I produttori tradizionali d’orologi non hanno mai amato molto i quadranti colorati. Bianco (con variazioni limitate che a malapena si spingevano al crema pallida), nero (un azzardo relegato ai modelli da sera e – all’estremo opposto – a quelli sportivi) e chiuso il discorso. Con una sola eccezione: i “quadranti d’arte”, quelli in cui i colori erano asserviti a tecniche ed espressioni artistiche. Per intenderci, dagli smalti fino ad arrivare agli intarsi in essenze di legno. Per il resto, anche un colore serissimo come il blu era bollato come “moda” e in quanto tale perversione da eliminare con una treccia d’aglio. Ma non puoi opporti all’evoluzione del gusto e Patek Philippe, come del resto altri marchi tradizionali, lo sa bene. Patek, alla fine, ha ceduto al colore. Il blu, tanto per cominciare. Ma ha ceduto dettando le proprie condizioni. Il blu secondo Patek, appunto. Non una resa, ma un rilancio.
Un poco di storia
Patek Philippe ha avuto un momento di grande difficoltà subito dopo la crisi economica del 1929, la Grande Depressione. A titolo di curiosità, il primo ad offrirsi di comprare il marchio fu Jacques-David LeCoultre, che forniva alcuni movimenti a Patek. Ma la soluzione comportava condizioni considerate inaccettabili. Si fecero quindi avanti Charles e Jean Stern, da parecchio tempo fornitori di quadranti di eccezionale qualità. I due fratelli procedettero ad un graduale acquisto delle quote, dimostrando non solo di saper rispettare la già grande fama del marchio, ma anche di rilanciare. Consapevoli di sapere tutto sui quadranti, ma poco sulla meccanica, assunsero come Direttore tecnico Jean Pfister, proveniente dalla Tavannes, e lo incaricarono di costruire l’indipendenza di Patek Philippe da fornitori esterni. Nacque così, nel 1934, il Ref. 96, il Calatrava. Ancor oggi in catalogo come Ref. 5196.
Le redini di Patek Philippe passarono poi (1958) nelle mani di Henri Stern, figlio di Charles. Nel 1977 gli subentra Philippe Stern che nel 2009 lascia la direzione al figlio Thierry. Nessuno di loro (Io ho avuto la fortuna di conoscere tre generazioni di Stern) ha mai dimenticato la propria origine di fabbricante di quadranti. Attività che, anzi, nel tempo hanno rilanciato. Fino al blu secondo Patek Philippe. Definizione che non si limita ad una tonalità di colore, ma ad un concetto più complesso.
Il blu secondo Patek Philippe
Dicevo che non è questione di tonalità, anche se il blu di Patek Philippe è particolare. Potrei definirlo una versione luminosa del ”blu navy”, ma quando si parla di colori il miglior giudice è sempre il proprio occhio. Bisogna andare a vedere di persona. Quando è uscito il Nautilus con quadrante verde (sì, quello che un’abile e fortunata operazione speculativa ha portato a quotazioni monstre in asta), le foto mi restituivano una tonalità un po’ troppo vivace per la tradizione Patek. E infatti poi, nella conoscenza diretta, il verde si è rivelato di una tonalità realmente unica ed accettabile anche per il tradizionalista più intransigente. Bene: questa tonalità è diretta discendente degli studi fatti da Patek Philippe con il blu.
Ma come dicevo ora non è una questione di tonalità. È piuttosto una dimostrazione di senso artistico. Di fatto i quadranti blu di Patek Philippe hanno sempre una serie di particolarità derivanti da tecniche molto raffinate. Ho scelto per questo tre degli esempi più attuali, tre esempi del blu secondo Patek Philippe, secondo il senso artistico di Patek Philippe.
Il blu artistico di Patek Philippe
Il primo esempio è il Calendario Annuale Ref. 4947 con cassa in acciaio. La tonalità del quadrante è definita da Patek come “blu notte”, ma a voler essere pignoli sarebbe meglio parlare di “blu mezz’ora dopo il tramonto”. Qui ciò che colpisce è la finitura. Ricorda quella di un tessuto prezioso, la seta shantung, ma non è ottenuta con un semplice pattern stampato. Tutt’altro: è una finitura fatta a mano. Benché questo particolare non sia menzionato da Patek, lo deduco dal fatto che ho avuto occasione di vedere due esemplari uno accanto all’altro. E le righe non coincidevano. O sono realizzati uno per uno, questi quadranti, oppure in serie così piccole che due esemplari prodotti nello stesso periodo hanno quadranti diversi.
Secondo esempio. Sempre più difficile. Il Calatrava Ref. 4997 con quadrante inciso e laccato. Cassa da 35 mm in oro bianco con 79 diamanti taglio brillante per un peso complessivo di oltre mezzo carato. Il quadrante viene prima lavorato a guilloché (incisione) per ottenere una raggiera di onde che dal centro si aprono fino a coincidere perfettamente con gli indici. Dopodiché su questo quadrante vengono stesi strati successivi di lacca trasparente blu. Ciascuno strato deve asciugarsi prima di quello successivo, rendendo quindi critica (e inaccettabile) la presenza della benché minima particella di polvere. In una fase successiva si aggiunge polvere di metallo bianco (immagino sia oro, ma poco conta) per formare gli indici, poi fissati da altri strati di lacca trasparente. Una lavorazione lunga e preziosa perché difficile. Anche in questo caso la tonalità del colore è definita “blu notte”.
Terzo esempio. WOWOWOW! È il Ripetizione minuti Ref. 7040/250G per signora con cassa in oro bianco da 36 millimetri di diametro e movimento meccanico a carica automatica. In questo caso si parte da una lastra d’oro incisa a mano tramite un pantografo per ottenere l’effetto di un vortice che nasce dal centro del quadrante. La lastra è poi ricoperta di polvere di smalto e cotta in forno secondo una tecnica detta “flinqué” (ne abbiamo parlato qui). Come, mi dirai, Patek non fa una smaltatura Grand Feu su un orologio così prezioso? No, ti rispondo, perché non è possibile. Con le temperature Grand Feu il quadrante inciso si accartoccerebbe in maniera disastrosa. Gli indici, infine, sono in oro, stampati (decalcati è il termine tecnico). Degno quadrante di un orologio eccezionale anche per l’incredibile capacità di miniaturizzazione.
Il collezionista che non lo capisce è scemo. Vorrei che almeno una parte dei collezionisti scegliesse in base ai movimenti e alle tecniche come quelle necessarie per produrre certi quadranti. Non in base al livello d’invidia che un orologio crea in chi non ce l’ha.
Oltre il blu, l’arte
Spero – certo – che tu abbia gradito questo articolo. Ma spero soprattutto che tu abbia goduto le foto. Ingrandimenti sparati al massimo possibile. Proprio per dimostrare che tecnica ed estetica vanno a braccetto, nei grandi marchi come Patek Philippe. Il blu secondo Patek Philippe non è solo la pur meritoria ricerca di una tonalità “giusta”, ma anche la dimostrazione di saper elevare la tecnica a forma d’arte.
Ricordo, molti anni fa, polemiche infinite perché alcuni clienti avevano preteso ed ottenuto che la Ferrari consegnasse loro vetture verniciate di giallo. Uno scandalo. Oggi nessuno ci fa più caso. Perché quel che conta è che una Ferrari sia una Ferrari. Indipendentemente da qualche chilo di vernice. Patek Philippe, soprattutto al netto dei fenomeni speculativi, continua ad essere Patek Philippe e i dettagli che abbiamo portato in primo piano dimostrano che Patek non si smentisce nemmeno nel suo modo di concepire i quadranti. Il senso del “blu secondo Patek Philippe” è questo, in definitiva.