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Marketing e orologi: ma ci prendono per scemi?

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Questo articolo non è né intende essere una lezione di marketing. Non sono certo qualificato a farlo. Ma vuole dare voce alle molte, davvero molte e-mail, ai messaggi e comunicazioni d’ogni tipo relative a marketing e orologi. Alle tecniche di marketing applicate dall’orologeria e “subite” dai compratori. Perché la prima cosa che va detta è che per i compratori d’orologi dicesi marketing una serie di operazioni di maquillage messe in atto dai produttori per farti desiderare orologi che altrimenti a malapena degneresti di una seconda occhiata.

Cos’è il marketing?

L’Enciclopedia Treccani definisce così il marketing. “Con riferimento alle imprese produttrici di beni di largo consumo, il complesso dei metodi atti a collocare con il massimo profitto i prodotti in un dato mercato attraverso la scelta e la pianificazione delle politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione, dopo aver individuato, attraverso analisi di mercato, i bisogni dei consumatori attuali e potenziali”. Detto così non suona affatto male. Sembrerebbe una ottimizzazione, che sarebbe cosa buona e giusta. Sempre. Né deve spaventare il fatto che l’orologeria, perché di quella a noi interessa, produca orologi che a noi sembrano improponibili, ma a pubblici diversi, di Paesi diversi, piacciano molto.

Quando vedete orologi “per uomo” ricoperti di brillanti e altre pietre preziose, state certi che finiranno su polsi americani (dai rapper ai calciatori) o cinesi (in Oriente se non hai almeno un brillante addosso sei disperatamente povero). Io lo chiamo, da molti anni, “tamarro style” e molti ne ridono. Dimenticando che i gusti e gli usi variano di continente in continente, di Paese in Paese, e non sta a noi giudicare. Chi si crede arbitro dei gusti nel chiuso del proprio orticello è solo uno spocchioso provinciale. Fermo restando che ha diritto ad avere i propri gusti, se non tenta di imporli a nessuno. Ma se vedete un esempio magistrale di tamarro style in una vetrina italiana, proseguite tranquilli. E non vi scandalizzate: è un richiamo per stranieri e/o per miracolati dalla ricchezza.

I testimonial. Pardon, gli ambasciatori

La cosa che fa più arrabbiare i compratori (italiani, lo ripeto ancora una volta: qui parliamo di italiani) è l’uso indiscriminato dei testimonial. Gente ricca e famosa cui vengono regalati orologi da sogno e viene pure pagata per metterli al polso. Quando, poi, davvero li mette al polso: fior di testimonial si fanno serenamente fotografare, fuori dalle occasioni ufficiali, con orologi di altre marche al polso. E le stesse foto ufficiali (le riconosciamo perché l’orologio viene messo bene in mostra, possibilmente vicino al viso per evitare tagli della fotografia) suonano false come una moneta da 15 euro. Attenzione: non sto parlando di haters, di professionisti dell’invidia pronti a sparare a chiunque sia più bello, ricco e famoso di loro. No. Parlo di gente che si considera presa per scema. Non urla, non grida, ma disprezza.

Anni fa, durante una conferenza stampa, qualcuno chiese a François-Paul Journe se intendesse servirsi di testimonial, talvolta eufemisticamente chiamati “ambasciatori”. Effepi fece un respiro profondo (altrimenti la sua indole di Brontolo avrebbe avuto il sopravvento) e si limitò a rispondere con sarcastica gentilezza che: primo, io non ho orologi da buttar via; secondo, io gli orologi li realizzo per venderli; terzo, se sei ricco e famoso compratelo, un Journe – altrimenti non lo meriti.

In effetti l’idea che qualcuno possa convincersi di acquistare le stesse qualità di un personaggio ricco e famoso solo indossando lo stesso orologio sembra idiota. O se preferite sembra diversamente intelligente. Ma se l’ingaggio dei testimonial continua ad essere una pratica diffusa, sebbene costosa, qualche risultato deve pur darlo. Anche se in certi casi c’entra anche la vanità di un Ceo che ama circondarsi da persone del “bel mondo” (poi ti racconterà che «detto fra me e te, è proprio uno/a come noi, una persona normale, anche intelligente»). O un ufficio marketing antiquato, visto che la pratica sembra avere effetti sempre meno rilevanti in relazione ai costi.

A lunga scadenza, ma anche no

Ovviamente ci sono le eccezioni. Rolex, tanto per non far nomi, tende ad avere pochi “ambasciatori” di sicura affidabilità. E crea collaborazioni che durano molto a lungo negli anni. Tra gli addetti ai lavori è proverbiale il caso di Jean-Claude Killy, francese, campione di sci alla fine degli anni Sessanta, testimonial poi divenuto alto dirigente della Rolex.

Strategie di lungo termine sono anche proprie di Omega (il rapporto lunghissimo con Cindy Crawford, ad esempio), mentre altri marchi la pensano come François-Paul Journe. Penso a Patek Philippe, penso a Breguet ed altri marchi ancora che preferiscono sponsorizzare eventi culturali o, più semplicemente, far beneficienza di nascosto, se proprio devono spendere soldi. Torneremo sull’argomento, comunque, perché l’efficacia del testimonial sta diminuendo rapidamente, tranne in alcuni casi che potrebbero invece aprire nuove strade per il futuro.

Le sponsorizzazioni

Sono un territorio incredibilmente vasto. E le reazioni dei compratori sono incredibilmente diverse. In cima a tutto, nell’ambito marketing e orologi, c’è la sponsorizzazione di eventi sportivi che però deve in qualche modo essere affine alla natura del marchio.

Piace, ad esempio, la tradizione di Omega relativamente alle Olimpiadi. Tutti sanno – o dovrebbero sapere – che il cronometraggio sportivo è affidato alla società svizzera Swiss Timing, che è una emanazione di Omega (l’attività era diventata così importante da richiedere una propria specifica struttura), appartenente a Swatch Group proprio come Swiss Timing. Che, a sua volta si collega a Tissot (cronometraggio delle manifestazioni su due ruote) e a Longines (cronometraggio di gare d’equitazione, di sci e anche di tennis). Tutto sempre sotto il grande ombrello di Swatch Group.

Sono invece diventate un rischio le sponsorizzazioni di Formula Uno – una volta picco del desiderio – da quando Rolex ha piazzato il proprio nome su tutti (o quasi, ma poco cambia) i circuiti del “grande circo”. Si salvano quanti hanno una tradizione negli sport dei motori, come Tag Heuer, ad esempio. E Richard Mille, che non soltanto si è aggiudicata Ferrari, ma fa anche un’intelligente campagna di sostegno alle donne che si dedicano alle corse di automobilismo. È una visione completa del fenomeno perché aggiunge alla tradizione anche temi di specifico interesse per le giovani generazioni.

Al pubblico italiano piacciono molto anche le sponsorizzazioni culturali. Ma in molti si lamentano che vengano usate male, siano poco pubblicizzate e soprattutto in qualche modo difficili da frequentare.

Sempre se c’è una attinenza, va sempre bene l’aviazione, ma comincia a traballare il mare. Gli amanti dello yachting considerano chi restaura le barche d’epoca alla stregua di veri e propri mecenati, e quindi l’operazione piace, seppure ad un pubblico limitato; mentre fa ancora fatica la regata con quelle nuove macchine che volano sul mare. Troppo moderne per chi non è più giovane e non ancora popolari fra chi giovane lo è. Probabilmente la situazione è destinata a cambiare se i “dischi volanti” d’acqua genereranno interesse fra i giovani e nasceranno gare e campionati da rendere popolari. È probabile si tratti di una fase di transizione rallentata dagli effetti della pandemia.

Marketing e orologi: la comunicazione

E fin qui siamo andati con mano leggera. Si comprende comunque che nella questione marketing e orologi molte cose stanno cambiando, man mano che cambiano le fonti di informazione. In parole semplici, diventano sempre importanti i dati che ci vengono forniti dal web. È un passaggio che riguarda essenzialmente gli orologi di maggior pregio. La pandemia ha accelerato questo cambiamento: in molti hanno scoperto che sul web c’è tanta fuffa, ma anche tanta sostanza. Come sempre non è il supporto a fare l’informazione, ma i giornalisti in grado di scrivere cose sensate. Aiutando in tal modo il compratore a razionalizzare le proprie scelte, che magari diventeranno “emozionali” solo di fronte al bancone del negozio.

E questo cambia totalmente una delle componenti più importanti del marketing: la comunicazione. Una volta potevi pensare di far scemo il compratore intortandolo con trucchi da imbonitori. Oggi è molto più difficile perché persino quanti non si sono ritrovati impoveriti dalla pandemia hanno scoperto che i soldi è meglio spenderli con una certa attenzione. Molti imbonitori dovranno fare un passo indietro e cambiare radicalmente strategie di comunicazione. Ne parleremo della seconda parte di questo articolo. Presto. (continua)