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Dietro le quinte. Manifatture e bugie – parte 2

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Nella prima parte di questo articolo (pubblicata qui) raccontavo di quanto sia difficile capire bene dove sia quella che alcuni di noi considerano la verità sulle manifatture. Ma se cerchiamo la verità vuol dire che sospettiamo delle bugie di qualcuno e se qualcuno racconta bugie deve necessariamente farlo perché mentire sulle manifatture comporta vantaggi. Quali?

Lo dico subito: io non credo che i produttori dicano bugie sulle manifatture per guadagnare di più. Al contrario: ogni tanto le dicono per poter contenere i prezzi. Però sempre bugie sono e questo è sbagliato. Si può sempre dire la verità. Sempre. Anche sulle manifatture vere, quasi vere o false.

Premessa sulla caccia alla bugia

Però non riesco ad essere d’accordo con quanti passano la vita a cercare l’imbroglio di pochi, invece di godere della sostanziale onestà di tanti. È una malattia. Come quando sei geloso, e passi il tempo a cercare le prove di corna che non ci sono. La concorrenza, che in orologeria è particolarmente forte, crea una situazione sostanzialmente equilibrata, nella quale tutti controllano tutti gli altri. Un esempio. Domanda retorica di un lettore che chiede se un movimento Eta con modulo Dubois Dépraz in un Audemars Piguet Offshore sia migliore dello stesso in un Hamilton Lancaster. Per mia abitudine controllo sempre e questa volta l’ho fatto ancora più a lungo perché effettivamente ho trovato traccia di una cosa del genere in un blog solitamente ben informato. Ma l’errore scappa a tutti.

Controllando (a lungo) ho trovato conferma di quanto mi aveva già detto François-Henry Bennahmias, Ceo di AP: Audemars Piguet non ha mai usato movimenti Eta (ma si trovano abbastanza facilmente falsi Offshore, in giro, proprio con movimenti Eta). Per la semplice ragione che era proprietaria di una consistente quota di Jaeger-LeCoultre, da cui ovviamente attingeva movimenti. Di manifattura. In seguito ha usato spesso movimenti della manifattura Frédéric Piguet oppure il proprio movimento automatico (di manifattura) cui veniva sovrapposto un modulo crono (anche di manifattura, in certi casi). Oggi Audemars Piguet ha finalmente un movimento cronografico proprio, totalmente di manifattura.

L’Hamilton Lancaster – un vecchio e glorioso cronografo – risulta montasse un movimento Lemania 5100, anche se non è da escludere che in qualche serie ci fosse un Eta. Dubito però si trattasse di un Eta con modulo specializzato Dubois Dépraz. Perché si tratta di moduli molto pregiati, con qualità e costo che vanno dall’elevato all’elevatissimo – a seconda del modello e del grado di finitura. Eta più Dubois Dépraz è un’accoppiata piuttosto rara, ai limiti del suicidio economico. Costa molto più il modulo del movimento di base e di altri buoni movimenti cronografici disponibili con relativa facilità… Ed è un’accoppiata rara anche perché di solito implica la necessità di portare la base Eta ad un grado di finitura molto elevato.

Il grado di finitura cambia totalmente le carte in tavola anche per movimenti apparentemente meno costosi, nelle versioni di base. Che possono essere “grezze”, sì, ma poi lavorate in casa. Come fa spesso Breitling, ad esempio, che infatti ottiene una qualità in grado di superare i test del Côntrole Officiel Suisse des Chronomètres.

L’importanza della finitura

Di manifattura o meno, la finitura in un movimento è fondamentale. Non semplicemente perché si tratta di una “decorazione”, quanto per motivi tecnici. Il taglio degli spigoli periferici di platina e ponti, lucidatura compresa, non nasce per motivi estetici, ma per dare la certezza che non restino sfridi metallici che possano finire tra gli ingranaggi e triturarli inesorabilmente. E così tutte le altre regole tipiche dell’alta orologeria adottate dalle manifatture. In gran parte riassunte in quelle da rispettare per ottenere il prestigioso Poinçon de Genève. È un attestato di affidabilità, in pratica. L’aspetto estetico è soltanto un sottoprodotto. È una considerazione importante, questa, perché aiuta a circoscrivere alcuni punti essenziali.

Ad esempio: un movimento non di manifattura perfettamente rifinito è meglio (spesso) di un movimento di manifattura un po’ grezzo. Per intenderci: non è vero che un Eta 2824 sia sempre la stessa cosa, indipendentemente da chi lo usa. Oltre ai gradi di finitura già offerti dalla stessa Eta, ci sono poi personalizzazioni che talvolta si spingono fino alla sostituzione di elementi fondamentali. Pur costando magari meno di un movimento di manifattura, il prezzo può comunque moltiplicarsi di parecchie volte rispetto a quello di partenza. In questi casi la bugia dei produttori consiste nel ritenere (talvolta non del tutto a torto) che le modifiche apportate meritino il cambiamento del nome. Del resto molti movimenti si evolvono nel tempo e quando il produttore ritiene che i cambiamenti siano sostanziali, allora cambia anche il nome del calibro stesso.

Il caso del Rolex Daytona

Fine anni Ottanta, esce un nuovo cronografo Rolex. L’impressione è che sia destinato a fare la fine dei precedenti. Moderato, molto moderato successo. Nel senso che i numeri non raggiungono il limite in cui Rolex potrebbe creare un proprio movimento cronografico a prezzi Rolex. Vale la pena ricordare che Rolex è Rolex perché riesce a dare un rapporto qualità/prezzo pazzesco. All’epoca, nei cronografi precedenti Rolex si è molto fidata di Valjoux, ma ora vuole provare a volare un po’ più in alto. E si rivolge a Zenith. Ma dal momento che a quei tempi rimaneva qualche dubbio sulla lubrificazione a medio termine di un movimento a 36.000 alternanze/ora, Rolex cambia bilanciere (mettendoci il proprio, ad inerzia variabile), cambia lo scappamento, cambia gran parte del treno del tempo, del sistema di ricarica automatica per un totale di circa 200 modifiche.

La domanda è: quel movimento è Zenith, Rolex, o cosa? La risposta è chiara, in questo caso. È Zenith perché altrimenti non potrebbe essere Rolex il movimento cronografico progettato e prodotto successivamente. Ma al tempo stesso non si può non riconoscere che fra un El Primero montato (a suo tempo) da Vacheron Constantin e quello modificato di Rolex, beh, la differenza è forte. Ne emerge una prima distinzione, fondamentale per andare avanti.

Movimenti lisci, gasati o di manifattura?

Dopo tante premesse cominciamo a procedere schematicamente.
La marca Xyz produce orologi con movimenti presi da fornitori specifici.
La prima differenza sta nella qualità generale del movimento. Il Calibro A possiede caratteristiche di base migliori del Calibro B.
La seconda differenza sta nello specifico allestimento offerto dagli stessi produttori di calibri, con qualità e prezzi diversi.
La terza differenza sta nelle eventuali personalizzazioni eseguite o richieste dalla marca dell’orologio. In questo caso possiamo comunque dividere le personalizzazioni in estetiche (ad esempio un rotore di carica personalizzato), tecnico/estetiche (il livello di finitura) o puramente tecniche, come la sostituzione del bilanciere. Il caso Rolex dimostra che questa personalizzazione può spingersi molto, molto avanti. Fin quasi al limite di poter dichiarare proprio un calibro adottato. Quasi, sia ben chiaro.

Resta il fatto che se la marca Xyz monta un movimento di base a basso livello di finitura, il costo può essere molto contenuto. Se la marca Xyz monta un movimento di qualità, nell’allestimento migliore e per giunta profondamente modificato, beh, i prezzi salgono vertiginosamente senza che nessuno possa gridare allo scandalo. In certi casi il movimento modificato (perché la marca Xyz ci tiene a conservare un livello qualitativo molto elevato) può arrivare a costare quanto un movimento “di manifattura”. Qualche volta persino di più, per errore di calcolo o perché (come nel caso di Rolex) fra l’ideazione di un movimento proprio e la sua realizzazione possono passare diversi anni. E nel frattempo qualcosa devi pur vendere.

Sì, mi dirai tu, mi hai detto dei movimenti lisci, di quelli gasati… E quelli di manifattura?
Eccoci!

Manifatture lisce, gasate o false?

In teoria ci vuol poco. Dicesi “calibro di manifattura” quel movimento per orologi progettato, realizzato e usato “a casa propria” da una determinata marca. E però qui ricominciamo con eccezioni, distinzioni e variabili. Che cambiano totalmente le carte in tavola. Ad esempio: i movimenti meccanici di Swatch sono progettati, realizzati e usati “in casa”. Siete disposti a chiamarli “calibri di manifattura”? Perché a rigor di termini lo sono.

Alcune manifatture progettano e realizzano da sé, certo, ma Patek Philippe e altri marchi di altissima orologeria usano piccole componenti prodotte da terzi. È sufficiente per dire che non sono “calibri di manifattura”? Dal 2005 Rolex utilizza il dispositivo ammortizzatore Paraflex, ma nel 3135 c’era un Kif. Patek si serve di Incabloc e qualche volta Kif, usato anche da Audemars Piguet, Vacheron Constantin, Chopard, Jaeger-LeCoultre e altri ancora. Omega usa un antiurto creato per lei da una fabbrica del gruppo Swatch, cui appartiene anche la stessa Omega. Sono o non sono movimenti di manifattura?

E il bilanciere? Se non uso un mio bilanciere esclusivo (che per molti marchi è una vera e propria firma), ma me lo faccio produrre da uno specialista, posso definire “di manifattura” il mio movimento? E la platina? Se la voglio in titanio, ma vorrei non far lievitare troppo i prezzi comprando le macchine necessarie per la realizzazione di poche platine in titanio, posso ricorrere ad uno specialista. Ma sarà “di manifattura”, il mio movimento?

Breitling fornisce a Tudor il proprio movimento cronografico di manifattura, e Tudor fornisce a Breitling il proprio solo tempo di manifattura. Sono “di manifattura” anche quando passano di mano dall’una all’altra marca?
Senza calcolare che non tutti usano sempre e solo movimenti di manifattura propria o altrui. In questi casi cosa devono fare? Scrivere movimento “non di manifattura” quando non ne usano uno di manifattura?

A te la parola. E poi alle manifatture

Ecco. Mi sembra di aver iniziato a provocare a sufficienza per scatenare reazioni ancor più vivaci che ha avuto il precedente articolo. Io credo che ci sia un legame molto importante fra quel che una marca dice e quel che non dice, fra quanto omette e cosa omette. Un problema di comunicazione, lo ripeto. La Ferrari non deve elencarti che prende i freni da un fornitore, l’impianto elettrico da un altro e gli pneumatici da un altro ancora. Ma quella è un’automobile, mi dirai tu. Vero. E questo è un orologio ti rispondo.

Ora la palla passa a te. Quali sono, secondo te, i parametri importanti, quelli che fanno la differenza? Quelli che le marche dovrebbero dichiarare per non essere considerate bugiarde? Quelli che per te fanno la differenza fra manifattura sì e manifattura no?
Parliamone e poi vedremo di parlarne con i produttori. Aspetto le tue risposte per passare alla terza puntata. Con qualche sorpresa.