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Breitling, stop & go all’insegna dell’ottimismo

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Quattro chiacchiere con Patrizia Aste, Ceo di Breitling Italia. Che racconta del nuovo corso del marchio (“stiamo surfando”, dice), del rilancio del Chronomat, del rapporto con i negozianti. E dei segnali positivi del mercato

Con Patrizia Aste, Ceo di Breitling Italia, avevamo già parlato nello scorso febbraio. Torniamo a lei perché nel frattempo tutto è cambiato. E Breitling, dall’alto dei suoi circa 200.000 orologi l’anno, è un attore importante in un mercato di nicchia come l’orologeria. Patrizia Aste e l’Italia sono importanti, per Breitling, perché proprio dall’Italia era partita, negli anni Ottanta e Novanta, una vera e propria Breitling-mania che ancor oggi costituisce un modello di riferimento sia per quanto riguarda la produzione, sia per la commercializzazione.

Come poche altre marche, Breitling era in una fase entusiasmante di totale riorganizzazione. Poi arriva il Covid ed è come bloccare la crescita di un bambino. «Sì, verissimo…».

Mettendo tutti nei guai, nessuno uno escluso… «Forse per noi è stata una cosa più pesante, perché eravamo veramente in rampa di lancio, in piena rinascita, diciamo. Dopo l’acquisizione da parte di CDC e questa nuova leadership di Kern, è stato un po’ ritrovare le nostre radici e rilanciare tutto il progetto. Forse iniziavamo veramente a godere delle soddisfazioni di due anni di grande grande lavoro in tutto il mondo e questa battuta d’arresto è stata un po’ uno choc, perché è arrivata proprio nel momento di maggiore espansione, quando iniziavamo a raccogliere i frutti di tutto questo lavoro.

Sia ben chiaro: il Covid ha fatto ben altri danni alle persone, alle famiglie, alle “certezze” di una vita. Ma credo che tu, qui, voglia essenzialmente parlare degli aspetti economici. Sotto questo punto di vista, superato il primo brutale impatto delle cifre (quelle fornite dalla Federazione Svizzera dell’orologeria parlano chiaramente di una situazione pesantissima) noi di Breitling cominciamo a vedere notevoli opportunità, pur nella situazione che permane negativa. E però in qualche modo il mercato si è mosso. Ad esempio nell’ambito di nuove realtà, come il peso di internet e tutto quel che riguarda l’online. Noi in quel campo già stavamo navigando da diverso tempo quindi abbiamo, tra virgolette, un vantaggio su molti nostri competitor.

Già iniziamo a vederne gli effetti: quindi abbiamo ottime prospettive e obiettivi, in questo senso. È importante perché oggi bisogna essere veloci, prendere di petto il mercato, capirlo, navigare, surfare. Che poi è uno dei nostri sport, acquisito con la sponsorizzazione di Kelly Slater. Uno sport che abbiamo iniziato a conoscere, col quale facciamo pubblicità anche di nuovi orologi, ma di cui abbiamo anche imparato a comprendere la filosofia. Cavalcare l’onda, surfare è forse il concetto che meglio ci rappresenta in questo momento così complicato. Ma così ricco anche di opportunità e di spunti nuovi, di cambiamenti che amiamo proprio perché era la nostra strategia già prima del Covid. Dobbiamo ricominciare? Certo! Con la consapevolezza di voler cogliere la modernità di tutto quel che sta accadendo».

Dal mio punto di vista uno dei cambiamenti più importanti – sui quali eravate molto impegnati – riguarda la commercializzazione. Stringere i tempi tra la presentazione di un orologio e il suo arrivo nei negozi. Voi, appunto, avevate già affrontato questo passaggio che adesso è praticamente obbligato per tutti. Ma riorganizzarsi in questo senso non è facile né rapido: sono in affanno. «Assolutamente sì, verissimo. Noi avevamo persino lasciato Basilea (non senza una certa commozione per la lunghissima storia insieme) proprio perché l’idea di una fiera annuale in cui presentare tutte le novità dell’anno, novità che poi magari venivano introdotte dopo mesi, non rispondeva più alle nostre nuove strategie e alle nostre esigenze commerciali.

Ci sembrava più interessante creare un circuito di road show nostri, presentazioni articolate nell’arco dell’anno. Alcune di queste erano dirette contemporaneamente a tutti – giornalisti, negozianti e pubblico finale – in modo da avere la presentazione, la richiesta e l’introduzione sul mercato coordinati in rapida successione. È una strategia che ha dato ottimi risultati e presto tornerà a darli. Sia pure, magari, integrata con eventi online».

Sì, perché altrimenti noi giornalisti magari presentiamo orologi che il compratore vuol andare a vedere in negozio; ma se non le trova entrambi si arrabbiano e questo è un problema serio. Con le presentazioni di Basilea accadeva spessissimo perché erano pochi gli orologi immediatamente disponibili. Ma Basilea era il posto dove trovavi tutta l’orologeria, specialmente svizzera: un territorio comune a tutte le marche. Speriamo di ritrovare questo territorio comune l’anno prossimo con la doppia presenza a Ginevra di Watches and Wonders e della nuova fiera cui partecipano anche Rolex e Patek e Patek Philippe. «Sicuramente un momento d’incontro per l’orologeria è importante, soprattutto se realizzato in Svizzera. Trovare accomunate tutte le Case insieme è un bel momento anche di condivisione dei punti in comune a tutta l’orologeria».

Anche i produttori di medie e piccole dimensioni sono essenziali per una visione completa del settore, che oltretutto è una nicchia del totale… «Sì, sono d’accordo. Il problema è che Basilea non è poi stata in grado di offrire la possibilità d’essere contemporanei, compreso poter lavorare sul pubblico finale. Ci si è bloccati su un cliché ormai datato».

E con costi elevatissimi, tali da togliere risorse ai cambiamenti in senso moderno. «Costosissimo, esatto. E non remunerativo, non efficiente, non in grado di promuovere la cultura dell’orologeria, in definitiva. La cultura dell’orologeria, con la sua trasparenza, sembrava secondaria rispetto alla necessità di vendere».

Mi piace molto che continui a utilizzare anche tu la parola orologeria prima della parola orologio. È l’orologeria che fa gli orologi, non il contrario. «È proprio questo il punto. Sviluppare nei giovani il senso della cultura orologiera, interessarli, attirarli. Breitling lo sta facendo appoggiandosi sui canali che i giovani preferiscono, come i social media. La cultura del nostro settore, in fin dei conti, è sempre quella, ma va divulgata in maniera nuova, innovativa, diversa».

Anche prendere il “vecchio” Chronomat e trasformarlo nel nuovo Chronomat è una forma di cultura interpretata con attualità. «Che meraviglia, sì… Non so se quest’anno sia quello giusto: non è certo un momento “effervescente”. Però credo sia comunque importante saper tornare anche solo con la mente agli anni ’80, quando il Chronomat era la nostra bandiera. È stato “il” cronografo per eccellenza, e la rivisitazione che è stata fatta mi sembra super fedele al primo modello, ma con un chiaro tocco di modernità, di dinamismo attuale…».

È tutto riconoscibile, ma al tempo stesso più morbido… I “cavalieri” ai quattro punti cardinali non sono spigolosi come quelli d’una volta, vere e proprie armi offensive! «Certo, per il rispetto di tutte le camicie del mondo! Mi è piaciuta molto la reazione del pubblico italiano, che ritrova nel cassetto il Chronomat storico e si apre ad emozioni vivaci, che magari ultimamente un po’ erano mancate al nostro settore. Anche per via delle emozioni che il pubblico ci comunica, abbiamo grandi aspettative su questa collezione».

Trovo abbia un valore culturale il “gioco” dei colori… So che sembra quasi stupido dirlo così, perché sembra impossibile, ma sono dei colori complessi, sono un codice di comunicazione. Come il modello con il quadrante color… «Salmone?».

Voi lo chiamate “salmone”? Io piuttosto lo definirei, non so, “champagne rosé”… «Sì, immaginavo ti riferissi a quello, lo trovo anch’io spettacolare! E moderno, modernissimo».

Torniamo al commercio. Per voi il rapporto con i negozianti è sempre stato fondamentale. Anche se avete aperto parecchie boutique monomarca, il lavoro con i concessionari – che poi costituiscono il rapporto diretto con il compratore finale – resta prioritario, almeno in Italia. Questa contingenza negativa, che fra l’altro ha costretto la Svizzera a sospendere temporaneamente la produzione, credo potrebbe rivelarsi utile per consolidare i buoni rapporti con i concessionari. Non avrete più bisogno di imbottire i negozi di modelli sempre nuovi.

I negozianti potrebbero avere due grossi vantaggi da questa situazione se: 1°, diminuiscono le “anteprime” che accorciano la vita dei modelli in negozio; 2°, il concessionario potrebbe avere una maggiore facoltà di scelta in relazione al proprio pubblico di clienti. Devo ammettere che già prima della pandemia non ho quasi sentito alcun concessionario lamentarsi di Breitling perché gli presentate un modulo precompilato con quanti e quali orologi devono comprare da voi. «No, assolutamente! In realtà semmai è accaduto il contrario. È una cosa che mi fa piacere raccontare.

Abbiamo un modulo, devo essere sincera, ma non è precompilato. È il solito modulo da compilare perché non potendoci incontrare fisicamente in uno dei nostri road show siamo tornati al vecchio metodo del “metti la crocetta”, sia pure telematica. Nel modulo mancavano alcuni modelli riservati esclusivamente alle nostre boutique, che il dettagliante non poteva quindi ordinare. Ma qualcuno ha stampato il modulo, ci ha disegnato a mano uno di questi modelli e ha spuntato la crocetta corrispondente. È accaduto con il Breitling Superocean Heritage ’57 Rainbow, quello con gli indici colorati. Anche in questo caso la riedizione di un nostro orologio importante, legato al surf. E quindi ancora una volta il surf protagonista…».

Sì, dell’Heritage ’57 vorrei occuparmi presto perché la cassa è molto più complicata da realizzare di quanto si potrebbe supporre dalle foto… È un orologio molto complesso, molto ben fatto. «Non è che noi avessimo sottovalutato questo modello: tutt’altro. Sapevamo che aveva un grandissimo potenziale. Ma non ci aspettavamo una risposta simile per questa edizione limitata pensata per le boutique, una versione un po’ stravagante per via degli indici in colori arcobaleno. Certo, lo avevamo presentato insieme alle altre collezioni, ma un po’ in sordina, pensando fosse un po’ un azzardo. Poi abbiamo scoperto che sono stati proprio gli appassionati a chiederlo, visto che la presentazione era diretta anche a loro. Il pubblico lo ha chiesto ai concessionari con tanta vivacità che un dettagliante si è spinto a modificare il modulo, come ti dicevo. A quel punto abbiamo cercato di capire come la pensassero anche gli altri concessionari ed è finita che abbiamo cominciato a far pressione sulla sede, in Svizzera.

E così è nata una splendida serie di mille esemplari, in serie limitata, che abbiamo legato a un progetto benefico: parte del ricavato andrà a cinque fondazioni internazionali che si sono distinte nella lotta contro il Covid. La quota per l’Italia andrà all’Humanitas. In sostanza, questa serie nasce proprio dal mercato, da una richiesta dal pubblico. Ed è stato bello perché per una volta è stato proprio il mercato a decidere. Non siamo stati noi ad insistere sul pubblico o sui negozianti. La trovo una cosa positiva e in qualche modo importante. Un bel segnale».

Posso considerarla come una dichiarazione di ottimismo? «Sì, certo! Per noi è stata una grande lezione di ottimismo anche perché tutto ciò accadeva il 16 aprile. E il 16 aprile noi eravamo chiusi, tappati in casa, come del resto i negozianti. Abbiamo ricevuto una grande lezione dal mercato e dai compratori».