguardo (quella del filo di lana collegato alla macchina fotografica) non è che sia infallibile. Poniamo che il primo classificato sia nascosto fra altri due concorrenti più lenti di lui, ma magari apparentemente in anticipo per un errore di prospettiva. Anche lui si arrabbia, si arrabbia molto. Si incazza davvero. E allora? E allora c’è Omega che trova la soluzione. Ne riparliamo presto. (Continua…)