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Marco Mantovani: Locman, dall’Elba si può

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Ho conosciuto Marco Mantovani negli anni in cui lavorava a Milano. Aveva lasciato l’Isola d’Elba perché Milano era la città giusta per inseguire il successo. Poi Marco attraversa vicissitudini personali e decide di tornare all’Elba, dove fonda Locman. Capirete bene che l’idea sembra un po’ fuori di zucca. Non solo produrre orologi italiani dichiarandone l’origine (fu allora che cominciò a mettere sia il tricolore che il “made in Italy” sul quadrante – cosa che nessuno aveva mai fatto), ma “giocare” con i colori e con i materiali in maniera totalmente fuori dalle abitudini. Locman è Marina di Campo, Isola d’Elba, Locman è la fabbrica in fondo al porto e la piazzetta accanto, con gli uffici e la boutique Locman.

Eppure Locman si sparge nel mondo. Gli Stati Uniti (dove riscuote enorme successo l’orologio in oro con la lunetta in radica dell’Isola) e poi man mano altri mercati; raggiunti partendo per Milano con il mono motore giallo, un piccolo aereo che rivelava agli elbani se Marco era sull’isola o no. Nel 1997 arriva un socio, Giuseppe Pea, seguito più di recente (nel 2014/15) da un altro, Andrea Morante, a dare ulteriore sviluppo e solidità alla Locman. Che oggi vuol dire una decina di boutique esclusive e circa un migliaio di concessionari nel mondo.

Da quel 1986, quando Locman è stata fondata, sono passati 34 anni e le tradizionali sette camicie che però sono sudore buono se torni sempre alla tua isola, a tua moglie, ai tuoi figli e persino ai tuoi cani. Ho una vecchia foto con Marco, all’Elba, circa 25 anni fa, ma ovviamente non ve la faccio vedere come non vi farò vedere la foto – ingenerosa – scattata nello stesso posto due anni fa. Marco è la prova che si può fare buona orologeria anche lontano, molto lontano dall’impero svizzero delle lancette.

Brutta storia, il Covid, per una marca italiana indipendente…

Marco Mantovani: Brutta storia sì. Per la malattia e per le sue conseguenze economiche. Noi abbiamo anticipato ai nostri dipendenti i soldi della cassa integrazione perché il nostro gruppo è formato da persone preziose, che non vogliamo perdere né mettere in condizioni economicamente disastrose.

Non tutti si sono comportati così.

Marco Mantovani: Lo so, ma ovviamente dipende dall’impostazione che hai dato all’azienda e dalle dimensioni dell’azienda stessa. Tu sai benissimo, come me, che l’orologeria di un certo tipo è una nicchia, nel mondo. Se non si espande non è per stupidità da parte dei dirigenti, ma per una lunga serie di ragioni totalmente diverse e condivisibili. Alcuni gruppi finanziari pensavano però che l’orologeria si potesse espandere molto di più. Molto di più.

In parte la cosa aveva un senso, ad esempio facendo forti investimenti per industrializzare alcune fasi di lavorazione e quindi aumentare la produzione. Ma se poi tutto ciò cozzava con la possibilità di superare il collo di bottiglia di alcune fasi che erano e restano manuali, allora la cosa era diversa. E poi c’erano problemi oggettivi di mercato. Un segmento del lusso, relativamente piccolo come l’orologeria, non può dipendere troppo da un solo Paese, sia pure importante come la Cina. Tutte queste cose, messe a fronte della crisi del Covid, hanno totalmente cambiato le carte in tavola.

Riscoprendo il futuro che nasce dal passato. Oggi anche molti gruppi appaiono scettici sul “lusso di massa” e parlano di ritorno al prodotto, per fare fatturati più stabili.

Marco Mantovani: Secondo me questa deve essere la prima “legge” dell’orologeria, indipendentemente dal prezzo finale. E sono d’accordissimo con chi (meglio tardi che mai) ha riscoperto che – con grande rispetto per gli utili, per i fatturati –, il vero protagonista dell’orologeria deve continuare ad essere il prodotto e la sua qualità. Il rispetto per il compratore, in definitiva.

Ma capisco che una società quotata, soprattutto, è fortemente condizionata dai conti e dal mercato. E magari fa fatica a guardare al medio termine perché conta molto la quotazione di domani, non dopodomani. Invece molto di quello che è accaduto nel nostro settore, dove le professionalità di un certo tipo sembravano passate in secondo piano, ha causato problemi forti proprio nel medio e nel lungo periodo. So che molti marchi stanno di nuovo cercando i “vecchi” professionisti, quelli nati a pane e orologi.

È vero. È una marcia indietro che trovo positiva e che coinvolge anche dirigenti “insospettabili” delle multinazionali. Per non parlare poi della riscoperta del negoziante e dell’ultimo metro costituito dal suo bancone di vendita.

Marco Mantovani: Sì, è vero. Credo che ritrovare e rivalorizzare la professionalità del negoziante sia fondamentale. Molte aziende hanno pensato di accorciare la via e vendere addirittura solo online, ma non credo possa funzionare perché il valore umano del contatto diretto è ancora fondamentale. La poesia di andare a comprare un orologio in negozio…

Ovviamente non ho nulla contro le vendite telematiche, ma per quanto ne so costituiscono una parte veramente minima del tutto, anche nei segmenti di prezzo più accessibili. Ci vorrà tempo e comunque ho forti dubbi che la relazione diretta con il negoziante possa essere scavalcata. Piuttosto, è importante avere cura del prodotto e saper comunicare come nasce. Questo i grossi gruppi lo hanno un po’ dimenticato nell’euforia di un periodo in cui il mercato sembrava saper solo crescere. Ora forse è meglio tornare ai valori concreti.

Da Patrick Pruniaux di Kering ai dirigenti di LVMH Italia, passando per altri manager che abbiamo intervistato, tutti sembrano concordare sul ritorno alla priorità del prodotto e dell’armonico rapporto con i negozianti. E in effetti non si parla delle vendite come di una soluzione a breve termine. È andata un po’ meglio, sembra, quando le vendite fanno capo a negozianti che il cliente già conosce e stima.

Marco Mantovani: Certo, io credo che il web sia un’ottima cosa che crescerà e continuerà a crescere se fatta in modo professionale. Questo non toglie spazio al negoziante perché c’è spazio per tutti quelli che lavorano bene, con professionalità e conoscenza del mercato. Tuto sommato, pur con i difetti e i limiti di una piccola azienda, credo che in certi casi non essere strutturati come i grossi gruppi ci renda più agili, più concentrati sul prodotto. Il fatto che dietro a un brand ci sia una famiglia – forse più concentrata rispetto a quello che succede in una grande azienda quando cambiano i manager – può costituire un vantaggio non secondario sia per la qualità sia per la coerenza di quel che produci.

Ho l’impressione che in questo momento persino il concetto stesso di “orologeria italiana” venga finalmente considerato come una caratteristica positiva.

Marco Mantovani: Lo spero, lo spero davvero. Credo che noi produttori di orologi italiani dovremmo fare squadra per rendere il made in Italy un valore positivo a livello internazionale. La Svizzera ha speso moltissimo, in questo  senso, e ha funzionato. Dovremmo investire di più per la diffusione del buon nome dell’orologeria italiana. Anni fa proprio tu mi avevi regalato il libro di Morpurgo sulla storia dell’orologeria in Italia. Abbiamo una tradizione, noi italiani, e ancora oggi un’ottima professionalità. Persone come me e come te, cresciute a pane e orologi, non cambiano mestiere fondamentalmente solo per autentica passione. Quello dell’orologeria è un mondo bellissimo.

Una delle ragioni per cui continuo ad amare l’orologeria è la sua capacità di rispettare regole che, al 90 per cento sono a favore del compratore finale. Anche se il compratore finale di solito non lo sa.

Marco Mantovani: È così. C’è una certa moralità che a mio avviso contrasta vistosamente con l’attuale tendenza a risparmiare nella convinzione che il compratore non si accorga che gli stai rifilando una mela bacata. Alcuni settori, come l’orologeria ma anche la gioielleria, continuano invece a essere imperniate sulla qualità del proprio prodotto. Penso che alla fine, come ieri, questo si rivelerà vincente anche domani. Per questo sono ottimista, per questo noi di Locman stiamo investendo, proprio in questo momento, per consolidare il nostro buon nome. Non è facile, ovviamente, ma bisogna sempre ricordare che il futuro comincia oggi.