Accade con periodica frequenza. Gli svizzeri dell’orologeria vanno in ferie a luglio, come tutti gli svizzeri, e quando tornano scoprono di essere stati licenziati. O, nel migliore dei casi, ridimensionati. Anticamera del licenziamento perché se ti ridimensionano col cavolo che poi riesci a trovare un altro lavoro di pari livello. Sono i veleni dell’orologeria.
Quest’estate tutti si aspettavano battaglia e una radicale pulizia estiva, mista a progetti più o meno sensati. È puntualmente accaduto. Veleni, appunto. E gli antidoti? Molti veleni, pochi antidoti. Che però implicano una necessaria riorganizzazione.
Progetti sì, ma discutibili
Partiamo dalle fiere di settore. Per un centinaio d’anni la città di riferimento, per orologeria e gioielleria, è stata Basilea. Perché? Per la sua particolare posizione geografica, al confine con Francia e Germania, ma raggiungibile senza troppe difficoltà anche dall’Italia, che fino ad una trentina d’anni fa era il secondo mercato mondiale per gli orologi svizzeri. L’Italia era così importante da far dire agli operatori, tutti, che «se un orologio ha successo in Italia, allora avrà successo in tutto il mondo».
La storia è andata avanti così, quasi serenamente, fino a pochi anni fa, quando i mercati orientali hanno acquisito enorme importanza. Oggi la fiera di Basilea, Baselworld, è morta. Sono scappate persino Patek Philippe e Rolex, marche importanti non solo per la quantità d’orologi prodotti e il volume d’affari, ma anche per la loro influenza sulle decisioni dell’intero settore. Swatch Group (ne parlerò più avanti) aveva già abbandonato Basilea, pur avendo una posizione, al centro degli spazi espositivi, che più gratificante non si può. Ora gli organizzatori tornano all’attacco con l’idea di far rinascere a Basilea una grande fiera dell’orologeria e gioielleria. Perché? Sono scemi o cosa?
Pazza idea…
No, non sono affatto scemi. Il tentativo di far diventare Ginevra il fulcro dell’orologeria svizzera sta vacillando (veleni dell’orologeria) e ciò sembra lasciare spazio a chi, come Baselworld, progetta alternative provenienti da un passato glorioso. Ma il tentativo di ricreare la fiera di Basilea è discutibile, molto discutibile.
Tutti, me compreso, hanno parlato a lungo dell’avidità degli organizzatori di Baselworld e dell’impossibilità pratica di pagare somme eccessive (cinque anni fa uno stand molto defilato arrivava a costare un milione di franchi svizzeri) per essere presenti in fiera. Il problema vero è che questa avidità si è scontrata con l’eccessiva quantità di operatori del settore, giornalisti compresi. Non ostante la costruzione di nuovi alberghi era impossibile trovare una stanza a prezzi umani nella città di Basilea. Io stesso faticavo molto a far capire al mio editore di allora che gli 800 euro a notte per una stanza che nel resto dell’anno non superava i 100 non erano un capriccio, ma una necessità di lavoro.
Molti operatori finivano per dormire in Francia o Germania. Comunque a distanze difficili da digerire per chi la sera, dopo la chiusura dello stand, doveva farsi una sessantina di chilometri d’auto, spesso in fila, per essere di nuovo in fiera la mattina dopo, presto. Un tour de force cui gli organizzatori non hanno potuto trovare alcun rimedio anche per la pigrizia di un’amministrazione locale, incapace di mettere limiti all’avidità di gente che pure da Baselworld ricavava quattrini suonanti.
Ginevra sì, Ginevra no…
L’idea di spostare tutto a Ginevra (dove del resto già operava con successo il Salon International de la Haute Horlogerie) appariva quindi una soluzione impeccabile. A Ginevra c’è la possibilità di accogliere una quantità di visitatori più o meno tripla rispetto a Basilea, e mal che vada di alberghi ce ne sono tanti anche nelle dirette vicinanze. Ma sulla buona idea di Watches and Wonders si è abbattuto il maglio di impulsi concorrenziali, di invidie che, condite di pandemia, stanno incasinando la situazione. Veleni dell’orologeria.
La stanno incasinando al punto che le fiere, a Ginevra, si stanno frammentando nella scelta dei tempi e in distinzioni che hanno il sapore dei cavilli legali. Col risultato che (a causa della pandemia ancora in atto) in molti preferiscono ormai la versione telematica. Che non è male, come soluzione d’emergenza, ma non è in grado di sostituire il contatto vero, il contatto diretto sia con gli operatori sia con gli orologi. Che è necessario, se non indispensabile. Ma chi se la sente, oggi, di infilarsi in un luogo chiuso e pieno di persone provenienti da ogni parte del mondo? Sì, i controlli… sì, le precauzioni… ma la prudenza consiglia comunque di starsene a casa.
Meno veleni e più antidoti
La situazione delle fiere (o meglio: dei progetti di fiera) è dunque incerta. Si conoscono bene le principali marche presenti a Ginevra, ma mancano ancora del tutto troppi nomi. I marchi che qualcuno considera secondari perché producono orologi non troppo costosi. Invece è una mancanza pericolosissima. Sembra che in Svizzera stiano dimenticando che i produttori inglesi e francesi sono scomparsi, a cavallo del ‘900, proprio perché producevano o sembravano produrre solo orologi costosi. In quella situazione si inserirono proprio gli svizzeri, con orologi dalla qualità elevata in relazione al prezzo. E sbaragliarono ogni altro produttore. Oggi potrebbe avvenire la stessa cosa.
Chiunque scriva professionalmente di orologi, qualunque venditore d’orologi sa bene che il pubblico ama i sogni, certo, ma poi compra in maggioranza orologi più accessibili. Dando, ancor oggi, la preferenza agli orologi svizzeri. Ma – lo vediamo con i nostri stessi lettori – non puoi proporre solo oggetti che valgono cifre comprese fra l’attico in pieno centro e la villa a Portofino. Perché ciò, oltretutto, impedisce ai negozianti di poter cercare e offrire ai propri clienti una rosa di prodotti validi per tutte le tasche. Ma tutti, dal più al meno costoso, degni di fiducia.
È un veleno pericoloso, insistere solo sull’alto di gamma. Il non saper fare fronte compatto è uno dei più pericolosi veleni dell’orologeria svizzera. Certo, ad informare ci sono le pubblicazioni specializzate, su internet o su carta, ma non è sufficiente. Perché, prima di ogni acquisto, anche per il negoziante è fondamentale poter toccare con mano, poter provare un orologio.
Piccole buone idee contro i veleni dell’orologeria 1
Del resto è pur vero che stiamo vivendo un periodo difficile per tutti, non solo per chi vuol fare le cose in grande. Mentre scrivevo è arrivata la notizia che anche Imagination Oneworld OneVision ha rimandato al 2022 la propria manifestazione. Una delle più sensate, che doveva tenersi in settembre a Neuchâtel. Un piccolo, prezioso scrigno per piccoli artigiani e piccole marche emergenti. Anche questo travolto, per ora, dalla pandemia.
Sembra non esserci via d’uscita, oggi, nemmeno per le piccole buone idee. Del resto è anche logico: queste fiere riuniscono operatori da tutto il mondo e sono quindi un fertilissimo terreno per virus, batteri e quant’altro. Qualcuno ricorda che la Sars debuttò in Europa proprio durante la fiera di Basilea nei primi anni Duemila. E fu una (brutta) scoperta dirompente: i corridoi si svuotarono nel giro di un giorno o due perché tutti i cinesi vennero rispediti a casa e anche molti occidentali si spaventarono tanto di mollare il colpo. Oggi la situazione è di gran lunga peggiore.
Piccole buone idee contro i veleni dell’orologeria 2
Rimane, ad oggi 28 luglio 2021, l’appuntamento con i Geneva Watch Days (30 agosto/3 settembre), una manifestazione promossa dal Comune di Ginevra alla quale hanno aderito molte marche importanti e molti artigiani. Fra cui Bulgari, Breitling, De Bethune, Gerald Genta, Girard-Perregaux, Greubel Forsey, H. Moser & Cie., MB&F, Ulysse Nardin e tanti altri. Ma anche in questo caso le defezioni dei visitatori, professionisti e appassionati, si preannunciano così numerose che alla fine saranno ancora una volta le conferenze telematiche a fare la vera differenza. Conferenze telematiche alle quali seguiranno poi – com’è accaduto sino ad ora – incontri locali per consentire di vedere e toccare fisicamente gli orologi, nazione dopo nazione.
Georges Kern, Ceo di Breitling e persona saggia, pensa che da questa situazione non usciremo prima del 2024, sia pure fra alti e bassi, con ondate successive di recrudescenza del virus e delle sue varianti. Veleni veri che nelle fiere internazionali sguazzano felici come un pesce nell’acqua. Gli organizzatori dei Geneva Watch Days giurano di aver preso tutte le precauzioni possibili per evitare il contagio. Io gli credo senza la benché minima esitazione. Ma non mi convince quel “possibili”. Dubito in chi ha detto agli organizzatori che un certo tipo di precauzioni siano sufficienti per evitare il contagio. Tutto qui. Del resto persino alle Olimpiadi in corso appare evidente che se gli assembramenti locali sono pericolosi, quelli internazionali sono di gran lunga peggiori.
Orologeria, si cambia marcia
I più prudenti (singoli marchi o gruppi che siano) si muovono quindi su due piani diversi. Da un lato cercano di sfruttare ogni spiraglio per usare metodi di presentazione e vendita ormai tradizionali e tradizionalmente efficaci. Dall’altro lato comprendono (alcuni in maniera ancora piuttosto confusa) che la pandemia sta accelerando processi già in atto e che quindi bisogna adeguarsi. Rapidamente.
Si cercano nuove strade, nuove forme di comunicazione, nuove strategie. E tornano allora a circolare pesanti veleni dell’orologeria che bisognerà tenere a bada con antidoti efficaci. E proprio di questo ulteriore “dietro le quinte” torneremo presto a parlare. Molto presto. Perché la situazione è in continuo mutamento. Il gruppo Richemont, ad esempio, è in piena rivoluzione… (Continua)