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Dietro le quinte. I movimenti di manifattura, di non manifattura e i bugiardi

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Dovrei fare una corpulenta introduzione storica, ma la rimando ad altra occasione. Qui voglio limitarmi ad un primo, parziale discorso sul concetto di manifattura, sui movimenti degli orologi e su chi fa cosa. Ogni intenzione di scatenare un po’ di polemica è totalmente voluta. Perché altrimenti ognuno continua a dire la sua e questo – in tempo di scemi convinti di essere fini menti della politica, della virologia, della cultura e del calcio – vorrebbe dire dargliela vinta. Cominciamo.

Ma da dove vengono i “motori” degli orologi?

Non uso a caso la parola “motori”. Nella produzione di automobili solo pochissimi producono da sé tutte le componenti. Perché nella maggior parte dei casi è meglio far fare le cose a chi sa farle meglio. Ci sono aziende specializzate in freni, ad esempio, che ne producono in un ampio spettro di varianti: economici, costosi e su misura per chi li richiede su misura. Tutti freni che funzionano bene e che soprattutto garantiscono la sicurezza derivante da una esperienza specifica.

Le case automobilistiche si scambiano telai, motori e tutto quel che è possibile scambiarsi senza che nessuno gridi allo scandalo. Perché se è vero che ogni produttore ha il proprio guadagno, è anche vero che l’economia di scala – ossia la possibilità di dividere una parte delle spese fra più produttori, riuscendo così a contenere il prezzo finale delle automobili – vale la scomparsa della personalizzazione assoluta. Che rimane, più o meno, appannaggio solo di poche marche in grado di vendere a somme spaventose le auto che producono.

In orologeria no, sembra che questo non si possa fare. C’è sempre qualcuno che grida allo scandalo per cose che sono serenamente dichiarate.
Chi fa i motori, ossia i movimenti? La maggior parte monta movimenti i cui sbozzi (ebauches) sono costruiti industrialmente da aziende specializzate. Abbiamo in primo piano la Eta, che appartiene a Swatch Group. Abbiamo Sellita, che ha intelligentemente approfittato di condizioni favorevoli per crescere sia come quantità di movimenti prodotti sia come qualità.

Si aggiungono altri nomi (Soprod, ad esempio, di proprietà del gruppo Festina) che consentono ad un produttore di poter comprare un movimento a buon prezzo non perché la qualità sia scarsa, ma perché “l’unione fa la forza”. Se io produco 50mila orologi l’anno e metto in piedi una fabbrica per produrmeli, il prezzo di ogni movimento sarà inevitabilmente superiore a quello, di pari qualità, che viene prodotto in 200mila esemplari. Fin qui direi che la cosa è semplice. Ma arrivano subito le opzioni che incasinano tutto.

Movimenti prodotti in massa: tutti uguali?

No, perché altrimenti non la farei nemmeno questa domanda, ovviamente retorica. Prendiamo uno dei movimenti meccanici più diffusi, l’Eta 2824-2. Fondamentalmente è disponibile in quattro versioni diverse fra loro per alcune componenti e per accuratezza di regolazioni. Si arriva alla versione Chronomètre, quella in grado di superare le verifiche del Cosc, che eventualmente ne attesta la precisione cronografica. Ma non finisce qui.

Il 2824 è universalmente riconosciuto come un movimento di qualità eccezionale in relazione al prezzo. E può essere personalizzato con finiture e/o la sostituzione di altre componenti. In certi casi è la stessa Eta a fare il lavoro, altre volte l’aggiornamento ad un livello superiore è fatto dal produttore stesso dell’orologio. In questo caso i prezzi però aumentano in maniera molto, molto sensibile.

E aumentano ancora di più se sul movimento di base viene montato un modulo specializzato. Un cronografo, ad esempio, o una “complicazione” di altro genere. Che comunque in alcuni casi può essere fornita dalla stessa Eta, ma magari non della qualità desiderata. Lo stesso Eta 2824, poi, è alla base di una lunga serie di varianti (per ora usate solo da marche appartenenti a Swatch Group) denominate Powermatic 80 e dotate di caratteristiche notevoli di anti-magnetismo e autonomia.

A questo punto ho perso io stesso il conto delle possibili varianti, ma so che sono tante. E possono finire in orologi con prezzi variabili dai 1500 euro circa fino agli oltre 10mila senza che ci sia da gridare allo scandalo. Se la cosa venisse dichiarata con chiarezza.

E perché di sincerità ce n’è poca?

Perché questo è uno dei tradizionali punti deboli dell’orologeria. Nei secoli, fin da quando i dirigenti delle marche svizzere si sottoponevano a pericolosi viaggi nei paesi del Giura svizzero per andare a comprare gli sbozzi realizzati dai contadini artigiani nel lungo inverno, bloccati da tre metri di neve. Salvo poi tornare al proprio lavoro nei campi e nelle stalle con il ritorno del bel tempo. Chi aveva fatto quei movimenti? Ma le marche, naturalmente. E degli artigiani nemmeno una parola.

Ancora trentacinque anni fa, quando ho iniziato a scrivere di orologi, tutti giuravano di far da sé i propri movimenti. Persino marchi di solito sinceri come Rolex. Che usava nei cronografi (visto che Rolex ne produceva e vedeva pochi) movimenti Valjoux e Zenith, tanto per citare i più recenti, prima di farseli davvero da sé. Giurando che erano Rolex al 100 per cento. Eppure anche in questo caso non è facile sparar giudizi: Rolex cambiava l’intero organo regolatore (abbassando la frequenza da 36.000 a 28.800 alternanze/ora) e conseguentemente gran parte dei ruotismi.

Sarebbe stato giusto limitarsi a dire che Rolex spacciava per proprio un movimento Zenith? Direi di no, anche perché Rolex era comprensibilmente orgogliosa dal lavoro fatto. Certo, non tutti quelli che spacciavano per propri i movimenti si impegnavano in modifiche sostanziali, ma la pratica era tanto generalizzata da non essere considerata degna del minimo rimprovero. Ancora oggi talvolta bastano le decorazioni e una massa oscillante personalizzata per definire “proprio” un movimento.

Siamo stati noi giornalisti specializzati, allora, a rivelare la verità, spesso pagandola con vere e proprie forme di ostracismo da parte dei produttori. Ma poi nel tempo tutto è andato chiarendosi perché non avevamo quelle intenzioni aggressive che spesso rischiano di trasformarsi in ricattatorie. Il nostro era un esercizio del diritto di cronaca, innestato sul tentativo di comprendere il perché e condividerlo con i lettori. Perché? Perché il calvinista rigore svizzero accettava di mentire? Ma erano poi vere menzogne?

Manifattura: il punto di vista cambia tutto

Beh, dipende da come la vedi. Per i produttori (non tutti, ovviamente) i movimenti di base sono una rottura di scatole. Prendi Patek Philippe, ad esempio. In catalogo ne ha parecchi, di solo tempo. I tecnici che li realizzano non costeranno quanto quelli che fanno le grandi complicazioni, ma poco ci manca. Solo che non puoi vendere un orologio solo tempo allo stesso prezzo di un crono/calendarioannuale/gmt carpiato. Per cui decidi che di quei movimenti ne fai un po’, ma non troppi. Proprio perché altrimenti non ce la fai a produrre le complicazioni, che ti rendono di più.

Ma poi ti scontri con quelli disposti a pagare il doppio un orologio solo tempo perché sperano di guadagnare speculando su qualcuno convinto di non poter vivere senza quell’orologio, proprio quello e nessun altro. Cosa deve fare il produttore? Aumentare la produzione per far felici gli speculatori? Ma non se ne parla nemmeno!

E la stessa cosa accade, più in basso sulla scala orologiera, con i movimenti di non manifattura. Io, marca, mi faccio un mazzo tanto per produrre calendari annuali, cronografi flyback e altri squisiti movimenti di manifattura, nel senso che me li sono progettati e (più o meno, lo vedremo nel prossimo articolo) realizzati da me. Ma tu compratore vuoi che io ti faccia di manifattura anche un solo tempo e vuoi che te lo faccia ad un prezzo conveniente, come usassi un Eta o giù di lì. Se ancora ancora la mia produzione si misurasse in centinaia di migliaia d’orologi all’anno se ne potrebbe parlare. Altrimenti lasciamo perdere.

Un esempio? Tudor e Breitling si sono messe d’accordo: Tudor ha un solo tempo di manifattura e Breitling un movimento cronografico di manifattura. Breitling vende a Tudor il proprio crono e Tudor vende a Breitling il proprio solo tempo. Il solo tempo di manifattura Tudor, una volta montato nel Breitling, come lo definiamo? Di manifattura o no?

E ci sono esempi ancora più eclatanti. Cartier usa, in alcuni Santos, uno straordinario movimento ultrasottile prodotto da Piaget e personalizzato nella finitura. Ovviamente la versione non personalizzata e montata in un Piaget è “di manifattura” e su questo non ci piove. Ma nel Cartier? Diventa un movimento meno pregiato (fregandosene del costo maggiore dovuto alla finitura personalizzata) solo perché viene prodotto da un marchio diverso e per altro appartenente allo stesso gruppo?
Ne riparleremo presto.