Questo è un doppio dietro le quinte. Vale doppio perché vorrei raccontarvi gli incubi creativi di un giornalista come me, ma anche quelli del Ceo di una marca. Un Ceo che fa il proprio lavoro con spirito di servizio, almeno. Guido Terreni, ad esempio.
Guido Terreni l’ho intervistato quando era ancora in pieno fermento creativo, appunto. Sono andato a rileggere l’intervista (pubblicate qui nel marzo scorso, in due parti: fatelo anche voi) e ho ritrovato il “pensiero lento” che è alla base dei nuovi modelli appena presentati. E ribadisco il concetto di incubi creativi di chi vuole offrire un servizio. Andiamo con ordine.
Gli incubi creativi di un giornalista
Beh, per scrivere un articolo puoi anche limitarti a leggere una cartella stampa, digerirla più o meno bene ed espellerla poi in materia dalla natura discutibile, certo, ma allo stato brado. Materia selvaggia. Oppure (e già saliamo di qualità) puoi usare l’approccio del cronista: spieghi chi, dove, quando e come. E fai il tuo dovere senza azzardare alcuna opinione. Servizio allo stato scheletrico, il minimo indispensabile, ma comunque un servizio. Oppure cerchi una chiave di lettura. È questo l’incubo vero.
La maggior parte degli articoli che scrivo ha una gravidanza che dura almeno una notte. Una notte mal dormita in cui parte del cervello continua ad ipotizzare la giusta chiave di lettura. Chiave che di solito mi si rivela la mattina, mentre preparo il caffè per mia moglie. Se questo non avviene, devo aspettare il “riposino” postprandiale o un’altra notte ancora. Ma cosa diavolo c’entra con Guido Terreni e perché ce lo racconti? Mi dirai tu. Ci arrivo, ti rispondo. Ma tieni ben fissa l’idea dell’offrire un servizio.
Gli incubi creativi di un Ceo
Anche un Ceo ha molti modi di fare il proprio compito. «Domani mi portate dieci idee fra cui scegliere. E se non ce n’è nessuna che mi piace, dopodomani me ne portate altre dieci!». È la strategia del Ceo parassita, un vampiro sanguisuga che vive di idee altrui perché non ne ha di proprie. Ma ha un sistema di lavoro e spesso riesce a vendersi bene, trovando un nuovo lavoro quando viene cacciato.
Oppure studi per una settimana gli orologi precedenti, non ci capisci gran che, ma chiami il disegnatore e gli chiedi di mettere gli indici di questo con le lancette di quell’altro e le anse di un altro ancora. Viene fuori un riassunto delle puntate precedenti. Spesso più che dignitoso. Spesso una buona base per il lavoro futuro. Questo è l’approccio del Ceo pragmatico, specialmente se chi ci mette i soldi gli dice di voler vedere risultati vendibili in un lasso di tempo “che mica ci possiamo mettere anni”.
E poi c’è l’approccio di Guido Terreni e di altri (mai abbastanza) come lui. Studi per capire gli orologi, sia da un punto di vista estetico che tecnico. Vai a rompere le palle a tutti chiedendo perché certe scelte. Cerchi di entrare nella mente di chi ha fondato il marchio, se è giovane (25 anni) come Parmigiani Fleurier. Chiedi a Michel Parmigiani di spiegarti tutto, di farti vedere anche in cosa consiste l’arte del restauro e cosa ti insegna.
E non dormi la notte perché ancora non trovi una sintesi pratica, ma solo direzioni che potresti prendere vantaggiosamente per far amare la marca da chi potrebbe comprare uno dei “tuoi” orologi. Tuoi e di un gruppo di lavoro, ma tu sei il Ceo, il Chief Executive Officer, che poi sarebbe l’Amministratore Delegato. Quello che deve scegliere – anche se scegliere non è facile… Un incubo dal quale hai speranza di uscire solo se hai una tua personale chiave di lavoro. Rendere un servizio alla marca di cui devi decidere tutto, dai prodotti alle strategie commerciali. E rendere un servizio a chi comprerà un prodotto di questa marca.
Parmigiani Fleurier dall’incubo al sogno
Guido Terreni non ha fatto “gli orologi Parmigiani Fleurier secondo Guido Terreni”. Si è messo in secondo piano, quasi totalmente nascosto dietro le quinte, e ha lavorato con un (piccolo) gruppo di persone per togliere, togliere, togliere e riportare il Tonda di Parmigiani ad un livello essenzialità che assomiglia all’innocenza. Il nuovo Tonda PF è pressoché privo di “peccati”, se non quei due o tre segni (il tipo di guilloché, il solo logo sul quadrante, ad esempio) che derivano dall’esperienza di Terreni nella gioielleria. Quella vera.
Scrivo appena qualche ora dopo la presentazione dei nuovi modelli e questa volta la chiave dell’articolo non mi è arrivata di notte, ma mentre Terreni descriveva gli orologi e il loro corredo di foto. Una conferenza stampa telematica: e questo vuol dire che parlerò solo del visto ma non toccato, del visto con luce statica invece che con luce vera, del visto ma senza poter cercare i dettagli con gli occhi e con le dita. Torneremo quindi su questi orologi, e però la sintesi fatta nei nuovi Tonda è già sufficiente per risaltare agli occhi di chi sa guardare senza bisogno di aggressioni ottiche.
Gli incubi creativi di Guido Terreni (ma anche quelli di chi ha seguito il guilloché sul quadrante, anche quelli di chi ha dovuto comporre i diversi elementi della cassa e del bracciale) si sono trasformati nei sogni di chi ne ha le palle piene di urla e strepiti tipo: “Compra me! Compra me!”. Gli altri si chiederanno scandalizzati perché mai bisognerebbe pagare tanto per una “roba” così semplice, senza niente.
È l’arte, bellezza!
L’orologeria come opera d’arte. Vuoi dirmi che qualunque scemo sa tagliare una tela? Vuoi dirmi che anche una scimmia sa spruzzare gocce di colore? O che quei colori piani e quelle forme semplici le fa anche tua figlia? Lascia perdere Fontana, Pollock, manda a quel paese Matisse e vivi felice con un orologio che urla la propria ricchezza. È una scelta come un’altra.
Ma se ti piace la cultura dell’orologeria allora lasciati sedurre dal nuovo Tonda PF di Parmigiani Fleurier. Segni leggeri eppure profondi: leggi, appunto, le incisioni sul quadrante, leggi la lunetta (che è parzialmente in platino anche quando la cassa è d’acciaio: questione di luce migliore, dopo la lucidatura); leggi il micro-rotore, leggi i colori che cambiano con il mutare della luce. Piaceri personali, esclusivi.
Ma non stiamo parlando di impressioni eteree, così leggere che poi sul lato pratico ti lasciano insoddisfatto. Sono differenze che saltano all’occhio specialmente se confronti questa collezione – un solo tempo, un cronografo, un cronografo sdoppiante e un calendario annuale – con i precedenti modelli. La differenza risulta più che mai evidente nel calendario annuale, prima fin troppo affollato di informazioni ed oggi “alleggerito” da un quadrante totalmente ridisegnato e dalla geniale idea di ridurre il nome della marca ad un semplice, ma inequivocabile logo.
Lascio qualche notazione in più per le didascalie, in attesa di poter entrare nei dettagli dopo aver potuto “mettere le mani” fisicamente su questa collezione. Che è per pochi, come sempre. Lo spirito di Parmigiani Fleurier non cambia e questo conferma che gli incubi creativi di Guido Terreni si sono trasformati nei sogni di un certo tipo di collezionista.