Nella maggior parte dei miei articoli, concludo dicendo di andare a verificare quel che ho scritto presso un concessionario. Se non per l’acquisto, per la propria cultura. È un atto di comunicazione.
In che senso, dirai tu? Nel senso che il migliore degli articoli scritti dal migliore giornalista non può sostituire il contatto diretto con un orologio. Toccare, provare al polso, esaminare con la lente i dettagli, verificare la qualità delle finiture. La comunicazione è importante, ma non basta: i libri sono bellissimi, ma la vita è meglio.
E però la comunicazione è fondamentale, nell’orologeria. Perché un esperto che osserva per te e ti guida su cosa osservare è utile. Ma la comunicazione è fondamentale anche perché da un pezzo l’orologio ha cessato d’essere un oggetto di prima necessità. Oggi l’ora esatta te la dice il computer, il cellulare, il forno e persino gli orologi stradali sono quasi sempre ben sincronizzati. L’orologio è di fatto – oggi – un “oggetto di vanità”, termine che già nel Rinascimento indicava l’aggiunta di bellezza ad uno strumento utile. Comunicazione, appunto. Già allora. E oggi ancor di più.
Oggi la comunicazione relativa agli orologi è presente un po’ dappertutto, e questo è bene. Una comunicazione che, indipendentemente dal supporto (carta stampata, siti internet e filmati) si divide fondamentalmente in tre parti. C’è la comunicazione di base (una foto e una didascalia, oppure il copia/incolla di una cartella stampa). Poi c’è la comunicazione un po’ rielaborata, se non altro per meritarsi il pagamento dell’articolo. E c’è una comunicazione più articolata, che spiega il contesto in cui nasce un orologio, che spiega i processi creativi – tecnici ed estetici – che conducono alla realizzazione.
Si tratta, in pratica, di comunicare l’orologeria e non solo gli orologi. Tutti e tre sono modelli di comunicazione utili, seppure di diverso valore etico. Quando mi riferisco al valore etico non è soltanto per fare una distinzione tra diversi livelli di professionalità, ma proprio perché c’è una differenza importante fra chi si limita a parlare di orologi e chi parla anche del contesto, dell’orologeria. Ma per parlare di orologeria è necessario che gli autori comprendano che è l’orologeria a fare gli orologi. E non il contrario. È fondamentale. È il vero punto focale di un piccolo mondo in cui molti produttori partono da una storia, un’idea, una visione originale degli aspetti tecnici ed estetici degli orologi.
Se la tua comunicazione è l’orologio e nient’altro, allora puoi serenamente lavorare da casa con le cartelle stampa, sempre più ricche d’informazioni utili. Se vuoi parlare d’orologeria (come fanno molte riviste specializzate e qualche sito) allora hai bisogno di molto più che una cartella stampa. Hai bisogno di una visione d’insieme ampia, sfaccettata, corale. Quel che solo una fiera può darti. Anche perché in fiera puoi aggiungere una forma di comunicazione altrimenti quasi impossibile: toccare, osservare, studiare gli orologi, parlare con gli operatori, tutti, e infine elaborare i dati raccolti.
Ma le fiere sono di fatto sospese da circa un anno a causa della pandemia, che impedisce assembramenti pericolosi di persone provenienti da ogni parte del mondo. È giusto. Eppure a me le fiere mancano molto, anche se alcuni operatori si stanno dando da fare per consentire ai giornalisti di esaminare dal vivo, comunque, gli orologi. Mi mancano innanzitutto perché conosco l’importanza di esaminare, toccare, pastrugnare gli orologi, ed è per questo che vi dico di farlo. Mi mancano perché senza il rapporto umano con gli operatori del settore non puoi capire il contesto in cui nascono gli orologi, la ragione di certe scelte che magari ti sembrano inizialmente difficili da digerire.
Le fiere mi mancano perché, pur se negli ultimi tempi alcune erano diventate quasi insopportabili, pagavi il (caro, carissimo) prezzo per aumentare la tua mai sufficiente conoscenza dell’orologeria e di come l’orologeria faccia nascere gli orologi. Certo, il digitale, l’elettronica, le videoconferenze. Ne apprezzo molti aspetti e sono contento che comunque si possa continuare i contatti. Ma (perdonate la crudezza dell’esempio: chi mi conosce sa che sono fatto così) è la stessa differenza che c’è tra far sesso con un avatar o un fake di plastica e far l’amore con la persona che hai nel cuore. Alla fine non c’è paragone.
Peccato che la situazione sia sempre più buia. Watches & Wonders ha annunciato di passare il turno e pochi giorni dopo altrettanto hanno ribadito Rolex, Patek Philippe e gli altri che avrebbero dovuto dar vita ad un’attesissima manifestazione concomitante. Altri ancora: non pervenuti, ma sta di fatto che la situazione è congelata e con la pandemia ancora a passo di galoppo è giusto così. Le scelte fatte dall’orologeria sono responsabili e questo, ancora una volta, rafforza la mia stima per l’intero settore.
E qui vorrei aprire una parentesi personale, prima di passare alle conclusioni. Io non sono e non sono mai stato un appassionato di orologi. Non ho e non avrò mai una collezione di orologi, vuoi per motivi economici, vuoi perché non ho lo spirito del collezionista. Ma come cronista divulgatore amo le persone. Amo chi legge i miei articoli e cerco di rispettare ogni singolo lettore senza ammorbarlo con le mie considerazioni da tifoso di una marca o di un modello.
E amo l’orologeria (quella che fa gli orologi, appunto) perché è fatta di persone che ho imparato a stimare e spesso anche ad amare. È gente che cerca l’arte, è gente che cerca di superare se stessa prima ancora del concorrente. È gente solida, che al tempo stesso sa sognare, sa creare. Lasciando il giudizio non ai giornalisti (un giornalista che giudica è l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno), ma ai compratori, ai clienti finali. Ecco, nel momento in cui scrivo moltissimi negozi d’orologeria stanno riaprendo dopo un’altra serrata per via del Covid. È stata necessaria, ragionevole, anche se ha fatto del male a molti, moltissimi. Dal proprietario di una marca fino al personale che pulisce i negozi sono stati in tanti a subire le conseguenze economiche di questa situazione.
E qui arriviamo al punto. Stiamo parlando di comunicazione e allora è importante ricordare che il livello più alto, quello più essenziale non è la pubblicità; non sta negli articoli specializzati, non sta nelle “foto con dida”, non sta nelle cartelle stampa, non sta nei social, non sta nei video online e non sta nemmeno nei testimonial o nella sponsorizzazione di eventi. Tutte cose, badate bene, importanti, tutte cose utili a creare una immagine a tutto tondo.
Ma niente potrà mai sostituire le vostre mani, i vostri occhi, le vostre sensazioni, quel tuffo al cuore che si prova quando vedi o scopri l’orologio dei tuoi sogni. E dove potete toccare, vedere, sentire, emozionarvi? In un negozio d’orologi. Solo un negozio d’orologi: il resto sono bambole di gomma. Non amore. L’amore per un orologio nasce in un negozio. La cultura dell’arte la trovate in un negozio, la condivisione e spesso la complicità la trovate in un negozio.
Io non ho nulla contro le vendite telematiche: al contrario, sono da molti anni un buon utente. Ma solo quando non ho un negozio nel mio raggio d’azione, solo quando il negozio è inaccessibile. E con la consapevolezza che comprando online corri rischi da cui in negozio sei di solito ben protetto (a meno che il negoziante non sia scemo); perché nel commercio e specialmente in quello degli orologi un cliente che compra e poi torna a comprare vale mille volte più della sveltina con cui ne freghi uno. Che poi racconterà a tutti che razza d’imbroglione sei.
Come per le marche d’orologi, anche per i negozi vale la stessa legge. Se hai una lunga tradizione, se sei ancora attivo dopo tanti anni e tante vicissitudini, allora vuol dire che hai una tradizione nel non fregare i tuoi clienti. E questo è un valore che nessun algoritmo può ancora sostituire. Specialmente oggi, che siamo tutti un po’ più poveri di ieri.
Non basta la migliore delle foto. Né quelle della carta stampata, né quelle dei siti e ancor meno quelle dei social. Che infatti fregano tanti allocchi, pronti a dire che «a me sembra uguale a un orologio economico, eppure costa un occhio della testa». È una delle ragioni per cui noi tagliamo, elaboriamo le foto in funzione di un discorso specifico: informazione. Eppure nemmeno questo sostituisce quel che ciascuno di noi prova toccando, verificando, lasciandosi andare all’emozione.
Facciamo di necessità virtù e impariamo a diventare compratori professionisti come una volta erano i nostri genitori. Impariamo a comprare un orologio (ma anche un frutto, un chiodo, uno spillo) con la classica saggezza del buon padre di famiglia. Pensando, valutando, riflettendo. In negozio puoi farlo. E molti negozianti si stanno attrezzando anche con siti web talvolta migliori di altre presuntuose iniziative di finta comunicazione.
Sia ben chiaro che non sto facendo una difesa d’ufficio dei negozianti d’orologi o dei negozianti in genere: molti hanno superato ben altre vicissitudini e comunque (a proposito di benaltrismo) di ben altro hanno bisogno, oggi. Sto solo dicendo che è nostro interesse sostenere i negozianti, è nostro interesse perché a conti fatti risparmiamo. In caso contrario finiremo (forse è inevitabile, ma se ritardiamo la faccenda è comunque un bene) tutti preda di esperti di marketing e pubblicitari che «senza il mio prodotto non sei nessuno e la tua vita è una schifezza».
È per questa ragione che ritarderemo il Watch Update Christmas Edition fin quando non avranno aperto tutti i negozi d’orologi. Noi vi mostriamo, cerchiamo di spiegarvi, di indicare cosa esaminare in particolare. Ma dal negoziante andateci voi. Andateci, anche se non intendete spendere somme elevate. Riscoprite il piacere del parlare, scambiare idee. Il piacere della Cerimonia dell’acquisto contro il passaggio soldi/oggetto. È nel vostro, è nel nostro interesse di persone e di cittadini.