Approfondimenti

Richard Mille, l’incontentabile

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Parliamo di quando si poteva viaggiare facilmente, e senza prendersi terribili malattie. Tanti anni fa ero in Svizzera, in visita alla Vaucher, fabbrica di movimenti della quale parleremo in futuro. Noto una platina (la base del movimento su cui vengono montate le componenti) dalla inconfondibile forma tonneau, a bariletto. Il mio accompagnatore sorride. «Sì, le facciamo noi, le platine per il pazzo. Per Richard Mille». La prendo per dare un’occhiata e sento che è leggerissima. «Sì, è in titanio. Per questo noi siamo convinti che Richard Mille sia pazzo. Ha voluto un’infinità di componenti in titanio. E il titanio non solo è difficile da lavorare, ma anche pericoloso perché le polveri residue possono prendere fuoco», spiega.

«Abbiamo dovuto inventare un sistema di produzione per lui e le sue maledette platine. Ma Richard Mille non sembra mai soddisfatto, è pazzo. E ci sfida, dice che se lo fanno nelle automobili possiamo farlo anche noi. Ma pretendeva tolleranze impossibili e di queste platine ne abbiamo fatte centinaia, se non di più, prima di riuscire a sentirgli dire che siamo bravi, quando vogliamo. È ufficiale: Richard Mille è pazzo». Intasco la platina difettosa e proseguo la visita. Con un’idea in testa.

Qualche tempo dopo vado a Parigi per un’intervista con Richard Mille. Oh, come si viaggiava tranquilli, una volta… Con lui era nato un buon rapporto durante le fiere, un rapporto basato anche sul proficuo scambio di barzellette che non definirei angeliche. Ridiamo molto. Aperitivo al Plaza Athenée e poi i cinquanta metri per arrivare al ristorante L’Avenue, all’angolo con Rue François Premier. Tutti lo salutano, saluta tutti, sorrisi. È a casa sua, in un certo senso. Pranzo, chiacchiere e comincio a giocherellare con la platina in titanio. «Ah, sei stato alla Vaucher? Te lo hanno detto che sono pazzo?». È in quel preciso momento che ho cominciato a fidarmi di Richard Mille.

Quasi ogni altra persona dell’orologeria avrebbe fatto finta di niente, ignorando quel che avevo fra le dita. Stiamo parlando di tanti anni fa (non ricordo mai le date), ma a quei tempi tutti giuravano di far da sé, in casa, ogni singola componente dei propri orologi. Lui no. Tanto di cappello a Richard Mille, il pazzo. Che dice la verità. E ne ho avuto la riprova ancora anni dopo, quando circolava la voce che avrebbero venduto il marchio, lui e il suo storico socio Dominique Guenat. Mi fido di lui, di Richard Mille il pazzo. Però mi rendo conto che a voi non basta: potrei essere un credulone scemo vittima di un simpatico birbaccione che racconta barzellette e fa il sincero quando non può farne a meno. E allora passo a qualcosa di più oggettivo.

Richard Mille ha trascorso i suoi primi cinquant’anni fra automobili sportive (lavorava alla Matra, comunque occupandosi di orologi) e preziosi. Ha lavorato per il gioielliere francese Mauboussin, dove pur essendo Direttore della gioielleria gestiva anche la sezione orologi. In quell’occasione ha conosciuto Dominique Guenat, proprietario della Valgine, fabbrica d’orologi a poca distanza da La Chaux-de-Fonds, fondata nel 1900 da Ali Guenat. Una fabbrica di famiglia, insomma. Nel 1988 Mille e Guenat si incontrano, diventano amici e dieci anni dopo (nel ’98) decidono di dar vita ad una marca di orologi artigianali, sì, ma prodotti con sistemi innovativi. Il primo Richard Mille (l’RM001 Tourbillon) viene presentato a Baselworld nel 2001. Vi risparmio ulteriori – sia pur interessanti – acrobazie societarie, ma basti pensare che Audemars Piguet è azionista della marca. Il che è una bella garanzia per tutti.

In cosa consiste l’essenziale apporto di Richard Mille? Nell’aver “tradotto” per l’orologeria il metodo di lavoro dell’automobilismo sportivo. Mi spiego meglio. Prendiamo la Ferrari, tanto per fare un esempio in casa nostra. Non è che i freni se li produce da sé: sarebbe una follia. Spiega le proprie esigenze alla Brembo che poi li produce con le specifiche considerate essenziali dalla Ferrari. Altrettanto vale per l’elettronica, e così via. In “casa” viene prodotto soltanto quel che è strettamente necessario per rispettare il progetto sviluppato dai tecnici, quel che altrimenti non si potrebbe avere. Sia perché in Ferrari si è in grado di farlo meglio, sia per poter comunque contenere i costi senza dover rinunciare alla qualità. Ecco perché i fornitori esterni considerano Richard Mille un pazzo incontentabile: sulle esigenze qualitative del suo marchio non si fanno sconti.

Sia ben chiaro che l’orologeria svizzera ha sempre seguito un metodo in qualche modo simile. Anche se di solito si fa finta d’ignorare l’esistenza di fornitori esterni. Ma ci sono, eccome, per quasi tutti i marchi. Con pochissime eccezioni. Vi rimando a questo proposito, a quanto abbiamo pubblicato riguardo agli orologi industriali e/o artigianali. Mille però ha codificato – e lo ha fatto in maniera trasparente – una metodologia di lavoro ben collaudata in campo automobilistico. Ricerca, progettazione e sviluppo rigorosamente “in casa”, come pure assemblaggio e controlli di qualità. Per il resto si vede come operare in base alle necessità e alle possibilità. Non dimentichiamo che stiamo parlando di una marca la cui produzione raggiunge a malapena – oggi – le 5.000 unità l’anno. Solo cinquemila orologi per tutti i mercati mondiali.

Ma non ostante questo evidente limite, che riduce le possibilità di fare economia di scala, Richard Mille già nel 2012 presenta il primo movimento meccanico a carica automatica realizzato “in casa”, per l’RM037. Ma nel frattempo ha iniziato a far da sé le casse, e poi i quadranti e poi… E poi prosegue la propria marcia verso una “indipendenza intelligente” che sta diventando un punto di riferimento per l’intera orologeria “artigianale” svizzera.

Un altro vantaggio importantissimo della storia personale di Richard Mille deriva proprio dalla sua conoscenza dell’automobilismo sportivo. Vedete, se a malapena arrivi ai 5.000 orologi (oggi: nel 2018 erano 4.600 e questo fa capire quanto sia lenta la progressione, se metti al primo posto la qualità), nessuno si metterà a produrre solo per te quella modestissima quantità di leghe metalliche o comunque materiali ad altissima tecnologia che ti servono.

È un problema cronico dell’orologeria. Basti pensare che l’intera Svizzera degli orologi utilizza ogni anno una trentina di litri per ognuno degli oli necessari alla miglior lubrificazione; o che alcune marche sono costrette a fondere da sé le proprie leghe d’oro e altri metalli preziosi. Ecco allora che l’ancor solido legame di Richard Mille con l’automobilismo (amicizie, ma anche sponsorizzazioni) porta come beneficio collaterale leghe di titanio, di alluminio, formule di carbonio e tanto altro. Piccole quantità che sarebbe altrimenti impossibile ottenere, indipendentemente da quanto sei disposto a pagare. Materiali, per giunta, ben testati e collaudati nelle automobili da corsa. Sicuri, quindi, che dureranno nel tempo.

Ed è così che arriviamo al cronografo RM72-01, l’orologio con il primo movimento cronografico progettato, sviluppato e prodotto in casa da Richard Mille. Ma di questo cronografo e della sua impostazione tecnica parleremo nei prossimi giorni, visto che qui mi sono già dilungato abbastanza. Però mi sembrava essenziale farlo (e ci sarebbe stato ancora moltissimo da dire) per capire il contesto in cui si collocano gli orologi di Richard Mille. E per farvi comprendere anche come la mia fiducia in Richard Mille, il pazzo, non deriva magari da una mia stupidità credulona. La mia fiducia ha basi molto, molto solide.