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Dietro le quinte. Statistiche: numeri, polli e orologi

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Un consiglio: per capire meglio il senso delle statistiche andate a cercare un sonetto di Trilussa, Il pollo. Parla di quando, secondo le statistiche, c’era un pollo su ogni tavola italiana. Statisticamente. Ma in realtà…

Che l’orologeria non stia passandosela bene lo dicono i numeri delle esportazioni. La Svizzera, sebbene la tendenza della discesa sembri rallentate in ottobre, ha esportato solo tre quarti del fatturato relativo allo stesso periodo (gennaio/ottobre) del 2019. Che pure non era stato gran che per via della crisi di Hong Kong.
La Federazione Svizzera dell’Orologeria, che fornisce i dati delle statistiche, prevede che la tendenza negativa potrebbe stabilizzarsi per fine anno. Sempre che, ovviamente, il Covid non voglia ripartire per la terza ondata nel prossimo mese. Sì, è improbabile, ma i dirigenti svizzeri non vedono comunque nessuna forma di ripresa per un bel pezzo ancora.

L’idea è che la situazione potrebbe migliorare se vi saranno effetti positivi stabili dalle vaccinazioni e dalle altre misure sanitarie messe in atto per migliorare gli effetti della pandemia. Già, ma migliorare come? Chiusa (o messa a covare sotto la cenere) la pandemia tutto tornerà come prima? Non se ne parla nemmeno e questo impone di analizzare alcune caratteristiche specifiche dell’orologeria. Specificità che pochi analizzatori economici hanno considerato, finendo per fare una sorta di minestrone dei settori del lusso. Sempre che si possa trovare una definizione univoca della parola “lusso”.

La produzione interrotta

Tanto per cominciare pochi sembrano ricordare che le fabbriche svizzere d’orologeria sono state chiuse, quest’anno, per periodi che vanno da uno a tre mesi. Il che vuol ovviamente dire una diminuzione di orologi prodotti. I numeri variano in base al prezzo e ai metodi di lavoro, più o meno industriali. Ascoltando gli operatori («Ma la prego, questo non lo scriva»), la diminuzione varia fra un -5 e un -20 per cento del fatturato. Ovviamente questa cifra non va direttamente sottratta al calo generale delle esportazioni (secondo le statistiche -25,8 per cento nel periodo gennaio/ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno); ma certamente mitiga le perdite, comunque variabili da un produttore all’altro.

Bene, mi dirai tu, allora l’orologeria è ancora un mercato interessante. Sì, ti rispondo, ma con giudizio. Perché di variabili ce ne sono ancora, e anche di considerazioni da fare. Tanto per cominciare: come la mettiamo con gli orologi rari, quelli che tutti vogliono e sono disposti a comprare anche a cifre doppie o triple rispetto al listino? E non parlo solo di Rolex.

Gli introvabili oggetti del desiderio

I problemi sono destinati a peggiorare, paradossalmente, con l’eventuale ripresa delle vendite. Perché nessuna fabbrica con dirigenti sani di mente si sogna di aprire nuovi stabilimenti (che comunque richiederebbero tempo e investimenti rischiosi) solo per soddisfare le richieste di una parte di pubblico che viene considerata capricciosa e volubile. Pronta ad abbandonare il proprio oggetto di desiderio appena ne arriva un altro più desiderabile ancora. Per non parlare della quantità di speculatori pronti a rastrellare i mercati per poi rivendere le rarità a prezzi fuori da ogni logica.

Queste richieste non soltanto sono destinate a rimanere inevase, ma è probabile che alla ripresa del mercato si allargheranno ad altri modelli e marche. Intendo dire che potrebbero trasformarsi in oggetti del desiderio anche orologi meno costosi, ma comunque “iconici” per il blasone e/o la capacità, da parte dei marchi, di rendere più appetibili i propri orologi. Già ora se ne vedono i primi segnali su Breitling e TAG Heuer.

Il rimedio? Beh, un rimedio vero non c’è. Ma si può certamente migliorare il controllo sulla rete di distribuzione con “trucchi” che comunque offrono maggiori garanzie ai compratori. Penso ad esempio al proliferare di sistemi d’identificazione dei singoli orologi. Sulla falsariga, per intenderci, di quanto fatto recentemente da Hublot: trovate l’articolo qui. I vantaggi sono molti: rendere meno vendibili gli orologi rubati, garantire l’usato e – perché no? – tracciare il percorso degli orologi. Un percorso spesso oscuro specialmente in Paesi dai mercati meno “maturi”, meno puliti.

Il calo delle esportazioni nelle statistiche

Un secondo aspetto da valutare con attenzione nelle statistiche è il vistoso calo delle esportazioni d’orologi fino ai 500 franchi svizzeri al netto delle tasse. Gli orologi che qualcuno definisce “economici”, quelli che arrivano nei negozi a prezzi fino ai mille euro. In valore, il calo oscilla fra il 15 e il 20 per cento nel solo ottobre, a fronte di un calo complessivo del 7,1 per cento. Tengono molto meglio quelli con cassa in acciaio di prezzo compreso (sempre al confine, prima delle tasse locali) tra i 500 e i 3.000 franchi svizzeri, con un calo contenuto in poco più del 4 per cento, sia in valore che nel numero degli esemplari esportati.

Leggermente superiore alla media del 7,1 per cento il calo degli orologi più preziosi, a proposito dei quali, però, la Federazione Svizzera dell’Orologeria fornisce dati da prendere un po’ con le pinze, come metallo bollente. In molti riferiscono risultati altalenanti, limitandosi a commentare che: (a) tirano abbastanza gli esemplari da collezione, destinati ad avere incrementi di valore nel tempo – e questo fa il paio con i risultati interessanti delle aste specializzate; (b) anche i ricchi non ridono, specialmente nei mercati occidentali e – parzialmente – in quelli mediorientali. Magari non piangono, ma devono comunque fare economie di qualche tipo rispetto alle loro abitudini.

La battaglia nei primi segmenti di mercato

L’impressione è che gran parte del mondo (occidentale) si trovi costretto a scendere di qualche gradino rispetto alle posizioni economiche conquistate precedentemente. Né si capisce bene se si potrà mai risalire. Bene, mi dirai tu, ma a me cosa me ne frega? Te ne frega, ti rispondo, te ne frega…
Tanto per cominciare assisteremo ad una battaglia su due fronti per quanto riguarda l’orologeria meno costosa. Il primo fronte è quello della naturale concorrenza fra marchi: orologi sempre migliori a parità di prezzo. Migliorerà il rapporto qualità/prezzo e già questo è interessante per chi vuol comprare orologi di qualità senza rovinarsi.

Il secondo fronte è quello della concorrenza con i dispositivi connessi da polso. L’industria orientale sforna modelli sempre più completi a prezzi sempre migliori. Aggressive politiche di marketing arrivano a regalare un connesso se compri un altro dispositivo (per i più vecchi: il connesso viene dato in bundle, ad esempio, con un cellulare di alta gamma), e comunque i prezzi calano vistosamente pochi mesi dopo la presentazione dei nuovi modelli. Sì, mi dirai, ma cosa gliene frega ai “vecchi” degli orologi connessi? Sono roba per raga. Sbagliato. I vecchi sono il mercato del futuro.

I connessi del futuro

Puoi scommetterci le mutande che aumenteranno esponenzialmente i connessi capaci di farti esami clinici mediamente attendibili, trasmessi periodicamente al medico di base, che chiederà approfondimenti ogni volta che qualcosa scavalla in modo esagerato i dati precedenti. Noi vecchi ci teniamo a vivere a lungo e abbiamo un potere d’acquisto interessante. La Svizzera sta già cominciando a valutare il da farsi. Che non è certo buttarsi nella concorrenza diretta agli orientali: sarebbe un vero e proprio suicidio, come ben sanno i vecchi – appunto – che ricordano le sberle prese dalla Svizzera ai tempi del quarzo. La grande crisi che degli anni Sessanta e Settanta rischiò di far scomparire la Svizzera degli orologi.

I primi assaggi di connessi poco costosi Swiss Made (ossia non basati su moduli elettronici orientali) arrivano da marchi del Gruppo Swatch. Come Tissot, che ha recentemente diffuso un ottimo orologio multifunzione con alcune caratteristiche dei connessi. Mettici un po’ di sensori specifici e un software ben congegnato e lo trasformi in un “medicale” di buona efficienza che farà la felicità degli ipocondriaci, ma aiuterà anche i servizi sanitari nazionali. Guardo anche alla stessa Swatch, che potrebbe parzialmente condividere gli ingenti investimenti di Tissot per creare modelli specifici (a parte i pagamenti elettronici: orologi già in commercio) destinati ad alcune patologie specifiche. La cosa, insomma, promette bene.

Il calo delle vendite nelle statistiche

E gli argomenti da discutere sarebbero ancora tanti, ma che palle! E comunque ne parleremo in specifiche interviste con gli operatori.
Qui vorrei però ricordare alcune considerazioni fatte nel primo Watch Update, più o meno concomitante con i devastanti effetti della prima ondata della pandemia. Secondo le statistiche il calo delle vendite, nei Paesi occidentali, è stato micidiale. Nel periodo gennaio/ottobre 2020, i cali oscillano dal -24,5 per cento della Germania per arrivare al -39 per cento della Francia. L’Italia è al -36,1 per cento. Anche in questo caso il dato delle statistiche deve essere correttamente interpretato, dopo un incrocio con altre realtà.

Il crollo si riferisce in gran parte al fatto che turisti stranieri non ce n’è. Specialmente orientali. Tutti i negozi che avevano puntato soprattutto sui clienti stranieri (per alcuni volevano dire il 70 per cento e oltre del fatturato) sono in grave affanno. Talvolta gravissimo. Arrivano invece segnalazioni positive dalla mai sufficientemente benedetta provincia italiana. Sia al nord che (soprattutto) al sud in certi casi assistiamo addirittura ad un aumento del fatturato. Sembra una follia, ma il cliente locale che prima prendeva l’aereo per motivi di lavoro e magari andava a comprare nelle grandi città ora ritrova il proprio negoziante di riferimento. Quello vicino casa, quello che scopri tuo alleato, se non amico.

Benedetto mercato locale

Non sono grandi incrementi, certo, ma indicano una strada da seguire. Sia per i compratori (anche di questo abbiamo parlato: trovate qui l’articolo) che per i distributori. In pratica, bisogna reinventare il rapporto con i negozianti di orologi (e non solo quelli) tornando ai riferimenti del passato, reinterpretati in chiave contemporanea. Conservare i rapporti umani del passato facendoli passare anche per le moderne tecnologie, come già i più intraprendenti stanno facendo. Ma sarà impossibile se i produttori e i distributori non capiranno che il lavoro di tutti, noi giornalisti compresi, deve prima avere una solida base locale. E solo dopo guardare alla giusta percentuale di clienti occasionali come i turisti.

Perché è la clientela locale, ancora una volta, a darti una base di certezze che si rivelano indispensabili ad ogni periodica crisi. Sarà una bella sfida, ma l’orologeria, quella vera, è già abituata a trattenere quanto più a lungo possibile i “vecchi” per insegnare ai giovani puledri scalpitanti che la storia dell’orologeria è un fiume. Un fiume che viene da molto lontano nei secoli passati e che speriamo vada molto lontano nei secoli futuri.