«La stabilità può essere raggiunta solo dalla materia inattiva». No, non l’ha detto Mario Draghi pensando alle forze che compongono il suo governo, bensì Marie Curie. Avrebbe mai pensato la due volte premio Nobel che un giorno, indirettamente, i suoi studi sulla radioattività avrebbero reso mitico un orologio, il Blancpain Fifty Fathoms No Rad?
Chiaramente no. Ma vado oltre la provocazione e vi racconto in breve la storia di questo orologio e di come mai Blancpain abbia deciso di dedicargli un altro esemplare-tributo, in edizione limitata, in questo 2021. Il Tribute to Fifty Fathoms No Rad.
Vade retro, radio!
Intanto, il nomignolo No Rad deriva dal logo riportato sul quadrante, a ore 6, a indicare che il materiale luminescente usato da Blancpain per indici e lancette dell’orologio è “No Radiation” (nessuna radiazione). Ossia privo di radio. E ci mancherebbe, direte. Da decenni il radio è bandito dall’orologeria perché dannoso per la salute, non tanto di chi indossa l’orologio quanto di chi lo lavora.
Appunto, sono decenni. Ma prima questa sostanza era ampiamente utilizzata per via dell’eccellente proprietà auto-luminosa. L’esempio più noto, che ha dato origine a una collezione di orologi, è il Radiomir, composto da una miscela di fosforo e materiale radioattivo in pasta, inventato da Guido Panerai tra le due guerre mondiali.
Utilissimo ma pericoloso, il radio fu soppiantato negli anni dal trizio, anch’esso radioattivo pur se in misura molto minore. Radioattività per radioattività, anche il trizio fu progressivamente sostituito da materiali fotosensibili e non dannosi per la salute. Una mossa che ha reso gli orologi vintage con indici e lancette triziate sempre più ricercati dai collezionisti.
Se volete sapere di più sui materiali luminescenti, vi rimando a questo articolo interessante. Del resto siete qui per leggere del Tribute to Fifty Fathoms No Rad di Blancpain, giusto? E allora parliamone, ricordando come nacque il Fifty Fathoms e arrivando all’orologio del 1965, cui il modello attuale rimanda.
Blancpain Fifty Fathoms: un po’ di storia
Nel 1952, la Marina e i servizi segreti francesi incaricarono il tenente Claude Riffaud e il capitano Robert Maloubier di creare un’unità specializzata di sommozzatori destinata ad agire nella massima segretezza. Alcune delle loro missioni includevano attacchi ai porti e sabotaggio di navi.
Riffaud e Maloubier avevano un’idea generale di quale fosse l’attrezzatura di cui i subacquei avevano bisogno: bussole, profondimetri, orologi. Ma, in fatto di orologi, sul mercato non esisteva un modello specificamente progettato per l’uso che ne avrebbero fatto quei sommozzatori.
Così Maloubier stesso ne disegnò uno, ideale per le immersioni. Doveva avere una cassa robusta e impermeabile e un quadrante leggibile nelle notti più buie e nelle profondità marine. Il capitano sottopose la sua idea a diversi produttori, ma incontrò rifiuti e resistenze a causa del design troppo ardito dell’orologio.
Finché arrivò a Blancpain, il cui Ceo dell’epoca, Jean-Jacques Fiechter, era egli stesso un subacqueo dilettante. E un uomo di business, che fiutò l’opportunità: creare un orologio che nessun altro aveva osato realizzare.
Nacque così nel 1953 il Fifty Fathoms. Con lunetta in bachelite, guarnizioni in gomma per sigillare la cassa e movimento automatico, scelto al posto del manuale per evitare di sollecitare la corona (punto debole per le infiltrazioni d’acqua) con avvolgimenti ripetuti.
I primi No Rad
E il Fifty Fathoms No Rad? Arrivò a metà degli anni ’60, quando l’esercito tedesco acquisì il Fifty Fathoms RPG 1 (ci fu poi l’RPGA 1, con datario), conosciuto come “Bund No Rad“. Il nome deriva dal termine Bundeswehr (Forze Armate) – inciso sul fondello degli orologi che equipaggiavano il Kampfschwimmer, l’unità d’élite del commando subacqueo tedesco – e dalla caratteristica dell’orologio: il logo No Rad, presente per la prima volta sul quadrante di un Fifty Fathoms.
In questo modo, Blancpain rassicurava sull’assenza di radio i subacquei militari professionisti, così come i civili che acquistavano i Fifty Fathoms da fornitori di attrezzature specializzate. Una rassicurazione data anche dalla scritta T<25 sul réhaut interno a ore 5, a indicare la quantità di trizio utilizzata, inferiore a 25 millicurie come richiesto dalle normative in vigore all’epoca.
Blancpain ha già dedicato un tributo al Fifty Fathoms No Rad nel 2010, il 5015B Tribute to Fifty Fathoms. Basato sul modello classico, con diametro di 45 mm (negli anni ’60 era di 41), ha la lunetta completamente graduata e il quadrante con indici dipinti e logo “No Rad” a ore 6. Limitato a 500 pezzi, monta il calibro 1315 con 120 ore di autonomia.
Blancpain Tribute to Fifty Fathoms No Rad, atto secondo
Ora, a undici anni di distanza dal 5015B, Blancpain presenta un’altra edizione limitata (ancora 500 esemplari) del Tribute to Fifty Fathoms No Rad. A campeggiare sul quadrante è di nuovo il simbolo No Rad giallo-arancione, ma questa referenza (5008D) ha argomenti a mio avviso più convincenti di quelli della riedizione del 2010.
L’orologio condivide molti elementi con il Fifty Fathoms Barakuda del 2019. Innanzitutto, ha una cassa molto più compatta del precedente, ridotta al diametro di 40,3 mm e allo spessore di 13,23 mm, ma tipica del Fifty Fathoms. È in acciaio inossidabile lucido, con anse corte e ricurve, e fondello in vetro zaffiro; è impermeabile fino a 300 metri ed è dotata di una corona a vite protetta da piccole spallette.
Il quadrante nero opaco ha gli indici che combinano pallettoni tondi, rettangoli e a forma di diamante (a ore 12). L’orologio sarà anche no radiation, ma in Blancpain hanno fatto un barbatrucco utilizzando per indici, lancette e tacche della ghiera un Super-LumiNova di colore “old radium” che riprende il beige-arancione degli indicatori vintage, con la loro patina del tempo.
A proposito di ghiera, quella del Tribute to Fifty Fathoms No Rad, dal classico profilo bombato, è girevole e unidirezionale. Ha una graduazione tipica dei primi modelli Fifty Fathoms ed è dotata di un inserto in zaffiro, tratto distintivo della collezione contemporanea. Concessione alla modernità – anche se esisteva già nell’RPGA 1, come abbiamo visto – è il datario a ore 3, la cui apertura è evidenziata da un bordo bianco come in uno dei modelli degli anni ’60.
Il calibro è il collaudato 1151, utilizzato ampiamente da Blancpain non solo nella collezione Fifty Fathoms, ma anche nella Villeret. È un movimento di manifattura a carica automatica molto sottile (3,25 mm). Ha una frequenza di 3Hz, la spirale in silicio, amagnetica, e il doppio bariletto, quindi maggiore autonomia: quattro giorni.
Giudizio e prezzo
Come era solito dire Alberto Tomba, «chi mi conosce, lo sa»: in generale, non sono un fan accanito degli orologi-tributo. Anche se belli, ben fatti e filologicamente impeccabili, penso che chi ama il vintage vada alla ricerca dell’originale più che della riedizione. Per quanto possa costare tempo e fatica trovarlo – e a volte, non sempre, abbia un prezzo superiore.
Però nel caso del Tribute to Fifty Fathoms No Rad faccio un’eccezione. Penso che, da quanto ho scritto finora, ci siano argomenti più che sufficienti per giustificare il mio parere positivo (per quanto può valere…) su questa edizione limitata.
Bel colpo l’aver riportato la cassa a dimensioni più contenute. Ma anche l’aver scelto di utilizzare un calibro affidabile già impiegato in altri orologi, anziché pensare a qualcosa ad hoc, non è certo un minus. Significa voler offrire un prodotto eccellente, contando sulle potenzialità industriali e sulle economie di scala di un grande gruppo come Swatch Group.
Il prezzo? Ottimo, in rapporto a quello che l’orologio offre e al fatto di essere una edizione limitata: 13.400 euro. Chiudo come ho iniziato, con una frase di Marie Curie: «Mi è stato insegnato che la strada per il progresso non è rapida né facile». Lo sa anche Blancpain: diversamente, non continuerebbe a proporre orologi così speciali.