La figura del grande orologiaio, astronomo, matematico, ingegnere del Rinascimento raccontata nelle pagine di un libro. Con fedeltà storica, come ci spiega l’autore, Gianfranco D’Anna
Jost Bürgi è stato un geniale orologiaio, anche se oggi è quasi sconosciuto al grande pubblico. Io stessa, lo ammetto, lo avevo sottovalutato. Sì, ricordavo che Giuseppe Brusa lo cita più volte in quello che considero un testo sacro del mio lavoro – “L’arte dell’orologeria in Europa”, un volume dotto e difficile ma fondamentale per chiunque si interessi all’argomento. Gli dedica perfino una pagina intera, ne descrive le invenzioni, ma la cosa non mi aveva particolarmente colpito. Ora invece Jost Bürgi mi sembra un vecchio amico, di cui conosco la vita (almeno in parte), le opere, l’ambiente. Merito del libro che ho letto in queste vacanze di Natale: “Il meccanico delle stelle” di Gianfranco D’Anna, un romanzo storico uscito qualche mese fa (Edizioni Dedalo, Bari).
Nato in Svizzera – a Lichtensteig, nel cantone di San Gallo -, Jost Bürgi (1552/1632) era di umili origini, ma aveva una predisposizione naturale per il calcolo e per la meccanica. Non era un uomo di lettere e non conosceva il latino, ma divenne un matematico, un astronomo, un ingegnere, oltre che un orologiaio, riconosciuto a livello internazionale. E contribuì con efficacia al progresso delle diverse discipline che lo interessavano. Dalle tavole per il calcolo logaritmico alla produzione di numerosi strumenti scientifici, fino al catalogo sulla posizione dei corpi celesti, i suoi studi sono davvero impressionanti.
In orologeria, per esempio, realizzò esemplari sperimentali destinati appunto all’osservazione astronomica – e che quindi dovevano essere il più possibile precisi. Per questo mise a punto uno scappamento che ancora oggi porta il suo nome, “a vibrazioni incrociate” lo definisce il Brusa; (anche noto come cross-beat dagli inglesi, o libramentum duplice secondo la definizione latina). In pratica si trattava di un bilanciere composto da due barrette imperniate al centro e dotate di masse terminali, che oscillavano in senso opposto e ingaggiavano una ruota di scappamento (pare) a 360 denti.
Per questo sviluppò meccanismi a forza costante (remontoirs d’égalité), basati in un primo tempo su un peso motore “automatico”, poi su un vero e proprio dispositivo a molla. E raggiunse ottimi risultati cronometrici. I suoi esemplari non solo furono i primi a indicare il secondo, necessario proprio per compiere misurazioni astronomiche accurate; ma ebbero anche una straordinaria costanza di marcia, almeno per quei tempi. All’epoca gli errori si aggiravano attorno al quarto d’ora al giorno, Bürgi riuscì invece a limitarli a frazioni di un minuto.
Potremmo dire che la sua figura incarna l’ideale dello “scienziato” del Rinascimento, epoca in cui la scienza agli esordi cercava di affrancarsi dalla visione teologica del mondo e dalla mentalità ancora intrisa di superstizione. Si stava allora affermando la teoria copernicana, ma il Concilio di Trento era finito da poco e il potere dell’Inquisizione era al culmine. Bastava contraddire il biblico “Fermati o sole” per rischiare l’accusa di eresia, finire sul rogo o essere torturati fino alla morte. Perfino nei Paesi riformati.
“Il meccanico delle stelle” infatti si svolge a Kassel, dove Jost Bürgi era orologiaio di corte all’osservatorio del langravio (qualcosa di simile a “conte”) Guglielmo IV il Saggio. La narrazione ci fa scoprire la sua multiforme attività, che lo vede impegnato fra le misurazioni delle stelle e la compilazione della tavola di progressione; fra la creazione di globi astronomici o planetari e l’ideazione della lancetta dei secondi. Spiega perfino la differenza tra sistema tolemaico e sistema copernicano, sempre con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, ma allo stesso tempo con un ritmo serrato e uno stile coinvolgente. Le pagine scorrono veloci e il libro si legge tutto d’un fiato.
Ma ciò che stupisce ne “Il meccanico delle stelle” non è tanto la storia di Jost Bürgi, quanto l’ineccepibile ricostruzione del periodo storico. Ottenuta da un lato attraverso il confronto del protagonista con personaggi realmente esistiti (solo un paio sono inventati, perché funzionali alla trama); come gli astronomi Tycho Brahe e Christoph Rothmann, il matematico Paul Wittich, o il figlio adottivo (nonché cognato) dello stesso Bürgi, Benjamin Bramer, anche lui scienziato eclettico. E dall’altro tramite l’ambientazione a dir poco verosimile, in cui la vita quotidiana è descritta alla perfezione con estremo realismo e puntuali dettagli. Quindi ho chiesto all’autore come ci è riuscito: come ha fatto, come si è documentato, quanto tempo ha investito in ricerca.
«Ho cominciato a lavorare sul soggetto nel 2014», mi ha raccontato Gianfranco D’Anna. «È stato un lavoro lungo, effettivamente, fatto di scrittura ma soprattutto di lettura. Io sono un fisico di formazione, non uno specialista di orologi antichi. Piuttosto sono uno specialista delle “idee fisiche” ed è come tale che ho abbordato il “problema Bürgi”. Perché per me è stato fin dall’inizio importante capire come un autodidatta possa aver creato e pensato cose talmente all’avanguardia per la sua epoca».
Quindi, come si è preparato? «Su Bürgi mi sono stati molto utili libri specialistici, articoli su “La voce di Hora” (pubblicato dall’Associazione italiana cultori di orologeria antica, ndr) e su “Chronométrophilia” dell’Association suisse pour l’histoire de la mesure du temps». Ma non basta. «Per “l’epoca”, le dirò per esempio che ho passato un mese a Venezia (presso palazzo Trevisan come visiting autore), cercando soprattutto ricettari di cucina del Seicento, in modo da avere un’idea di cosa si mangiasse (la ricetta del panpepato, la cena di Tycho)».
E continua: «Posseggo ormai una raccolta (digitale) di disegni di vestiti dell’epoca, documentazione necessaria per descrivere il marchese o l’abito da sposa. Ho cercato informazioni sull’araldica di Guglielmo IV; ho discusso con un musicologo (Victor Ravizza) per scovare la musica del matrimonio; e via dicendo… Inoltre ho visitato musei e atelier di orologi in Svizzera (quello di La Chaux-de-Fonds è incredibile…); ho letto testi storici su Guglielmo IV e Kassel e sui principali protagonisti del romanzo. Senza contare le visite ai musei con i pezzi di Bürgi». Sì, perché gli esemplari del “nostro” – autentici o solo attribuiti – sono disseminati nelle raccolte museali di mezza Europa.
«Ho raccolto una documentazione enorme», conclude, «il materiale mi occupa mezzo hard disk. E come se avessi visitato biblioteche in diversi paesi e consultato fondi ovunque. Probabilmente un lavoro così non avrei potuto farlo prima di internet». Benedetto internet e l’entusiasmo del dottor D’Anna, allora. Ma al di là del chiaro (e riuscitissimo) intento divulgativo, quello che resta dopo la lettura de “Il meccanico delle stelle” è la curiosità, la voglia di saperne di più su Jost Bürgi e sui suoi lavori. Fra i tanti pregi del libro, un altro plus. E non è poco.