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François-Paul Journe: il tempo è galantuomo, per chi lo sa gestire

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Recentemente un lettore mi ha chiesto cosa ne pensassi del successo di François-Paul Journe in asta. Rispondo con questo articolo. Ne penso tutto il bene possibile, perché questo vuol dire che accanto alle ormai tradizionali operazioni speculative (certi Rolex, certi Patek e così via) si consolidano anche motivazioni squisitamente tecniche. Da veri appassionati dell’Arte dell’Orologeria. E le maiuscole non le ho messe per caso.

Perché François-Paul Journe

L’ho già detto: è stato un amore a prima vista, qualche decina d’anni fa. Alla fiera di Basilea, fine anni Novanta, Journe aveva un proprio stand. Piccolo, certo, ma dignitoso. Molto vicino a quella dell’Accademia dei Creatori Indipendenti, nel quale brillavano molte delle migliori menti dell’orologeria. Ma Journe era già diverso, già viaggiava su un altro piano perché aveva compreso che se fai gli orologi migliori del mondo ma poi non sai venderli, allora sei destinato al fallimento. Se spendi più di quel che ricavi dalla vendita, sei destinato al fallimento. Se non sei in grado di elaborare un piano di crescita compatibile con le tue finanze, sei destinato al fallimento.

Quando accosto François-Paul Journe ad Abraham-Louis Breguet la motivazione è anche questa: Breguet sapeva vendere i propri orologi, sapeva farsi bene i conti, sapeva rimanere sempre a galla, come una saggia paperella, non importa quali fossero le turbolenze politiche – squassanti – della sua epoca. Oggi non abbiamo più tempeste come la Rivoluzione Francese, ma in compenso abbiamo veri e propri tsunami economici di fronte ai quali bisogna saper mantenere una costruzione economica salda. Altrimenti si è destinati al fallimento. Journe ha saputo costruire una realtà solida anche dal punto di vista economico.

E poi non si è mai svenduto al marketing. Niente testimonial – se vuoi un Journe te lo compri – e niente proclami: nessuna concessione ai temi del momento, per quanto sia grande la sua partecipazione. Partecipa, anche economicamente, contribuisce a migliorare un pochino la vita di qualcuno o di tutti, ma senza usarlo come argomento di vendita. Sono i suoi orologi a parlare e i suoi orologi parlano eccome. Ma anche in questo caso la lingua è quella di Journe: nessun colore alla moda, forti legami con il passato tradotto in futuro, tecnica che all’inizio non ti abbaglia, ma ti conquista. Journe non cerca l’amor fugace, ma il certosino, meticoloso, continuo miglioramento di quel che nel passato (anche nel suo passato) è stato fatto per rendere gli orologi vere e proprie opere d’arte. La tecnica sublimata, sì, ma anche concreta.

Il filo di Arianna

Se si osserva la produzione di François-Paul Journe fin dal 1999, anno in cui nasce il marchio F.P.Journe – Invenit et Fecit, non è difficile trovare un filo d’Arianna che unisce tutti i suoi orologi.

Parentesi. Su Wikipedia trovo: Arianna si innamorò di Teseo quando egli giunse a Creta per uccidere il Minotauro nel labirinto. Arianna diede a Teseo un gomitolo di lana (il proverbiale filo d’Arianna) per poter segnare la strada percorsa nel labirinto e quindi uscirne agevolmente. Arianna fuggì con lui e gli altri ateniesi verso Atene, ma Teseo la fece addormentare per poi abbandonarla sull’isola di Nasso. Curiosità. Arianna venne “piantata in Nasso” e la cosa ha generato l’espressione, usata ancor oggi, “piantare in asso”. E Teseo non era una bella persona, benché forse l’abbandono gli venne imposto dal dio Dioniso, che poi, forse, sposò Arianna. Chiusa parentesi.

Il fil rouge è fatto di una tecnica via via oggetto di piccoli, ma importanti miglioramenti; di dettagli estetici scelti non tanto per “essere belli” in modo ruffiano, quanto per coniugare l’occhio all’ergonomia. Un esempio? La sua classica corona, che richiama esternamente un cavo ritorto, riesce ad essere un elemento estetico distintivo, ma anche un dettaglio pratico perché ne rende molto agevole la presa. E così si può dire degli elementi avvitati sul quadrante, che delimitano tridimensionalmente le zone, ma al tempo stesso fanno tanto “capitano Nemo”, il protagonista del romanzo di Verne “20.000 leghe sotto i mari”. Le illustrazioni del suo sommergibile, il Nautilus, hanno notevolmente contribuito alla nascita dello steampunk. Sono richiami evidenti solo ad un occhio esperto e critico, ma gestiti sempre con rara discrezione, senza mai raggiungere i paradossali effetti del movimento steampunk attuale. Sono orologi, quelli di Journe, con forti richiami culturali.

Chi va piano va sano e va lontano

E però di solito i richiami culturali si accompagnano a dosi massicce o comunque fastidiose di autocompiacimento. Journe no. Journe è una persona “piena di sé” perché conosce bene il proprio valore, senza alcuna forma di ipocrisia. «Se qualcuno lo fa, io posso farlo meglio», dice talvolta con una sintesi brutale che non è presunzione; quanto il prendere atto – eliminando fronzoli e retorica – che pochi, pochissimi possono tenergli testa sul piano tecnico. E i richiami culturali sono solo la ciliegina sulla torta in un negozio che vende torte, non ciliegine. Vanno bene, sono piacevoli, ma determinante resta sempre la torta.

F.P.Journe – Invenit et Fecit diventa quindi nel tempo un marchio solido nella propria lenta evoluzione. Un’evoluzione che era evidentemente ben programmata fin dall’inizio e dalla quale Journe s’è discostato in casi rarissimi – e solo per un calembour, uno scherzo tecnico. Nel tempo i collezionisti lo hanno capito, hanno messo a fuoco con sempre maggior precisione il suo sogno e lo hanno premiato. Nelle vendite in asta Journe guida un drappello di orologiai indipendenti che mai avrebbero pensato di diventare oggetto di speculazione. O meglio, sapevano di poterlo essere episodicamente, ma con Journe la faccenda sta diventando sistematica, sta aprendo un nuovo filone del collezionismo.

François-Paul Journe e le aste

E se andiamo a ritroso nel tempo scopriamo che persino nel terribile 2020 i suoi orologi hanno affollato le aste con oltre una quarantina di esemplari che hanno spuntato cifre man mano sempre più elevate. La solidità di Journe, in pratica, è stata riconosciuta dai collezionisti come un valore di riferimento. Con aggiudicazioni sempre più ricche proprio perché si tratta di una tendenza destinata a consolidarsi. In asta sono stati aggiudicati a cifre notevoli persino modelli in produzione, ma rari perché Journe non ha mai superato i limiti della quantità sacrificando la qualità.

Ecco perché la nuova serie limitata di Octa con cassa in platino e movimento in ottone rodiato (come le prime serie, quando ancora Journe non produceva movimenti con ponti e platina d’oro) è destinata ad assumere persino nel breve periodo un valore crescente. I 99 esemplari di questa serie hanno un prezzo di 63.000 euro, ma in questo stesso mese un Octa della primissima serie – quasi identico – è stato aggiudicato ad oltre 114.000 euro. Mentre un altro, nel dicembre 2019, aveva superato i 207.000. Dati decisamente significativi. La rivincita dell’orologeria d’arte sulla banale speculazione. Continua così, Brontolo, continua a costruire con lenta consapevolezza, mattone dopo mattone, prendendoti sempre il tempo necessario. Perché dimostrare che ad andar piano si va lontano è un buon esempio di vita per tutti.