L’epopea spaziale di Omega ritorna, ancora una volta, sotto i riflettori. L’occasione è l’anniversario di un’impresa del programma Mercury, celebrata con la riedizione di uno storico orologio: lo Speedmaster CK 2998. Una sigla poco nota alla gente comune, ma che fa entusiasmare i collezionisti e i fan della Marca anche solo al sentirla nominare. Perché è la referenza del cosiddetto First Omega in Space: il primo Omega, appunto, ad andare nello spazio.
Presentato lo scorso 3 ottobre in una versione fedele all’originale nell’estetica, il nuovo First Omega in Space ora monta un calibro Master Chronometer. Fa parte quindi di quella generale revisione operata dalla Maison di Biel per riaggiornare la meccanica dei propri modelli più rappresentativi, alla luce delle tecnologie di ultima generazione. Ma la storia di questo esemplare merita di essere raccontata per bene, quindi partiamo dall’inizio.
Lo Speedmaster, si sa, nasce nel 1957. Due anni dopo, nel ’59, Omega realizzò la seconda generazione della famiglia di orologi, con lo stesso movimento della precedente – il mitico calibro 321 (Lemania 2321) – ma con delle modifiche evidenti. Piccoli dettagli che facevano però la differenza: le lancette Alpha al posto di quelle Broad Arrow, la lunetta con la scala tachimetrica in alluminio nero e non più in acciaio, il cinturino in pelle invece del bracciale.
L’orologio di Schirra
Proprio di questo modello si innamorò Walter Schirra – Wally, per gli amici – pilota della US Navy di origine sarda nonché aspirante astronauta del programma Mercury. Uno dei primi 7 scelti dalla Nasa in una rosa di 110, con l’obiettivo di mandare l’Uomo nell’orbita terrestre. La leggenda vuole che Schirra acquistò lo Speedmaster CK 2998 in una gioielleria di Houston, qualche mese prima di partire per lo Spazio, conquistato forse dal design del quadrante ispirato al cruscotto delle auto sportive italiane, probabilmente per farsi un regalo in vista della missione. O almeno così si dice…
Schirra era stato nominato infatti pilota di riserva del lancio Mercury-Atlas 7, nel maggio 1962, anche se poi in realtà non partì con quella navicella volo che fu invece assegnata a Scott Carpenter. Partì invece come pilota titolare della missione successiva, la Mercury-Atlas 8, lanciata da Cape Canaveral il 3 ottobre 1962: a bordo della capsula Sigma 7, orbitò per 6 volte attorno alla Terra e raddoppiò il tempo di permanenza nello spazio rispetto alle missioni precedenti. In un’operazione registrata negli annali della Nasa come “da manuale”.
Per la cronaca, durante la permanenza negli spazi ristretti della Sigma 7, in quelle 9 ore e passa di volo, aveva al polso il suo Speedmaster. Lo aveva indossato a titolo personale, con l’intenzione di utilizzarlo come back-up per l’orologio di bordo. Anche se non fu una scelta ufficiale dell’agenzia spaziale (né l’orologio né gli apparecchi interni al veicolo spaziale furono allora sottoposti a test specifici), il CK 2998 funzionò perfettamente. Divenne così, di fatto, il primo Omega nello spazio. E inaugurò la serie di esemplari utilizzati – poi su protocollo Nasa – per le esplorazioni spaziali.
Il successo del CK 2998 nel tempo
Alla fine, l’esemplare di proprietà di Schirra tornò “a casa”. Omega lo riacquistò a un’asta di Sotheby’s, il 19 febbraio 1994, e presumibilmente lo conserva fra i propri cimeli, nelle raccolte del Museo di Biel. Tanto per capirci sulla preziosità degli orologi appartenuti a Schirra, un altro Speedmaster dell’astronauta fu venduto da RR Auction nel novembre del 2022, per quasi due milioni di dollari: era un pezzo commemorativo in oro, donatogli durante una cena di gala organizzata nel 1969 all’Hotel Warwick di Houston… Ma non divaghiamo.
A Baselworld 2012, per festeggiare il 50° anniversario della Missione Mercury-Atlas 8, la Manifattura presentò un nuovo Speedmaster First Omega in Space. Un’edizione speciale numerata, non limitata, rimasta in produzione fino al 2021. Molto simile all’originale: stesso design simmetrico della cassa con le anse dritte, stesso quadrante a tre contatori con il logo in rilievo, stesso cinturino in pelle marrone effetto vintage. Poche le differenze, alcune microscopiche e visibili solo dall’occhio esperto di un “impallinato”, altre irreversibilmente sostanziali.
Tra le prime, le lancette dei tre contatori: ad Alpha quella dei secondi continui, a bastoncino quelle dei totalizzatori cronografici; poi l’assenza del Dot over Ninety sulla scala tachimetrica (il puntino in corrispondenza del 90, un’ossessione per certi amatori). Tra le seconde modifiche, il quadrante piatto (non a gradini), il vetro zaffiro a box (esalite, addio) e ovviamente il calibro 1861, all’epoca l’ultima evoluzione del leggendario 321. Sempre a carica manuale, aveva 2 giorni di autonomia e lo smistamento delle funzioni crono a navette.
Il nuovo First Omega in Space 2024
E arriviamo finalmente ai nostri giorni. Il First Omega in Space attuale riprende anch’esso il design originario ma si distingue dai precedenti in alcuni dettagli e componenti. La cassa in acciaio misura 39,7 mm di diametro e presenta le consuete anse dritte (sebbene leggermente diverse dall’esemplare di 12 anni fa). Filologicamente corretta la lunetta: sempre in alluminio anodizzato nero, ma con l’amato Dot over Ninety redivivo. Il vetro zaffiro ha una nuova forma bombata, che ricorda molto di più quello in esalite degli esordi.
Il quadrante torna a essere a gradini, ma cambia leggermente colore: diventa ora grigio-blu scuro, grazie a un trattamento Cvd (Chemical Vapor Deposition, deposizione chimica da vapore), con una finitura spazzolata soleil. Ci sono le consuete lancette centrali Alpha di ore e minuti, a bastone per i secondi cronografici; di nuovo Alpha quella nel contatore dei secondi continui, a bastoncino per le ore e i minuti crono. Indici anch’essi a bastone marroni, effetto vintage. Il logo applicato a ore 12 è accompagnato dal font storico per le scritte Omega e Speedmaster.
Come accennavo all’inizio, la differenza fondamentale sta ovviamente nel movimento. Il nuovo First Omega in Space è equipaggiato dal modernissimo calibro 3861, l’ultimo erede del 321, presente anche in altri Speedmaster attuali. Sempre a carica manuale, è dotato però di scappamento Co-Axial, 50 ore di autonomia e spirale in silicio; antimagnetico fino a 15mila gauss, vanta la certificazione del Metas. Trovate ulteriori informazioni nella gallery qui in alto.
Prezzi e disponibilità
Il First Omega in Space di oggi è declinato in tre versioni: con il cinturino in pelle di vitello marrone, simile al pezzo d’epoca, oppure nero (entrambe con impunture beige a contrasto); in alternativa con il bracciale in acciaio a tre file, dai link centrali piatti, con un sistema di micro-regolazione per meglio adattarlo al polso. Cambiano, di conseguenza, i prezzi: 8.400 euro (con cinturino) e 8.800 (con bracciale). Lo si trova comunque già in vendita nelle boutique monomarca (non online). Che certo in assoluto non sono pochi, ma vanno valutati per la storia e per la qualità complessiva. Se mi dovessi mettere nei panni di un collezionista, sinceramente un pensierino ce lo farei…