Sento già le domande: e chi è, Stefano Ricci? E perché fa orologi? Ma soprattutto per quale misteriosa ragione tu e noi dovremmo guardare con interesse questi Octagon?
Comincio con le risposte. Stefano Ricci è uno designer fiorentino che ha creato una realtà internazionale un po’ nascosta, ma con un solido pubblico di ammiratori. Pubblico che dividerei in due parti: gli amanti degli eccessi e, sul lato opposto, quanti preferiscono un minimalismo quasi zen. In mezzo troneggia lui, Stefano Ricci, che amministra gusti apparentemente contrastanti, ma in realtà uniti da un collante di grande potenza. Il Made in Italy, anzi, Made in Tuscania, sempre fatto a mano. A ben vedere il fil rouge fra Stefano Ricci e il Rinascimento è lampante. E questo è uno dei suoi punti di forza, ma non l’unico. E gli orologi? Pazienza, ci arrivo…
Poi c’è l’uomo Stefano Ricci. Anche lui ricco di contrasti. Somiglia a Giuliano de’ Medici, specialmente nei ritratti con la barba, ma più sanguigno, più potente. E al tempo stesso delicatamente orgoglioso fino alla (quasi) commozione quando si parla dei figli, che ora hanno in mano l’azienda. E apertamente commosso quando parla del suo essere nonno. Ma anche di questo, direte voi, chissenefrega. Alla resa dei conti è l’ennesimo “modaiolo” che vuol fare orologi per sfruttarne il richiamo sul pubblico maschile. Sì e no, vi rispondo. Lo pensavo, lo temevo anch’io, ma poi…
Ora tornate un attimo a guardare le foto dei suoi orologi Octagon. Potenti, quasi aggressi. Costruzioni architettoniche solide da far pensare ad una fortezza e al tempo stesso oggetti di vanità per persone che amano i simboli appariscenti. “It’s not my cup of tea”, potrei concordare con alcuni di voi. Non è il mio genere. Ma… Ma attenti a quelli che chiamate con un po’ di mal celato disprezzo “i modaioli”, perché possono avere intuizioni molto, molto interessanti. Anche perché il Patek Philippe al polso di Stefano Ricci e l’Audemars Piguet indossato dal figlio Niccolò (Amministratore delegato del marchio, mentre l’altro figlio, Filippo, è Direttore creativo) parlano di una sincera passione per l’orologeria.
Su questa immagine aggiungerei un altro elemento: uno specifico tipo di rispetto per il cliente. Un rispetto che, ad esempio, porta il marchio a distruggere, ogni anno, tutto quel che non è stato venduto dalle 60 boutique Stefano Ricci sparse per il mondo. Distruggere. La collezione dell’anno precedente non finirà in nessun outlet, non verrà lasciata a specialisti dello sconto selvaggio. Distrutta, finita: la produzione invenduta passa alla storia del marchio, fondato nel 1972. È un segno di rispetto e gratitudine per chi crede in quel che produci. È una vera e propria forma di complicità.
Ecco allora il significato della collezione di orologi Octagon di Stefano Ricci. Tre modelli con cassa in oro bianco, ciascuno prodotto in 10 esemplari. Trenta in tutto. Tre modelli in cui si aggiunge una cascata di brillanti (con sfaccettature sontuose: sono 88 diamanti per 8,25 carati) incastonata con l’antica tecnica detta “a battuta” – ossia alloggiati in un perimetro esterno che poi viene ripiegato per fissare ciascuna pietra. Il tutto realizzato nei propri laboratori. Anche in questo caso la produzione è limitata a 10 esemplari numerati per ciascun modello.
Sessanta orologi in tutto, quindi. Praticamente un orologio per ogni boutique Stefano Ricci. Orologi rari. Ancor più rari perché in ciascun esemplare il fondello trasparente è chiuso con una cuvette (uno sportellino) inciso a mano con l’antica (continuano i riferimenti alla storia) tecnica detta inglesina o English scroll. Con disegni sempre diversi. Unici.
Sì vabbè, dirà qualcuno, ma questa è gioielleria. Gioielleria di altissimo livello, lo riconosco, ma gioielleria e moda non fanno l’orologio. Per me, continuerà quel qualcuno, conta il movimento.
Tre modelli, rispondo. Cronografo, Calendario Annuale e Calendario Perpetuo. Tutti con movimento Parmigiani Fleurier. E vi sembra poco? Sia ben chiaro: non c’è trucco né inganno perché la provenienza dei movimenti è onestamente dichiarata (rispetto per il compratore). Anzi, orgogliosamente esibita sul movimento stesso, come sempre visibile attraverso il fondello in vetro zaffiro tenuto in sede da quattro viti. Impeccabile.
Ma c’è di più, a proposito di rispetto. Poniamo che io abbia uno di questi sessanta Octagon e che mi si rompa per un urto, ad esempio, mentre ritiro il bagaglio all’aeroporto di Hong Kong. Che fare? Arrivo in albergo e giro telefonicamente la domanda al personale della boutique Stefano Ricci di Hong Kong, appunto. Dalla boutique arriva un incaricato che ritira l’orologio, mi lascia tutte le carte del caso e mi chiede dove voglio che mi venga restituito, una volta riparato. Se abito in una delle sessanta città in cui sono presenti le boutique posso ritirarlo lì, oppure farmelo riconsegnare a casa, ovunque io sia.
Rispetto per il compratore. Certo, può farlo Stefano Ricci perché la produzione è più che limitata, ma sta di fatto che si tratta di una cortesia ancora una volta – rara. E non è detto che in un prossimo futuro il marchio non realizzi anche una piccola serie di “courtesy watches” per non lasciar nudo il polso del cliente in attesa della riparazione. Una cortesia – appunto – già usata per i propri clienti, tanti anni fa, da Carlo Crocco, l’italiano che ha inventato e reso grande Hublot. Un altro italiano. Il cerchio sembra chiudersi. La cosa fa riflettere e spero di poter presto tornare a parlare di questo tipo di lusso nel quale l’oggetto in sé è soltanto una parte di un mondo nel quale il rispetto può diventare una virtù riservata, con le dovute proporzioni, a qualunque tipo di cliente. Indipendentemente dal prezzo dell’oggetto.
Possono esser pesanti, potenti, perfino eccessivi, gli orologi Octagon di Stefano Ricci. Possono non piacervi, certo. Ma sono orologi, orologi veri. E accoglienti come sanno essere – da secoli – gli italiani.