Storia e riflessioni sui materiali anti-magnetici. E qualche informazione sull’inedita spirale in carbonio composito di TAG Heuer: montata nel nuovo Carrera Calibre Heuer 02T Tourbillon Nanograph, prefigura scenari futuri estremamente interessanti
La guerra ai campi magnetici. Ci risiamo, dirai. Ma perché prima non si facevano tante storie per i campi magnetici? In realtà non è vero: già nella prima metà dell’Ottocento, Vacheron Constantin cercava senza gran successo di usare materiali poco sensibili ai campi magnetici derivanti dalle novità tecnologiche sempre più “elettriche”. Provò ad usare il palladio per bilanciere, spirale e àncora, ma il palladio non era sufficientemente stabile da un punto di vista termico.
Nel 1896 il fisico svizzero Charles Édouard Guillaume mise a punto una lega a base di nichel, l’Invar (ferro, nichel, carbonio e cromo), che gli valse il premio Nobel per la fisica, dal momento che nel frattempo la resistenza al magnetismo era diventata un problema esteso ad altri campi oltre l’orologeria. Va comunque detto che Guillaume – che poi perfezionò un’altra lega, l’Elinvar (meno antimagnetica, ma più stabile a fronte di shock termici) -, era nato a Fleurier, la cittadina svizzera dove oggi hanno sede Parmigiani, Chopard e Bovet…
Nel tempo seguirono poi altri materiali come il Glucydur (berillio e bronzo), ancor oggi usato per i bilancieri, e il Nivarox (lega di ferro, nichel, cromo, titanio e berillio) per le spirali. Il problema, in pratica, è vecchio quanto Matusalemme, il Grande Vecchio della Bibbia (ebbe la fortuna di morire serenamente una settimana prima del Diluvio, alla tenera età di 969 anni). Ma oggi è paradossalmente più sentito, perché – a fronte del progresso tecnico degli orologi meccanici – la resistenza ai campi magnetici era rimasta un po’ in secondo piano.
In pratica, l’uso di materiali standard come il Nivarox e il Glucydur è già sufficiente a soddisfare le regole ISO 764, relative alla normale resistenza ai campi magnetici degli orologi. Mentre per andare oltre (un annesso dell’ISO 764), l’orologio non deve far registrare scarti superiori ai ±30 secondi/giorno, anche se esposto a campi magnetici superiori ai 4.800 Ampere/metro. Un altro buon sistema per proteggere il movimento è quello di chiuderlo in un contenitore di latta: la sua grande permeabilità ai campi magnetici li lascia “scorrere” nella latta, evitando che il campo raggiunga il movimento.
Anche in questo caso, però, si tratta di campi magnetici relativamente bassi, mentre oggi basta un magnete di quelli usati per fissare al frigorifero la lista della spesa per arrestare un orologio meccanico. Dopo un picco l’orologio di solito riprende a funzionare, ma con ritardi abissali che per giunta, nel tempo, si sommano, aumentando la percentuale d’errore. E qui mi fermo, anche per evitare di addentrarmi in concetti di fisica dei quali non ho sufficiente competenza.
La situazione attuale degli orologi antimagnetici si può riassumere così: in testa a tutti c’è Omega con la sua resistenza a 1,5 Tesla, grazie all’uso di componenti in silicio e di una lega, il Nivagauss, con cui vengono persino realizzate le viti. Il Nivagauss (come il Nivarox, del resto) è un brevetto della